Inserita in Cronaca il 18/11/2018
da Direttore
Giornata mondiale dei poveri
Il ruolo dei tutori msna Paceco, Parrocchia Regina Pacis, 18 novembre 2018 Testimonianza di Salvatore Agueci «Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo, e vado al Padre» (Gv 16,28)
La mia testimonianza comporterebbe una relazione ampia, mi limito, però, a una riflessione per esporre un fenomeno ormai epocale, immerso in una realtà sociale ed ecclesiale: l’emigrazione è diventata un fiume in piena a livello mondiale e a pagarne le spese sono maggiormente i giovani (anche italiani: oltre 100 mila ogni anno vanno all’estero in cerca di occupazione) e tra questi vi sono i minori non accompagnati che giungono nel nostro paese [al 31 dicembre 2017, secondo la Direzione Generale dell’immigrazione e delle politiche d’integrazione, risultano presenti in Italia 18.303 msna, il 5,4% in più rispetto al 2016 e il 53,5% in più rispetto al 2015. Il 93,2% sono maschi, mentre le femmine sono solo 1.247, ovvero il 6,8% delle presenze totali, percentuale che resta invariata rispetto all’anno precedente. Se si considerano le provenienze, risulta che i msna provengono prevalentemente dal Gambia (2.202; 12%), dall’Egitto (1.807; 9,9%), dalla Guinea (1.752; 9,6%), dall’Albania (1.677; 9,2%), dall’Eritrea (1.459; 8%) e dalla Costa d’Avorio (1.388; 7,6%). Le altre cittadinanze maggiormente rappresentate sono quella nigeriana (1.274; 7%), maliana (1.071; 7%), senegalese (1.006; 5,5%), bangladese (860; 4,7%) e somala (837; 4,6%). Rispetto agli ultimi 2 anni si osserva un incremento consistente di minori provenienti dalla Costa d’Avorio (dal 2% del 2015 al 7,6% del 2017) e dalla Guinea (dal 2,1% al 9,6%). Circa 6 mila sono stati trattenuti nelle strutture di prima e seconda accoglienza della nostra Isola]. Il numero dei msna presenti nelle diverse strutture della provincia non è quantificabile: forse 800/900, molti si allontanano volontariamente, altri sono trasferiti in comunità anche fuori la Sicilia, una parte scompare. Io, ad esempio, su nove oggi ne ho solamente uno. Premetto che ogni msna ha diritto a un permesso di soggiorno per minore età fino al compimento del 18° anno. Questo gli permette di rientrare nei diritti fondamentali concessi a un minore italiano, compreso l’avere un tutore. La figura del tutore volontario msna, iscritto nell’elenco regionale presso il Tribunale dei Minori, è regolata dalla Legge 47 del 7 aprile 2017, entrata in vigore il 6 maggio dello stesso anno. All’art. 11 si dice che «Presso ogni tribunale per i minorenni è istituito un elenco dei tutori volontari, a cui possono essere iscritti privati cittadini, selezionati e adeguatamente formati». Prima della Legge il giudice tutelare affidava i minori ai legali o ai sindaci del luogo e ognuno aveva circa 50/60 minori. Si capisce che era assurdo seguirli personalmente. Questo comportava l’impossibilità di un rapporto diretto con ognuno. Oggi sono massimo 3 i minori affidati in contemporanea a ogni tutore. Il compito del tutore è principalmente quello di sostituire i genitori dal punto di vista soprattutto legale, in tutti gli ambiti ove occorra la loro presenza. Per svolgere al meglio il servizio i tutori di Trapani (47 c., ma è partito un altro corso) hanno creato una rete di collegamento per scambiarsi pareri, aiuti, confronti, emozioni. Io ho creato una pagina su facebook per un respiro più ampio: “Tutor e tutrici MSNA di Trapani”. Il ruolo del tutore non è solo di una figura burocratico-istituzionale ma ha un peso più complesso: affettivo, relazionale, sociale anche se surrogato. (La mia avventura con Alouis, un bel ragazzo epilettico di 16 anni della Guinea, è andata al di là di un semplice vincolo legale). L’obiettivo prioritario è quello di cercare, promuovere e salvaguardare il bene supremo del minore. In questo la mia esperienza non è stata per nulla difficile, dopo e in concomitanza con quello che ho fatto in questi anni con i detenuti stranieri, per certi versi simile a quella dei minori, perché in quella condizione si è assimilabili agli adolescenti. Occorre, da parte del tutor, una presenza discreta, costante, dialogante con il soggetto e la struttura al fine di trovare quello che è meglio per il minore, sia in ordine alle sue scelte come al suo sviluppo psico-sociale, culturale, affettivo, senza dimenticare il collegamento con la famiglia d’origine. Far comprendere che ha di suo una dignità in quanto essere umano, persona, minore e straniero, componente di una società: quella familiare e umana. La presenza deve permetterci di comprendere che lo straniero non è solo oggetto di attenzione e di tutela da parte nostra ma soggetto di messaggi: deve sviluppare in noi quello che è il vantaggio di una risorsa (demografica, economica, culturale, sociale…), deve interrogarci, mettendo da parte gli stereotipi correnti, compreso quello che percepiscono 35 € al giorno, oggi con il decreto “Sicurezza” ridotti a € 19. L’emigrazione ai nostri giorni deve essere concepita, anzitutto da noi cristiani, come un tempo storico propizio, un kairòs (tempo opportuno). Chiederci: E se questo fosse il piano di Dio? Per secoli, ad esempio, sono stati i nostri missionari a recarsi nelle terre di popolazioni diverse, oggi che li abbiamo tra noi vogliamo cacciarli? S. Agostino dice che il Signore pone i “poveri” in mezzo a noi perché ci santificassimo attraverso loro. Dobbiamo vivere quell’amore universale che si presenta a noi attraverso una presenza parcellizzata che sono gli stranieri, i minori: Alouis, Mohamed... «Se amassi veramente una persona - scrive lo psicanalista Erich Fromm - amerei il mondo, amerei la vita. Se posso dire a un altro “ti amo”, devo essere in grado di dire “Amo tutti in te, amo il mondo attraverso te, amo in te anche me stesso”» (L’arte d’amare). Questo è l’amore verso lo sconosciuto di cui si parla in Giobbe: «Ero gli occhi per il cieco e i piedi per lo zoppo, ed esaminavo la causa dello sconosciuto» (29,15). E don Milani scrisse nella Lettera a Nadia Neri: «Non si può amare tutti gli uomini. Si può amare una classe sola (e questo l’hai capito anche te). Ma non si può nemmeno amare tutta una classe sociale se non potenzialmente. Di fatto si può amare solo un numero di persone limitato, forse qualche decina forse qualche centinaio. E siccome l’esperienza ci dice che all’uomo è possibile solo questo, mi pare evidente che Dio non ci chiede di più». Permettetemi una riflessione all’interrogativo che Dio pone a ognuno di noi, come a Caino: «Dov’è tuo fratello?» Noi contrariamente a come ha risposto il fratricida: «Sono forse io il custode di mio fratello?», ignorandolo e scrollandosi di lui, dobbiamo convertirci in modo radicale a ogni uomo, specie se questi è “povero”, nell’accezione più ampia, anche al migrante, adulto o minore. Dobbiamo imparare a vedere nel fratello Cristo stesso che cammina per le nostre strade e stende la mano del suo bisogno, come ripete Papa Francesco. Che amarezza quando sento parlare molti cristiani, che si dicono praticanti, contro gli immigrati! Nonostante siamo chiamati da Dio all’ospitalità: Raab, la meretrice, fu giustificata «per aver dato ospitalità» (Giac 2,25). Noi stessi siamo “pellegrini e forestieri” (1Pt 2,11), e dobbiamo vivere come tali, secondo la testimonianza anche dell’autore della lettera A Diogneto: «Abitano (i cristiani) ognuno nella propria patria, ma come fossero stranieri; rispettano e adempiono tutti i doveri dei cittadini, e si sobbarcano tutti gli oneri come fossero stranieri; ogni regione straniera è la loro patria, eppure ogni patria per essi è terra straniera» (Cap. V, I cristiani nel mondo). Tutti dobbiamo dare risposte al fenomeno della mobilità, soprattutto noi cristiani, a favore dei più indifesi, aprendo le porte alla speranza attraverso le altre due virtù teologali e le opere di misericordia corporali e spirituali. Dobbiamo scolpire nei nostri cuori la frase che don Milani fece scrivere sull’ingresso della scuola di Barbiana: «I care» (Ai cheir), «M’importa, ho a cuore», il minore m’interessa. A che vale batterci perché il Crocifisso stia appeso nei luoghi pubblici (buona cosa!) se io non riconosco il Cristo, vivente nel bisognoso che è accanto a me ed è inchiodato a una schiavitù, a una dipendenza dei popoli opulenti, a delle normative di una logica forzata, appeso ai crocicchi delle nostre strade in attesa che qualcuno lo tenga in debita considerazione? Dobbiamo mettere da parte l’indifferenza e sviluppare lo spirito di convivialità, che vuol dire essere padri e madri, di ogni immigrato, di ogni minore, recuperando la logica dell’inclusione e non dello scarto. Il “povero” grida ma siamo noi che abbiamo il dovere di ascoltarlo (Sal 34,7) in tutti i suoi bisogni, a maggior ragione se è Dio che l’ascolta. In questo modo celebriamo nella continuità quotidiana il sacramento eucaristico della condivisione e dell’amore. E quando andrà via o perché trasferito o perché ritornerà al suo paese o per qualsiasi motivo (a noi non importa quello che farà, dove andrà) dovrà portare con sé il “profumo” di noi cristiani, un bagaglio di ricchezza (la nostra umanità, il nostro affetto, la disponibilità, l’altruismo…) con una ricaduta sulla loro e l’altrui storia che permetterà loro di chiedersi: “perché l’hanno fatto?” «Se amate senza suscitare amore, - dice ancora Erich Fromm - vale a dire, se il vostro amore non produce amore, se attraverso l’espressione di vita di persona amante voi non diventate una persona amata, allora il vostro amore è impotente, è sfortunato». A noi rimarrà la soddisfazione di essere stati utili a qualcuno e il ricordo di aver dato una mano per attraversare uno dei tanti guadi. Il cristiano è chiamato, e non solo nel campo della mobilità, a cambiare radicalmente la logica del mondo, anche controtendenza, secondo il piano di Dio che è venuto non per essere servito ma per servire, oppure siamo omissivi, non cristiani. Dobbiamo svegliarci dal torpore-sicurezza che attanaglia la nostra vita, ritrovando la vera identità: questa deve essere l’ambizione della Chiesa oggi, togliere le lancette dell’orologio per essere umilmente, tutto e tutti, a servizio di Dio e del mondo, salendo “sulla croce della storia” e non del potere, camminando controtendenza, mettendo da parte le ideologie e la certezza delle definizioni per guardare l’˝insicuro ̋, la storia che si fa ogni giorno con ciò che Dio pone sul nostro cammino, per farlo diventare induttivamente verità. Se fino a oggi non siamo stati capaci di fare questo, diciamo con Mons. Tonino Bello: «Perdonami, fratello marocchino, se noi cristiani non ti diamo neppure l’ospitalità della soglia. Se nei giorni di festa, non ti abbiamo braccato per condurti a mensa con noi. Se a mezzogiorno ti abbiamo lasciato sulla piazza, deserta dopo la fiera, a mangiare in solitudine le olive nere della tua miseria. Perdona soprattutto me, vescovo di questa città, che non ti ho mai fermato per chiederti come stai. Se leggi fedelmente il Corano. Se osservi scrupolosamente le norme di Maometto. Se hai bisogno di un luogo, fosse anche una chiesetta, dove poter riassaporare, con i tuoi fratelli di fede e di sventura, i silenzi misteriosi della tua moschea. Perdonaci, fratello marocchino. Un giorno, quando nel cielo incontreremo il nostro Dio, questo infaticabile viandante sulle strade della terra, ci accorgeremo con sorpresa che egli ha... il colore della tua pelle» (Alla finestra la speranza, Ed. Paoline).
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