La nuova operazione antimafia di oggi a Palermo con l’arresto di 32 persone, al di là della legittima soddisfazione per magistrati, forze dell’ordine e cittadini, pone due problemi da non sottovalutare: in carcere i nuovi arrivi non saranno certamente “inattivi”; a rimpiazzarli sui territori di criminalità saranno arruolati nuovi giovanissimi come è già accaduto negli ultimi tempi.
È quanto afferma il segretario generale del Sindacato Penitenziari, Aldo Di Giacomo.
Solo dall’inizio dell’anno – aggiunge – sono oltre 200 gli arresti a seguito dello smantellamento di clan in Sicilia, Campania, Calabria e Puglia, tra i quali anche boss di primo piano come Marco Di Lauro. Il problema su cui insistiamo da tempo conoscendo bene la situazione delle nostre carceri, comprese quelle per i detenuti sottoposti al 41 bis e che quindi dovrebbero essere a “massima sorveglianza” è che dalle celle boss ed affiliati continuano a gestire traffici e attività di criminalità attraverso telefonini. Secondo i dati più aggiornati al 2017, è di 937 il numero totale di cellulari e sim ritrovati nei 190 istituti italiani. Quasi due per ogni carcere. Con un aumento del 58,22 per cento rispetto al 2016 (quando i cellulari e/o sim rinvenuti furono 426). Numeri che purtroppo non indicano fedelmente la situazione. O comunque attraverso “pizzini” che riescono ad uscire dal carcere.
Il secondo problema – continua Di Giacomo – riguarda il ricambio di manovalanza criminale con giovani e giovanissimi che sono già stati protagonisti di efferati omicidi e formati alla cultura dei film e delle fiction televisive puntano a scalare velocemente l’organigramma delle organizzazioni camorristiche e mafiose.
Quanto alla ricostituzione della Cupola di cosa nostra oltre a rafforzare indagini sui territori – dice ancora Di Giacomo – bisogna “osservare” quanto accade nelle carceri dove sono detenuti boss e capi clan e dove si decidono le sorti delle organizzazioni criminali. È l’inchiesta di oggi a Palermo che, oltre a ricostruire gli assetti mafiosi, a svelare che uno dei capi clan, dal carcere, dava ordini per il sostentamento della sua famiglia e che nel corso dei colloqui in carcere forniva alla moglie e al cognato indicazioni sui soggetti cui rivolgersi per ricevere le somme di denaro che spettavano loro e i profitti degli investimenti economici realizzati in attività commerciali pienamente funzionali e attive.