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Inserita in Cronaca il 01/03/2013 da redazione

L’addio a Don Michele, la Chiesa vuole il silenzio

L’addio

Sono terminati i funerali di don Michele. A salutarlo per l’ultima volta sono arrivati in tanti nella chiesa SS. Crocifisso di Calatafimi- Segesta paese d’origine del parroco barbaramente ucciso la notte tra lunedì e martedì scorsi. Molti i cittadini, i fedeli, e le alte cariche presenti alla cerimonia funebre presieduta dal vicario apostolico Alessandro Plotti 

 

L'OMELIA DEL S.E. ALESSANDRO PLOTTI:

«È davvero con un po’ di difficoltà che mi accingo a dire qualche cosa perché credo che di fronte a questi eventi sarebbe più saggio tacere e meditare su come il nostro mondo sta andando. C’è un grande mistero che si nasconde dietro l’omicidio. Ed è il mistero di tante persone che hanno il cervello inondato di violenza. Noi stiamo respirando purtroppo un clima di violenza e ne vediamo molti segnali. Pensate alla violenza sulle donne, pensate alla violenza sui minori. Pensate a quanti giovani scelgono il bullismo, la degradazione morale. Respiriamo tutti questo clima di violenza che poi, ecco, produce questi fatti. Certo potremmo mettere a confronto proprio nel modo più stridente possibile queste due persone: da una parte Don Michele, dall’altra chi si è armato di bastone e gli ha dato giù finché l’ha visto morto. Da una parte c’è la bontà, l’accoglienza. 

 

È un prete che ha sempre voluto fare il prete nel servizio umile e generoso, prima per tanti anni nella comunità di Fulgatore, poi, in questi ultimi tre anni, a Ummari. Un vero prete! Io lo incontrai una prima volta, quando feci il giro di visita a tutti i sacerdoti di questa Diocesi. E mi raccontò tutta la sua vita, tutte le sue prove, le sue gioie, i suoi dolori, le sue delusioni. Fu un dialogo aperto che durò più di un’ora. E si stabilì così un clima direi di amicizia, di simpatia. Ora tutto è finito. Si rompe in maniera drammatica questo rapporto, ma non soltanto con me, con tutti noi. Non c’è più. Certo è in Cielo, ci proteggerà. Ma non lo vediamo più. Non potremo più ascoltare la sua voce. Non potremo più vedere i gesti del suo ministero. E tutto questo perché? Ecco perché bisognerebbe star zitti e meditare su questo “perché”. Perché? Non c’è risposta purtroppo. Noi ci auguriamo che le autorità facciano luce su questo delitto, per quanto è possibile. Ma rimane questa ferita insanabile. Allora, io credo che non c’è altra strada che questa: noi dobbiamo combattere la violenza in tutte le sue articolazioni, in tutte le sue conseguenze.

 

Perché c’è una microvilenza e c’è una macroviolenza. I nostri rapporti spesso sono conflittuali. E così aumenta il sospetto, aumenta la competitività e in questo spazio culturale prende corpo il delitto, come se fosse non dico una bravata, ma un diritto acquisito di fare giustizia da soli, una presunta giustizia. È la più grande ingiustizia che si possa che si possa commettere, quella di togliere la vita a un fratello. Perché? La vita non vale più nulla! Ricordiamolo al Signore. Ma credo che noi tutti dobbiamo prendere una lezione da Don Michele. E la lezione è quella della coerenza, del coraggio, della disponibilità agli altri. Credo che tutti noi dobbiamo fare un esame di coscienza, per vedere se davvero i nostri rapporti con gli altri sono lubrificati, sono costruttivi. Preghiamo per Don Michele perché dal Cielo davvero ci indichi una strada. Dobbiamo svegliarci di fronte a questi episodi.

 

Dobbiamo condannarli con tutte le nostre forze. Non vogliamo vendette. Non vogliamo giustizia a buon mercato. Vogliamo che la verità trionfi. Ma anche se la verità trionfasse un giorno perché si individuasse l’assassino, resterebbe il “perché”. Allora, impariamo ad essere operatori di pace, operatori di giustizia. Rispettiamoci di più. Lavoriamo più insieme per costruire una società alternativa, che non sia quella del conflitto, della contrapposizione, ma sia quella della libertà vera. Questo voleva Don Michele e noi vogliamo accogliere come suo testamento spirituale proprio questo: lavorare per diffondere il bene, perché nonostante tutto trionferà, se ci crediamo».

 

Così invece il vicario generale mons. Liborio Palmeri a nome dei presbiteri della Diocesi trapanese ha salutato per l’ultima volta Don Michele di Stefano:

 

« Caro padre Michele,

 

voglio esprimere a nome del nostro presbiterio il saluto che ti si deve dopo una vita spesa a servizio del Vangelo, nella Chiesa, tua e nostra madre. Infatti, caro confratello, a te, più anziano di me certo per età, ma forse più giovane di me, per temperamento ed energia, a te è toccato diventare segno martiriale della nostra affaticata Chiesa di Trapani.

 

Quel colpo che hai ricevuto oltraggiosamente e vigliaccamente nel sonno, tu inerme, tu anziano, tu onesto, ha raggiunto tutti noi. In te siamo stati colpiti tutti, è stata colpita ancora una volta la nostra Chiesa, un po' di morte ha raggiunto anche noi, come il fiele sulla bocca di Cristo in croce, e lo ammetto, per un momento sulle labbra ci siamo ritrovati le parole del salmista e abbiamo detto: "Forse Dio ci respingerà per sempre, non sarà più benevolo con noi? E' forse cessato per sempre il suo amore, è finita la sua promessa per sempre?". In questi anni troppo ha sofferto il corpo della nostra Chiesa, e quest'ultima bastonata ci è apparsa insopportabile.

 

Ma sentendo quelle parole di sfiducia tu ci avresti rimproverati, dolcemente però, con quel sorrisetto ironico che ti mettevi ogni tanto. Eri ottimista, sempre. E ci avresti detto: Semen est sanguis christianorum. E' un seme il sangue dei cristiani. Dunque è un seme il tuo sangue versato, padre Michele. E il seme del sangue innocente, il seme di ogni vittima dell'insensata violenza, caduto in terra, muore per portare frutto, partecipa infatti delle sofferenze e della morte di Cristo, per partecipare anche della sua gloria. Pertanto, così com'è certamente della tua anima, sia anche della nostra Chiesa. Ricordalo ora al Signore, imploralo per questa Chiesa, se sei già davanti al suo cospetto Dunque abbiamo fiducia: chi ha ucciso il tuo corpo, non ha ucciso la tua anima.

 

Compito nostro è invece difendere la terza vita che ti rimane, caro confratello nostro, quella sociale, il buon nome, la fama di un ministero esercitato con bontà e generosità, a servizio di tutti, soprattutto i poveri e i bisognosi. Come in questi giorni in tanti hanno testimoniato, giovani, anziani, uomini, donne, anche sui mezzi di informazione. Vorremmo, pertanto, che si fermasse chi gioca a fare ipotesi che niente hanno a che vedere con la trasparenza del tuo operato, che nessuno si permettesse di aprire "filoni di indagine" presenti sono nella loro testa e nella loro maldicenza. Ringrazio invece per quanta sensibilità, delicatezza, rispetto hanno mostrato i carabinieri, in particolare il comandante provinciale colonnello Fernando Nazzaro e tutte le forze dell'ordine intervenute, per la prontezza d'azione dei magistrati, il procuratore Marcello Viola e il sostituto Massimo Palmeri.

 

Da loro speriamo di ricevere presto una notizia: che chi ti ha ucciso è stato scoperto e affidato alle mani della giustizia umana. E a chi, in modo così barbaro e incosciente, ti ha ucciso, mandiamo l'unica invettiva possibile ad un cristiano: che sia divorato dal rimorso, che conosca il dolore immenso e salutare del pentimento. Un'ultima cosa, padre Michele.

 

Non correre più, ora. Lo sappiamo, diciamolo a voce bassa, quanto ti piaceva. Sarai entrato in cielo sicuramente oltre i limiti di velocità. Ora hai finito la tua corsa, hai raggiunto la tua meta, goditi il riposo del Signore, che tanto hai amato, tanto testimoniato. e non alzare troppo la voce quando canti, anche questo, lo sappiamo, ti piaceva molto, a meno che tu non decida ogni tanto di farti sentire fino qua da tutti quelli che ti hanno amato. Amen»

 

 

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