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Inserita in Cronaca il 05/02/2019 da Direttore

Lettere a Tito n. 236. Soltanto a Badolato Marina (Cz) il gioco delle targhe automobilistiche nel 1960 e dintorni?

Lettere
Caro Tito, dopo due intense lettere dedicate ai campi di concentramento e di sterminio non solo per la Shoah (la n. 234) e ai campi di internamento esteri per prigionieri italiani della seconda guerra mondiale (la n. 235), penso sia meglio scrivere, adesso, una lettera “più leggera”, però non priva di un qualche significato sociale almeno evocativo … un’Amarcord sull’infanzia della mia generazione jonica … per informarti sul “gioco delle targhe automobilistiche” che avveniva sicuramente a Badolato Marina nel 1960 e dintorni.

LETTERA – APPELLO
Però piacerebbe sapere (a me e ad alcuni amici) se tale gioco veniva praticato anche da bambini o ragazzi di altri paesi, specialmente nostri jonici o, addirittura, in altri luoghi d’Italia oppure all’estero. Per tale motivo, questa lettera funge pure da “appello” a farci sapere se il “gioco delle targhe automobilistiche” sia stato presente in altre parti del mondo. Perciò, prego accoratamente chi ci legge (e sa) di informarci ai seguenti indirizzi mail: info@costajonicaweb.it oppure alla mia personale (mimmolanciano@gmail.com).

AVVENIVA SOLTANTO A BADOLATO MARINA?
Infatti, ci dobbiamo almeno chiedere se tale gioco avveniva soltanto a Badolato Marina oppure altrove, in altre Marine (vicine o lontane) lungo la medesima strada statale jonica 106…

Inattesa che qualcuno dei nostri lettori (vicini e lontani, italiani ed esteri) ci comunichi qualcosa a riguardo, ti dico che, per confrontarmi e saperne di più dei miei stessi ricordi personali, ho telefonato a numerosi amici dei paesi vicini e persino a Serra San Bruno (in provincia di Vibo Valentia).

PICCOLA RICERCA TELEFONICA
A Serra (bella cittadina, capoluogo montano e comprensoriale delle Serre Joniche a 40 km da nostro mare) un mio collega di studi mi ha detto che non c’era questo gioco, però suo padre amava fare la somma immediata e veloce dei numeri delle targhe automobilistiche. Ecco, siamo già ad un primo risultato riguarda il cosiddetto “gioco delle targhe”. Forse ognuno aveva il suo.

Tu mi hai detto che non risulta per Guardavalle questo tipo di gioco. Altro amico (di qualche anno più anziano di me) non ricorda nulla per Santa Caterina sullo Jonio Marina, però mi ha assicurato che avrebbe chiesto in giro. E, se avremo elementi di novità, ci potremo tornare su, fra qualche tempo.

Invece, a Isca Marina, un altro caro amico (di una generazione seguente a quella nata attorno al 1950) mi ha detto di non sapere nulla del gioco delle targhe, però lui stesso ed alcuni suoi amici (da bambini) si divertivano a sostare per ore lungo la vecchia strada nazionale 106 per vedere arrivare i primissimi camion a 5 assi, una novità assoluta ed emozionante per i tempi della sua infanzia.

Un camion in particolare, a 5 assi, li faceva gioire ed era quello di colore rossointenso, che passava più volte al giorno per quel tratto di strada lungo l’abitato di Isca Marina… immagino fosse poderoso più di un toro. In effetti i camion a più “assi” vengono chiamati i “bisonti della strada” così come chi guida una moto di grossa cilindrata viene indicato come “centauro”(il mitico e possente “uomo-cavallo” dell’antichità).

FORSE AVVENIVA SOLTANTO A BADOLATO MARINA
Ho telefonato veramente a tanti amici di Badolato Marina e dintorni(anche ad alcuni attualmente residenti in altre parti d’Italia e all’estero) ed ho motivo di credere che “il gioco delle targhe” sia avvenuto soltanto a Badolato Marina e per una sola generazione, la mia.

Me lo ha molto chiaramente e nitidamente confermato uno dei miei coetanei e più cari amici da sempre, Mimmo Brancia (in giovinezza grande campione nel gioco del calcio), il quale mi ha detto di ricordare, proprio come se fosse ieri, come e quanto questo gioco prendesse fortemente noi bambini o ragazzini del “rione Maiolina” sempre fortemente rivali (in tutto e per tutto) dei coetanei che agivano accanitamente nel “rione “Stazione” dove, in estate, avveniva la stessa annotazione delle targhe su quaderni scolastici.

RIVALITA’ TRA RIONI
C’è tutta una tradizione, una narrativa (e persino una “Letteratura” mondiale, come ad esempio il celebre libro ungherese “I ragazzi della Via Paal” di Ferenc Molnar – 1906) riguardo la rivalità tra bambini o ragazzi di un medesimo paese ma appartenenti a rioni diversi.

Ai tempi della mia infanzia e adolescenza (anni 1950-60-70) non faceva eccezione nemmeno la mia neonata Badolato Marina (allora attorno ai quei mille e più abitanti, che avevano lasciato il borgo antico di Badolato Superiore, essendo rimasti senza-tetto per il terremoto dell’11 maggio 1947 oppure per l’alluvione del 17 ottobre 1951).

Infatti, io e Mimmo Brancia (vicinissimi di casa sulla stessa Via Nazionale – lato Nord) appartenevamo al “rione Maiolina” i cui bambini o ragazzi rivaleggiavano con quelli del “rione Stazione” (attorno alla via Nazionale – lato Sud e, appunto, nei pressi della stazione dei treni).

Le sfide erano quasi quotidiane in ogni tipo di gioco: a pallone, al calciobalilla, alla guerra tra indiani e cow-boy, ai tuffi in mare o a chi nuotava più lontano, a chi vestiva meglio, addiritturaa chi era più bravo a scuola, nel rispondere alle domande del catechismo o nel fare i chierichetti!

TEMPI DI CONDIVISIONE – PERSINO IL GELATO
Caro Tito, però è onesto precisare che la “rivalità” terminava con il gioco o al massimo con lo “sfottò” (un misto di scherzo, di derisione e di divertimento che, in bocca agli sciocchi poteva diventare però tanto offensivo da venire alle mani, “bisticciando” di brutto).

Per il resto quelli erano anni di condivisione, essendo quasi tutti poveri e frugali per necessità. Senza difficoltà o egoismi, si era molto solidali, a tal punto da condividere (in due, in tre, alcune volte in quattro) persino il medesimo gelato, acquistato all’unico bar (quello di don Salvatore Staiano) esistente allora in Badolato Marina.

Si condivideva il gelato (dal 19 marzo al 01 novembre) oppure le caramelle o altri dolciumi (dal 2 novembre al 18 marzo) anche con bambini di rioni diversi, sia che fosse stato uno solo a pagare, sia che l’acquisto fosse avvenuto con una compartecipazione o “azionariato” (si direbbe adesso). Tutti noi bambini aspettavamo per ben 4 mesi e mezzo che don Salvatore Staiano aprisse la stagione dei gelati proprio la mattina del 19 marzo (San Giuseppe) che allora era giorno festivo e non scolastico.

A quel tempo, il gelato-base costava 10 lire, quello medio 20 lire, quello grande 30 lire … “somme” (grosse allora per noi bambini delle elementari, pari adesso a 2 – 4 – 6 euro) che si racimolavano in qualche modo oppure erano frutto di una qualche “strenna” anche non natalizia.

LO ZIO ESTRANEO…
Un po’ per fame, un po’ per divertimento, un po’ per avventura, da bambini o da ragazzini, a gruppi, eravamo soliti spingerci, con le biciclette, fino a Davoli (8 km verso nord, alle porte di Soverato) o addirittura fino a Monasterace (15 km verso sud) per prendere dagli orti, lungo la strada nazionale 106, quella frutta più sfiziosa che mancava nei terreni della nostra Marina.

Solitamente, facevamo queste incursioni sull’imbrunire (quando – si pensava – i padroni del frutteto non c’erano). Prendevamo quel tanto di frutta (specialmente la squisitissima uva da tavola che da noi era assai rara oppure le more di gelso, bianche e nere) da consumare avidamente sul posto oppure più in là.

Tuttavia, a volte, facevamo questi “blitz” veloci anche in pieno giorno. Se ci sorprendeva il padrone, ne evitavamo rimproveri o botte dicendogli che avevamo fame o che quella frutta era per una donna incinta. In entrambi i casi, solitamente il padrone del terreno ci lasciava stare, anche perché la quantità di frutta presa era visibilmente per “uso personale”.

Se, invece, ci vedevano altre persone o i contadini limitanti, rispondevamo che il padrone del frutteto era “nostro zio” … cioè “lo zio estraneo” (u zziu stranu).

I MELOGRANI DELLA MIA KARDARA
Quando da agosto ad ottobre era tempo di melograni, quasi tutti i bambini di Badolato Marina (ma anche dell’interzona) venivano alla mia Kardara per chiedere di giorno (o prendere silenziosamente, di notte) i melograni del casello ferroviario dove abitavo. Infatti, il casello aveva (lato strada statale jonica 106, per circa 60 metri di lunghezza) una folta e alta siepe-recinto di alberi di melograno, sempre belli e stracarichi ogni anno.

Tale siepe era mèta di “pellegrinaggi” (pure dalle Marine vicine) sia perché era proprio al limitare della strada nazionale 106, sia perché gli alberi di melograni erano ancora rari nella nostra zona.

Questi melograni, grossi e dolcissimi, facevano gioire pure gli adulti che non mancavano di stendere la mano verso gli alberi, ad ogni ora del giorno e della notte. E se i bambini erano troppo piccoli o gli anziani paurosi delle spine, provvedevamo noi stessi abitanti del casello a prendere per loro i melograni dall’albero.

Ancora oggi, tante persone, ricordando quella gioia e quell’abbondanza, mi parlano dei melograni del casello di Kardara, rimasti famosi, pure per la generosità della mia famiglia, la quale avrebbe potuto ben recintare quella siepe (rendendola inaccessibile) e vendere i melograni ai negozi di frutta oppure ai passanti, come facevamo con le pesche ed i fichi.

Però, i miei genitori amavano condividere tutto (nonostante fossimo famiglia troppo numerosa) e, d’inverno, persino le castagne o i fichi secchi messi in apposite cassapanche per il nostro fabbisogno.

Pure per questa e tante altre generosità, la mia famiglia era benvoluta da tutti e viveva sicura pur abitando in piena campagna, tra strada nazionale e ferrovia (come descrivo nel “Libro-Monumento per i miei Genitori) e senza nemmeno energia elettrica, pur distando appena 800 metri dall’ultima abitazione di Badolato Marina.

RIVALITA’ DI GIOCHI … “INNOCENTI”?
E’ ben noto che la rivalità è una caratteristica permanente degli esseri umani e dei gruppi sociali, sotto ogni cielo e in ogni epoca. Infatti, non c’è comunità che, pur piccola, non nutra il seme della rivalità, per quanto innocente possa essere. Ma rivalità e gelosie esistono pure tra fratelli nella stessa famiglia, nella stessa aula scolastica e addirittura dentro la coppia, in amore e per amore (spesso inteso come “possesso”)!

La narrativa (in tutte le sue forme, specialmente quella dei romanzi, dei film o degli sceneggiati televisivi) si basa essenzialmente sui conflitti (specialmente psicologici), sulle faide tra famiglie feudali o mafiose, sulle rivalità generiche, espresse tra buoni e cattivi, tra amori e tradimenti, tra eroi e codardi, tra ricchi e poveri, tra guardie e ladri e così via.

E’ risaputo che un qualsiasi racconto, per ottenere lettori esuccesso, deve contenere un qualche contrasto storico oppure una rivalità tra persone o tra gruppi. Persino nei racconti di avventure, la stessa avventura deve presentare difficoltà tali da tenere il lettore con il fiato sospeso, come nei libri di viaggi, nei gialli o nei polizieschi, meglio se intrisi di misteri e di colpi di scena.

E vale ancora oggi, come anticamente, la “trovata” di quel “deus ex machina” (frequente nel teatro greco antico), ovvero l’idea risolutiva, il dio o l’eroe che, improvvisamente, invade la scena e mette a posto tutto e tutti.

Attualmente non sappiamo ancora inventare niente di meglio! Sembra che temi come la pace, la collaborazione, la gentilezza siano assai noiosi e, quindi, oggi più che mai, la violenza domina incontrastata ovunque e in modo assolutamente antieducativo e persino patologico o addirittura criminogeno-emulativo.

UNA RIVALITA’ INNOCENTE E UTILE
Invece, la nostra rivalità tra bambini o ragazzi di diversi rioni si basava su giochi del tutto innocenti ed era quasi necessaria (direi) per ravvivare lo stare insieme in un ambiente tranquillo che offriva poco o niente. Non c’erano ancora nemmeno i giocattoli.

Infatti, noi, caro Tito, apparteniamo ad una generazione che creava, inventava e costruiva da sé i giochi e i giocattoli. Così come accadeva, in verità, in tante parti povere di un’Italia ancora semidistrutta e stremata dalla seconda guerra mondiale.

I nostri giochi e i nostri giocattoli, in prevalenza, erano assai semplici quanto per niente aggressivi (ovviamente, salvo eccezioni, ma pochissime eccezioni). Si basavano essenzialmente sulla maggiore bravura e il miglior valore, mentre alcuni giochi (specialmente tra le bambine) risultavano davvero assai innocenti o addirittura servivano come “preparazione” al loro futuro di spose, mamme e casalinghe.

Erano giochi assai utili, poiché servivano a socializzare, ad inventare e a fare quella gara nel bello che sarebbe poi proseguito nelle altre età della nostra vita. Personalmente ricordo che eravamo tutti assai felici. E senza tale felicità (come gioia e forza di riserva per le difficoltà della vita) non avremmo nemmeno cercato di amare così tanto il nostro paese impegnandoci nel contribuire a migliorarlo, a fargli e a farci onore. In particolare, senza quella felicità ed Armonia di Kardàra e d’infanzia o prima adolescenza, non avrei avuto motivo di scrivere all’età di 17 anni “W W – Wiva la Wita”.

LA PESTE AMERICANA? (riflessione sociologica)
Però non posso ignorare un problema che si rivelerà sempre più grave … a turbare grandemente la nostra infanzia (e in seguito, da ragazzi e da adulti, la nostra etica e quasi tutta l’esistenza) sono stati i modi di vita americani, le cui ideologie venivano (subdolamente) veicolati dal cinema, dalla TV, dai giornali, dalle pubblicità dei loro prodottie da tutto un modo di concepire le cose assai diverso dal nostro!…

“America”è ovviamente intesa come Stati Uniti, i grandi vincitori della seconda guerra mondiale e già allora indiscussa super-potenza globale!… E come super-potenza ha sempre cercato (e ancora cerca) di imporre il suo modo di vedere e di agire, fondato essenzialmente sulle armi, sulla concorrenza aggressiva e sfrenata e non sulla collaborazione, sulla cooperazione.

Così, anno dopo anno, siamo come “plagiati” e piano piano siamo giunti allo sfacelo attuale nella troppo esagerata divaricazione tra ricchi e poveri e tanti altri squilibri (non ultimo quello sul clima e l’ambiente) che, se mantenuti, faranno morire il mondo.

E, come vincitori (assieme a Inglesi e Francesi), ci hanno inondato (imposto, quasi vomitato addosso) con le loro idee e i loro prodotti, quasi a subire un altro “stupro” dopo quello (in gran parte evitabile) delle armi.

“Stupro” può apparire un termine assai forte quasi ingiustificato e inappropriato, ma se la vogliamo dire tutta, è proprio questa parola che può rendere (meglio di tanti discorsi) la situazione!

Ma così è la guerra (fredda o calda che sia)! In guerra, per chi la fa, si può, anzi si deve, esagerare nella violenza, persino quando questa sembra essere subdola e gentile e persino “giusta” e “umanitaria”!

E la violenza è entrata nei nostri giochi infantili proprio con i film americani al cinema o in TV: dalla più apparentemente innocente serie televisiva “Le avventure di Tin Tin Tin” attraverso la “TV dei ragazzi” fino a quelli sulla malavita, con pistole, bombe e mitra. Sullo sfondo c’era e c’è ancora sempre la sopraffazione, il bisogno di un nemico e di un vincitore, nonostante una parvenza di “giustizia”.

Caro Tito, è stata così tanto devastante per noi la cultura americana(e continua ancora ad esserlo) che mi sembra necessario ragionarci maggiormente in una prossima lettera-riflessione (soffermandoci su imperialismi, monopoli e monoteismi), intitolata proprio “La peste americana”o (riattualizzandola) “La peste globale” che è poi la “filosofia” di una potenzae più potenze assai differenti dall’etica italica e da quella “calabrese verace” in particolare.

Tuttavia, apparentemente e ovviamente, non tutto è stato o è pestilenziale. Ad esempio, nel 1947, l’America (con la pur equivoca “dottrina Truman” e il conseguente pur capzioso “Piano Marshall”) ci ha aiutato a sfamarci e a riprenderci (ma a modo suo) dalle devastazioni della guerra, pure per non cadere nelle mani della incombente Russia comunista.

Ecco un altro tipo di “rivalità” (USA – URSS) che continuerà fortemente almeno fino al 1991 con la “guerra fredda” che, indirettamente, ha stravolto pure Badolato e altri paesi dell’interzona. Eh sì, ci vuole sempre un “nemico” o un “rivale” per i politici e per i governi … e per gli sciocchi!!!… Invece di collaborare e salvarsi insieme, utilizzando la condivisione e l’eliminazione della sofferenza!

Chi ha la mia età ricorda ancora, frutto del “Piano Marshall”, le “gallette” (una specie di biscotti quadrati cm 12×12 circa, secchi o con la marmellata), le “scatolette” (latte in polvere, cioccolata, carne, ecc.), sacchi di farina e cereali o altri prodotti di conforto, quasi tutto distribuito dai Comuni o dalle Parrocchie (con l’immancabile speculazione da parte di taluni o dei soliti ed immancabili furbetti nostrani).

Quindi è bene ringraziare l’America, pure per l’aiuto sulla ricostruzione industriale e infrastrutturale.Ma anche per aver accolto tanti nostri emigrati. Così come oggi, bisognerebbe ringraziarla per talune conquiste scientifiche, tecnologiche, farmaceutiche (ecc.) che permettono di risolvere o aiutare alcune problematiche generali, in particolare qualche seria malattia.

Però dobbiamo essere certi che nessuno, nemmeno gli USA, regala nulla, se non in cambio di qualcosa (che non sia soltanto il vile denaro). Anzi, per quanto generosa, questa America pare che (secondo una vulgata da controllare) debba introitare (oltre alla subalternità) almeno fino a sette volte quanto concesso: da un dollaro devono tornarle indietro almeno 7 dollari! Forse le devastanti truffe finanziarie globali (partite ultimamente proprio dagli USA) ne sono una qualche indicazione?…

Proprio in questi ultimi mesi, alcuni politici italiani ed europei parlano di “Piano Marshall” per aiutare l’Africa, affinché questa non straripi in Europa con le migrazioni. Speriamo che l’idea (tanto sbandierata) di “Aiutiamoli a casa loro” non nasconda un’altra … “Peste euro-americana” (dopo quella coloniale, assai devastante e controproducente).

Ogni medaglia ha un suo rovescio. Penso quindi che sia da approfondire meglio, nel bene e nel male, l’influenza USA (anglosassone, in genere) sulla nostra cultura contadina ed operaia, sull’intera Italia o sull’intero mondo, sullo stesso nostro carattere e sui nostri valori, così tanto stravolti da necessitare di una riflessione assai seria e autorigeneratrice.

IL GIOCO SUBLIMA LA GUERRA?
Caro Tito, in questa idea del mondo, ci sono coloro i quali (come taluni psicologi, sociologi o storici) nella rivalità (persino del gioco più semplice) intravedono la naturale ed immemore “ostilità” tra singoli esseri umani, gruppi, comunità, popoli, culture, religioni, economie.

In una parola, il gioco (che in sé e per sé è tanto innocente) sarebbequindi una simulazione o addirittura la “sublimazione” della guerra?… E il termine “squadra” (che nel gioco rimanda al costruttivoe collaborativo “spirito di squadra”) diventa propedeutico a schemi addirittura militari e, quindi, aggressivi o, addirittura, distruttivi?

Taluni analisti più profondi dimostrerebbero come, pur nella giocosa rivalità, i bambini o gli adolescenti siano addirittura vittime psicologiche dell’ingiusta violenza del “sistema guerra” (persino fantascientifica e stellare) tipico degli adulti come ad esempio le “polemiche politiche” o “le razzie economiche”.

Può darsi che sia così, ma la nostra infanzia e adolescenza sono state – ripeto – una serena età, sostanzialmente, di sana aggregazione e di conoscenza di noi stessi, della comunità e del nostro territorio e di esperienze preliminare alla vita adulta. Certo ci sono stati casi di piccola violenza (qualche lieve ferita da coltellini), ma estremamente isolati e circoscritti, sicuramente non replicabili o imitabili. Così come è poi avvenuto.

Ma questa innocenza nel gioco ormai non c’è più e quasi sicuramente la mia generazione è stata l’ultimaveramente felice. Infatti, oggi come oggi, qualsiasi genitore o nonno può testimoniare che i loro figli e nipoti non sono contenti o felici pure essendo ricolmi di ogni genere di giochi (industriali) e di ogni benessere ed abbondanza (rispetto agli anni 50-60).

Forse non sono felici perché è stata repressa la loro fantasia, la loro creatività, la loro possibilità di amicizia. O forse perché, inconsciamente, i bambini di oggi si sentono “usati” in una pedagogia diversa e, comunque, funzionale alla sottile “guerra degli adulti e tra adulti”.

CARENZA POSTBELLICA DI CENTRI DI AGGREGAZIONE
Premesso tutto ciò, per capire meglio il “gioco delle targhe”, cheti sto per descrivere, è bene sapere chegli oltre 300 alloggi popolari costruiti in Badolato Scalo (così da diventare poi Badolato Marina) per altrettante famiglie alluvionate nel 1951 sono staticostruiti e ultimati a tempo di record tra l’autunno 1951 e la primavera 1956, quando (il 14 marzo) è stata ufficialmente inaugurata ed aperta al culto l’unica chiesa di rito cattolico che aveva pure spazi attigui per l’aggregazione parrocchiale. Leggi, per saperne di più a questo link (http://www.galluccifausto.it/badolato/chiese/new.asp?id=47)

Essendo il nuovo paese stato costruito abbastanza bene in muratura (senza baracche o locali provvisori come oggi) però in fretta, si dono dimenticati di dotarlo dei necessari centri di svago o di aggregazione (appositi giardini o edifici per la ricreazione ed il “dopolavoro”).

Così come (non avendo studiato e rispettato le tipologieantropologiche e sociologiche della comunità badolatese) si sono dimenticati di costruire i forni rionali, aggiunti in un secondo tempo. E nessuna pur necessaria cantina venne prevista e realizzata, mettendo in difficoltà tutte le famiglie. Comunque, meglio di niente quegli alloggi veloci! Grazie, soprattutto ad Alcide De Gasperi, capo del governo di allora!

LA MIA KARDARA
Essendo nato nel 1950 in riva al mare, a Kardàra, tra strada e ferrovia, personalmente avevo già il mio felice mondo di bambino nell’Armonia di Kardàra. E ancora non c’era Badolato Marina! A tale proposito, ti ricordo le descrizioni contenute nei miei libri “Gemme di Giovinezza” (1967), “Prima del Silenzio” (1995) e nei 7 volumi del “Libro-Monumento per i miei Genitori” (2005-2007).

Ma tutti gli altri bambini (che si erano trasferiti con le famiglie dal borgo collinare in questa nuova frazione Marina) non hanno avuto, almeno fino al 14 marzo 1956, altri centri di aggregazione se non la “ruga” (cioè il caseggiato-vicinato o il rione).

LA FAMIGLIA DEL PROF. NICOLA CAPORALE
Però, la domenica pomeriggio, c’era la famiglia dei coniugi-maestri Nicola Caporale e Franca Cuppari,pronta ad accogliere con gioia bambini e giovinetti di entrambi i sessi nell’ampio cortile di casa, situata attaccata alla appena costruita scuola elementare di via Garibaldi. Ci andavo pure io assieme alle mie sorelle.

A me ne resta un ricordo particolarmente meraviglioso che non manco occasione di evidenziare, con riconoscenza, ed esaltare tanto è stato utile e magnifico per lenìre lo spaesamento o abbattere il rischio di solitudini e depressioni dei miei compaesani catapultati dal borgo collinare alla marina (7 km appena ma infiniti!).

Poi, da quello storico 14 marzo 1956, tutta la popolazione ha trovato nella chiesa e nella canonica un punto vitale di riferimento sociale e di conforto … tanto è che persino le famiglie dei comunisti “atei e mangiapreti” (in maggioranza, allora) vi partecipavano con gioia … proprio in mancanza di altro centro di riferimento edi aggregazione sociale!

Nonostante tutto, ricordo che mai come allora la nostra neonata comunità rivierasca sia stata così unita e felice come in questo periodo di naturale spaesamento (proprio per l’improvviso e traumatico sganciamento dal borgo collinare e la nuova sconosciuta realtà residenziale in riva al mare) … spaesamento distratto e addolcito così bene prima dalla famiglia del maestro Nicola Caporale e poi, in continuo, dai frati francescani “missionari”, specialmente dai sacerdoti Gabriele Barzi (veneto) e Silvano Lanàro (trentino), davvero bravi e addirittura “èpici” assieme ai loro collaboratori (tra cui alcune generosissime suore del vicino asilo infantile provenienti, pure loro, da lontane regioni italiane)!

Dico “missionari” perché, prima che fosse parrocchia, la chiesa e gli annessi locali aperti alla popolazione costituirono per anni e anni un “Centro Missionario” (come era scritto sul vetro della porta d’ingresso della canonica). Sì, Badolato Marina fu considerata terra di missione (come l’Africa o altra zona sottosviluppata).

Soffrivo molto, personalmente, per quella intestazione … “Centro Missionario”. Poi, più in avanti negli anni, studiando non me ne meravigliai, poiché coloro che abitavano (allora come oggi) la pianura Padana ci consideravano (e ci considerano ancora) “africani” e addirittura “peggio degli animali” (come testimoniano taluni documenti dal 1860 in poi, durante la cosiddetta “conquista o aggressione del Sud Italia” da parte dei Piemontesi). Sono stato lieto quando quell’insegna è stata tolta, ma la ferita è rimasta! Tuttavia, cantiamo in coro …

LA SANA AGGREGAZIONE PARROCCHIALE
Non saprei immaginare che piega avremmo potuto prendere, noi bambini e i giovanetti di allora (anni 1950-70), senza la sana aggregazione organizzata con affetto cristiano e letizia francescana dalla locale chiesa cattolica.

Posso dire, con certezza e cognizione di causa, che quella che poi, qualche anno dopo, sarebbe diventata “parrocchia” a tutti gli effetti, si è rivelata non soltanto essenziale, ma persino indispensabile non soltanto per noi bambini ma per quasi tutti i mille e più abitanti di Badolato Marina, dal 1956 e almeno fino al 1970-80 (quando cominciò, per vari motivi, la nostra prima vera dispersione sociale … ma forse fu soltanto un ricambio generazionale).

Io stesso me ne sono poi allontanato gradatamente(definitivamente dal 1982) per l’accumularsi di serie riserve mentali, nascoste paradossalmente in quella pur benemerita ma non disinteressata “sana aggregazione parrocchiale”.

Cercherò di approfondire e descrivere meglio in altro momento, per fare piena luce su quel pur epico periodo, distinguendo tra vantaggi e svantaggi avuti con la presenza di sacerdoti esterni alla nostra realtà sociale e culturale (alcuni dei quali “fondamentalisti” e legati palesemente alla Democrazia Cristiana, maggior partito di governo e fortemente anticomunista).

Forse i sacerdoti cristiani dovrebbero stare lontani dalla politica (specie se partitica) per non offendere la suscettibilità dei loro fedeli o del popolo a loro affidato (comunista nella stragrande maggioranza). Soltanto padre Silvano Lanaro ebbe un comportamento più rispettoso dei badolatesi e fu proprio lui che rimase amato parroco dal 1956 al 1982 (ben 26 anni).

Tuttavia, noi abitanti di Badolato Marina (è bene riconoscere ed evidenziare) siamo stati, nonostante tutti i problemi dovuti allo spaesamento e alle novità della nuova residenza, ancora più fortunati delle Marine vicine e coeve (Sant’Andrea, Isca, Santa Caterina, Guardavalle, persino Monasterace) che (per alcuni anni ancora dal 1956) non hanno avutoaffatto un clero stabile e, quindi, un punto permanente e continuo di utile riferimento e di sanaaggregazione come quello nostro!

Infatti erano i nostri frati francescani che andavano almeno ad assicurare la celebrazione della messa festiva (nonché matrimoni, funerali e altri riti religiosi) in queste altre Marine, sprovviste quasi di tutto. Ed io ne posso essere primo testimone, poiché seguivo i nostri frati (specialmente padre Silvano Lanàro) a servire messa in queste nuove Marine che ho imparato a conoscere bene e ad amare, pure per le loro tante difficoltà.

BADOLATO MARINA CENTRO DI INTERZONA
Fu in quegli anni che nacque il termine “interzona” riferito alle altre Marine le quali, in un modo o nell’altro facevano capo a Badolato Marina per alcune cose, mentre per altre facevano capo a Soverato, assieme a noi.

L’attivismo parrocchiale (socio-culturale e religioso) era molto forte e quotidiano a Badolato Marina (grazie soprattutto ai frati, alle suore e alla coordinatrice ed educatrice parrocchiale laica Luisetta Caporale). Il fervore era tale e tanto che invogliava laici e cattolici delle altre Marine a frequentarci e a prendere spunto dalle nostre innumerevoli iniziative per poi attuarle nelle loro rispettive parrocchie.

Fatto sta che, poi, negli anni 60-70, la parrocchia di Badolato Marina era entrataimmediatamente (come nessun’altra nell’interzona grazie pure a padre Nicola Criniti del confinante paese di Santa Caterina Jonio) anche nei circuiti nazionali dell’Azione Cattolica, dei Terziari francescani, della “Pro Civitate Christiana” di Assisi, del “Seraphicum” e di altri centri teologici ed universitari di Roma e di tante altre istituzioni ed associazioni cattoliche.

Pure per questo la nostra parrocchia era un andirivieni di personaggi nazionali ed esteri, con eventi di straordinaria novità, importanza ed efficacia anche in campo socio-culturale oltre che solamente religioso.

Credimi, caro Tito, vivemmo davvero un’irripetibile e memorabile ricchezza di fermenti culturali (anche solo laici) irripetibili … una eccezionale, preziosaed esaltante epopea!

BADOLATO MARINA EXPORT
Ed era tale e tanta la gioia di stare insieme, nonché la carica valoriale di entusiasmo, che “esportavamo” tutto ciò pure nelle altre Marine e nei borghi collinari, specialmente al nostro stesso Badolato Superiore e a Santa Caterina Jonio. Ed il vescovo di Squillace utilizzava alcuni di noi per intrattenere altri paesi o comunità con spettacoli, giochi e conferenze. Persino nella stessa città capoluogo, Catanzaro!

Io stesso, ad esempio, sono andato “in missione” a Badolato Superiore per intrattenere quella gioventù, con più incontri, sul valore ed il significato del Concilio Ecumenico Vaticano secondo. Tale storico evento si era appena concluso (08 dicembre 1965) ed aveva emesso i suoi importanti documenti sui cambiamenti valoriali, sugli atteggiamenti comportamentali e sulle novità liturgiche. Tutte cose che andavano spiegate, specialmente alle nuove generazioni! E fu veramente utile ed esaltante in tutti i sensi! Nacquero anche nuove e durature amicizie!

Questa mia “missione” (durata molte domeniche pomeriggio) mi ha fatto scoprire una bella e brava gioventù assai volitiva, disposta alle nuove conoscenze e persino ad espandersi. Questi incontri sono serviti a me, tra tanto altro, pure per aumentare (se mai ci fosse stato ancora bisogno) il mio immenso e struggente amore per il borgo natìo della mia famiglia e dei miei avi, della mia gente e di quello che è stato il mio popolo!

PRIMA MESSA BEAT
Pure per tutto questo nostro attivismo parrocchiale, dall’estate 1968, la chiesa di Badolato Marina fu una delle prime nel sud Italia a vedere eseguire ogni domenica (con il mio gruppo Euro Universal) la “Messa beat” su musica e spartiti del grande maestro Marcello Giombini che poi da Roma, diventato nostro amico,è venuto da noi sullo Jonio nel 1971 e poi come relatore al mio convegno internazionale di erotologia in Agnone (4-6 ottobre 1985).

Caro Tito, non è certo questa la sede per continuare a descrivere come e quanto la sana aggregazione socio-culturale e religiosa di Badolato Marina sia stata utile pure per quasi tutta l’interzona (e anche oltre).

Ne ho elencato i punti essenziali pure nel “Libro-Monumento per i miei Genitori” e, a riguardo fra non molto, dovrebbe andare in stampa il libro imperdibile e fondamentale sulla nostra storia parrocchiale, che la sua principale protagonista laica Luisetta Caporale sta ultimando. Titolo provvisorio è “ricordando.net” (come l’equivalente sito web che lei stessa ha attivato molti anni fa, visitabile ancora adesso).

LA RIVIERA DEGLI ANGELI
Caro Tito, queste Marine, in particolare, avevano avuto assegnati come protettori alcuni “Angeli ed Arcangeli” dalla nostra Diocesi di Squillace. Da qui la mia idea di denominare nel 1971 tutta la costa da Riace a Catanzaro Lido proprio “Riviera degli Angeli” proponendo un “Consorzio e Marchio di marketing territoriale” che valorizzasse la costa e l’entroterra collinare e montano fino alle Serre Joniche. Te ne ho accennato nelle lettere n. 8-9-10 (dal 12 novembre al 3 dicembre 2012).

Concetto generale e denominazione che, da qualche tempo, sono stati ripresi operativamente e lodevolmente da due giovani aziende: l’immobiliare “Costa degli Angeli” (www.rivieradegliangeli.com) e l’associazione di imprese turistico-commerciali “Riviera e Borghi degli Angeli” (www.rivieradegliangeli.it). Entrambe le aziende (assieme ad altri soggetti e presenze)stanno facendo davvero un grande lavoro promozionale e fattuale.

I “BEATI JONICI”
Ecco, pure questa della “Riviera degli Angeli” ormai fa parte della “Storia” delle nostre marine joniche.E, per la sua splendente bellezza, tutta la costa jonica è … “angelica” … degna degli angeli e del loro paradiso.

E tu, caro Tito, (con il prezioso sito www.costajonicaweb.it) lo fai presente a tutti noi “beati jonici”ogni giorno e quotidianamente lo fai ricordare a chi jonico (ancora) non è ma potrà diventarlo.

LA STORIA DELLE NOSTRE MARINE JONICHE
Più di un “marinoto” (protagonista o testimone) potrebbe e dovrebbe ricordare, indagare e relazionare almeno “aneddoticamente” se non proprio storicamente e sociologicamente sulla vita delle “Marine” nate in riva al nostro stupendo Jonio come “gemmazione” dei borghi collinari e montani colpiti da alcune calamità naturali(come terremoti o alluvioni)e sociali (emigrazioni e cattiva amministrazione politica) avvenute dopo il 1945. Speriamo che pure le Università calabresi se ne possano interessare adeguatamente (almeno come argomenti per tesi di laurea affidati a studenti della nostra zona).

E’ una storia davvero importante! E noi bambini di allora ne facciamo pienamente parte! Andata che sarà la nostra generazione, sarà difficile poter poi attingere a testimonianze dirette, calde e palpitanti, particolareggiate e irripetibili. E mi rendo conto che questa “Lettera n. 236” possa essere utile pure a coloro i quali vorranno capire come sono nate le Marine e che vita sociale ci fosse, specialmente nei primi anni di spaesamento e adattamento.

IL PERIODICO LA RADICE DI BADOLATO
Dall’aprile 1994, sono ormai quasi 25 anni che il direttore prof. Vincenzo Squillacioti (assieme agli aderenti all’associazione culturale “La Radice” fondata nel febbraio 1991 a Badolato, uno dei più continui e longevi sodalizi dello Jonio) curano la pubblicazione del omonimo periodico (prima trimestrale, adesso quadrimestrale) alla cui scrittura partecipano pure altri calabresi, residenti dentro e fuori i confini regionali o nazionali.

Accanto alla sempre puntuale periodicità de “La Radice” (che ha unamedia di 44 pagine a fascicolo e solitamente una tiratura dalle 1800 alle 2000 copie inviate in tutti i continenti) l’Associazione omonima garantisce annualmente la pubblicazione a stampa di volumi di grande impegno ed interesse locale o comprensoriale, coinvolgendo autori (anche non calabresi) di valore e di prestigio.

Il prossimo libro, già praticamente concluso e molto atteso, s’intitola “Evoluzione antropica della marina di Badolato” ed è un serio e attento lavoro topografico lungo alcuni anni, realizzato dallo stesso ideatore prof. Vincenzo Squillacioti (sulla base di una sua iniziale ricerca di oltre 60 anni fa), dall’architetto prof. Pietro Parretta e dall’ex-direttore dell’Ufficio Tecnico Comunale, geometra Pasquale Larocca.

SCRIVERE-TRAVASARE-TRAMANDARE
Da decenni, pure per questo motivo (di mappare e descrivere tecnicamente, storicamente e culturalmente al massimo possibile il nostro vissuto, il nostro territorio e la nostra società), sollecito numerose persone, in particolare tanti amici, di “scrivere travasare tramandare” i ricordi, le emozioni, le esperienze di sé stessi, della comunità d’appartenenza e del nostro ambiente jonico, documentando l’antichissimo e immenso giacimento di grande e particolare civiltà (come è avvio, ma anche come scoperto ancora di più specialmente dal nostro amico filosofo Salvatore Mongiardo di Soverato).

LA PENNA DEI POVERI
Ai poveri come noi(che non hanno accesso ai salotti buoni, agli editori e ai media nazionali)resta soltanto il migliore uso della penna. Un uso che, tra tanto altro, rappresenta un atto di “esistenza in vita” e un modo indelebile per raccontare fin dalle origini questa nostra resistenza in vita, questa doverosa testimonianza sociale (lungimirante come una preziosa eredità!).

Caro Tito, ci hanno insegnato a scrivere e a fare di conto?… Ebbene, adesso cerchiamo di usare nel migliore dei modi la nostra penna. Rendendola possibilmente persino “rivoluzionaria” al di là della semplice “testimonianza”!

Non preoccupiamoci più di tanto se ci diranno che siamo “grafomani” o se ci riempiranno di ogni tipo di improperii. O se, addirittura, ci ostacoleranno in ogni modo. Con le buone o con le cattive, imponendoci silenzio, persecuzioni, ostracismo ed esilio!

Cerchiamo di scrivere-travasare-tramandare, di tutto e di più, stando pure attenti (per quanto possibile) di difendere e diffondere i nostri scritti, di modo che non se ne perda memoria o non ci distruggano la Storia personale e collettiva!!!

La nostra penna sia pure voce, anzi urlo per gli altri poveri. Specialmente per i disperati!

LEGGERE-APPROFONDIRE-STUDIARE
Ma non basta scrivere-travasare-tramandare!… E’ sempre più necessario leggere-approfondire-studiare, apprendere e conoscere fin nei minimi particolari specialmente le cose che ci riguardano più da vicino e ci aiutano a fortificarci, ad essere mentalmente liberi e, soprattutto, ad aumentare la nostra autostima, coscienti che la civiltà ereditata (di cui dobbiamo riappropriarci pienamente) non ha da invidiare niente a nessuno, dal momento che il nostro popolo ha dato al mondo qualche luce in più per orientarsi meglio nell’infinito. E continuerà ancora a dare. Ad oltranza e sempre efficacemente.

Pure per questo, ormai da troppi decenni, sollecito Istituzioni, Autori, Editori di ogni disciplina e sapere a trovare sedi, unione ed iniziative di sana ed utile aggregazione sociale, pure per farsi conoscere e leggere meglio e di più.

In tale ottica, dovremmo tutti, ad esempio, sostenere e far crescere le biblioteche territoriali, prima tra tutte la Biblioteca Calabrese di Soriano che dovremmo considerare come la nostra biblioteca regionale centrale, quella che custodisce e valorizza la nostra cultura ed ognuno di noi nell’affidare ogni nostro genere di pubblicazione. E dovremmo sostenere e far crescere tutti i centri e gli istituti culturali, le associazioni e le aziende di produzione della nostra identità più spiccata o criptata!

DAMNATIO MEMORIAE
La Calabria ha già avuto dagli antichi Romani (e da altri conquistatori) una permanente “damnatio memoriae” … cioè una “condanna della memoria” … una severa condanna ad essere dimenticati e persino derisi e annullati, proprio come se non fossimo mai esistiti!… E’ il tipo di condanna o di scomunica che pronunciano ed attuano i monopolii imperialistici, le aristocrazie, le oligarchie, i falsi-democratici e gli autoreferenziali da strapazzo ma egualmente sempre tanto pericolosi!

E tanto meglio sia se riusciamo a “stupire il mondo” con le nostre idee originali, il nostro agire coraggioso, forti anche dell’eredità dei nostri antichi Padri ma anche della Bellezza che ci ha baciato attraverso la Natura. Una Natura da difendere ad oltranza proprio come la nostra penna, il nostro dire, il nostro canto, il nostro fare! … Persino raccontando il semplice ma non del tutto vano “gioco delle targhe” automobilistiche.Pensa tu!

UN DOVERE VERSO LE GENERAZIONI
Lasciare una traccia del nostro passaggio (ma soprattutto della vita della nostra gente jonica) è assolutamente necessario, non tanto per noi personalmente, quanto per dare indicazioni di orientamento storico e valoriale alle generazioni presenti e future (prossime o remote).

E sento questo “dovere verso le generazioni” poiché personalmente non sarei oggi lo stesso se non avessi attinto abbondantemente, ad esempio, ad esperienze giornalistiche di “Sentiero Calabro” (il quindicinale di Gianni Pitingolo, con redazione a Soverato in anni 60-70) o “Jonio Star” (il mensile di Pietro Melìa in anni 80-90) oppure alla stessa citata “La Radice” oppure ad esperienze storiche e letterarie come quelle di Antonio Gesualdo e di tanti altri.

E sarei più povero se non avessi bevuto continuamente e con gusto alle fonti letterarie di Nicola Caporale di Badolato o storiche di Marziali Mirarchi di Isca oppure di altri scrittori o preziosi memorialisti. Però mi sono abbeverato quotidianamente anche alle narrazioni orali dei miei familiari maggiori o addirittura a quelle degli anziani seduti attorno al bracieredelle loro case e persino alle panchine del borgo o della marina.

Ti ricordo che ho ancora circa 300 ore di fonoregistrazioni di centinaia e centinaia di persone e gruppi sulla storia e la letteratura di Badolato, cui si aggiungono quasi diecimila fotografie che descrivono una comunità, quasi capillarmente ritratta dal 1973 al 1977. Cosa che non tutti i piccoli paesi come Badolato hanno. Una ricognizione umana e sociale che mi è costata molto, anche in termini economici oltre che di sacrifici personali enormi che soltanto la passione e l’amore per la propria gente mi poteva far affrontare.

Ed era tale e tanto l’amore per la mia gente, per le istituzioni e per tutto il popolo che il mio sogno era quello che, prima o poi, potessesorgere ed operare una vera e propria “Università dialettale” per la migliore conoscenza e la maggiore valorizzazione della nostra cultura popolare spontanea.

NAZARENO CIRCOSTA “MAESTRO DI TERRITORIO”
Cultura spontanea e preziosa come taluna vegetazione che il “maestro-ecologo del territorio e dell’ambiente ” Nazareno Circosta (nascita in Pietracupa di Guardavalle e poi cittadino di Badolato e del mondo) sta cercando di scoprire, conoscere e catalogare sui terreni del litorale jonico, sulle colline e sulle montagne del nostro Golfo di Squillace, pure per organizzare, assieme ad altri appassionati, un interessante raduno nazionale sulle “orchidee spontanee” ed altri fiori nascosti sui nostri prati.

IL MIO MIGLIORE NUTRIMENTO
Il mio migliore nutrimento è stato e continuano ad essere la poesia, le narrazioni, le foto, la musica e i ricordi di Vito Maidadi Soverato, nonché la letteratura genuina ed intensa della mia quasi coetanea badolatese, grandepoetessa Nicolina Carnuccio. Nutrimento sono gli scritti e l’arte di Mimmo Badolato (da una vita a Soverato) e la irripetibile letteratura popolare così tanto diffusa in ogni compaesano e, principalmente, in Tota Gallelli (che a sua volta ha assorbito quotidianamentedalla indimenticabile madre che ho abbondantemente fonoregistrato nel 1975).

Ma scrivere significa pure fotografare, dipingere, scolpire, fare musica e quanto altro possa descrivere il mondo jonico ed universale. Come non ringraziare ancora e sempre i maestri fotografi Giocondo Rudi (Badolato-Soverato) e Vittorio Conidi (Badolato-Santa Caterina Jonio), nonché i componenti del gruppo musicale “I Figli di Calabria” di Soverato, i miei “Euro Universal” ma anche Mimmo Audino e i suoi bravi artisti???… E sono soltanto un esempio!… un accenno!

Il mio migliore nutrimento sono ancora e in ogni dove i campi ben coltivati dai nostri contadini ed agricoltori, a cominciare dai solchi ben tirati da mio padre e ai suoi terreni tenuti sempre ordinati che era una beatitudine il solo vederli. La bellezza di Kardara e dell’universo-mondo è il mio più costante e ricercato nutrimento.E tutto questo nutrimento di vita e di bellezza è diventato il patrimonio sociale che donerò interamente alla mia gente o all’universo-mondo. Oppure si autodistruggerà, se la cattiveria umana continuerà ad essere maggiore del mio coraggio!…

LA MIA EREDITA’
Caro Tito, al momento la mia eredità esistenziale consiste in ben 55 metri cubi di documenti, fotografie, oggettistica sociale varia, libri e quanto altro custodito nel mio archivio personale, quasi tutto dedicato a Badolato e interzona, a Roma, alla Calabria, al Molise ma anche all’universo-mondo.

Prevedo che, se avrò ancora vita e salute, questi 55 metri cubi siano destinati ad aumentareancora di molto.

E, purtroppo, così come stanno adesso le cose, non è “locale” il destinatario di tutta questa documentazione, di questa mia enorme eredità umana e intellettuale, sociale e territoriale (che al 90% interessa, direttamente o indirettamente,proprio il nostro territorio jonico).

Sarei assai felice se questa mia eredità (importante specialmente per tutti i calabresi) potesse restare in zona jonica (dal momento che la comunità di Badolato non me lo ha permesso). Magari a Catanzaro o, meglio, a Soverato in una auspicabile e costruenda struttura universitaria . Ma andrà bene pure Reggio o Crotone, Locri o Vibo, Lamezia o Cosenza!

SOVERATO CAPITALE JONICA?
La città di Soverato (CZ) è nota come “la perla dello Jonio”. Tale “superlativo” imporrebbe a tale Comunità di adempiere alla sua più naturale funzione di “capitale jonica” nel modo più completo ed operativo possibile, altrimenti potrebbe essere un modo autoreferenziale (e non riconosciuto o tollerato da altri) di farsi o ritenersi più bella tra le belle di altre località joniche di Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia… e magari soltanto a fini di propaganda turistica … quando, invece, la bellezza è meglio che sia pure sostanziale, oltre che estetica! Vero Tito?…

Personalmente, sono del parere che Soverato (almeno per come e quanto la conosca o la percepisca, nonostante la mia lunga assenza) possa e debba adoperarsi perché sia davvero non “una” ma “la” capitale di tutto lo Jonio e non soltanto il capoluogo comprensoriale, di cui Badolato Marina fa parte.

UNIVERSITA’ JONICA A SOVERATO?
Intendo, con questo, dire che Soverato possa e debba essere il maggior centro propulsore jonico a tal punto da avere, per esempio, tra tanto altro, almeno una “Università Jonica” che coordini ed incentivi tutto ciò che è necessario rivendicare o addirittura pretendere perché la costa ed il suo immediato entroterra torni ad essere sede di civiltà che ricordi o superi, col tempo, quella primigenia italica e magno greca.

In tale contesto e tra tante altre discipline di studio e di progresso, Soverato potrebbe e dovrebbe cominciare a pensare ad una “Storia delle marine joniche” raccogliendo e coordinando testimonianze orali e scritte, foto e quant’altro porti ad una memoria sociale compartecipata e condivisa… prima che sia troppo tardi (specialmente per le generazioni che stanno ormai andando via, come la mia, per esilio, emigrazione o morte).

Una “Università Jonica” a Soverato può significare, ad esempio, effettuare una gara di brevetti non solo industriali e idee di produzioni originali, realizzare pure un (magari già previsto) “Centro di biologia marina” per studiare e difendere il nostro mare, tra le nostre principali risorse.

Insomma, un nuovo corso di studi legati al territorio e alle sue genti, ma con un orizzonte ed una visuale, più che internazionale, globale (coinvolgendo non soltanto i cittadini di Soverato e dintorni ma anche ogni nostro emigrato nei 5 continenti). Insieme, ci sono più probabilità di farcela, sotterrando l’ascia di guerra. Ed ognuno potrà avere il proprio ruolo, importante!

Una “Università” che aiuti formazione, civiltà ed economia sostenibile … per una Soverato, uno Jonio da esportare con un proprio logo e un proprio marchio ovunque sia possibile (non-solo-turismo). Se si ama si può! C’è molto da lavorare ed avere una forte motivazione, uno scopo, un orizzonte, un qualsiasi buon progetto da realizzare è il maggiore antidoto alla depressione urbana, sociale ed economica!

Ci sono sedi universitarie (in piccole città come Soverato, tipo Camerino, Urbino, Cassino, ecc.) che sono nate con un solo istituto universitario. E lo stesso polo universitario di Catanzaro è nato con una (non ancora riconosciuta) “Libera Università”.

Ritengo che i Salesiani possano dare una grossa mano per far nascere una utile “Università” a Soverato, specialmente se l’intenzione è quella di realizzare un “Istituto di scienze missionarie” e/o un “Istituto di scienze umanitarie” o altri istituti legati alle nuove esigenze dell’immigrazione e della globalizzazione, nonché alle “Scienze turistiche” e alla valorizzazione di altre risorse locali (come il tartufo calabrese).

AAAAAAAA … CAPITALE JONICA CERCASI
La costa jonica trova in Puglia quella splendida punta di Santa Maria di Leuca (finis terrae) che “sembra fermare”vorticosamente il mare Adriatico per lanciare lo Jonio verso la Sicilia estrema dove a Capo Passero di Porto Palo (dopo aver beato e bagnato le sue stupende coste) abbraccia e saluta il più caldo mare Africano.

Lo Jonio, tra i mari figli del Mediterraneo, ha una propria e più spiccata personalità. Pure evocativa e futuribile. Infatti, è sostanzialmente un mondo a sé, per come è ricco e completo di valori antichi e di potenzialità future.

Soverato, grazie pure alle prospettive teoriche e concrete dimostrate dal filosofo Salvatore Mongiardo, dallo storico Ulderico Nisticò e da altri che mi capita di seguire di tanto in tanto (specialmente su www.soveratoweb.com), potrebbe essere almeno una delle più attive “capitali etiche e valoriali” del mondo passato e futuro, non soltanto jonico.

Ebbene, comunque sia, allo Jonio necessita assolutamente, prima possibile, diavere una vera e propria “capitale”. Riuscirà Soverato a diventarne centro propulsore e coordinatore?… Lo spero! Altrimenti bisognerà puntare su Taranto o Catania, Siracusa o Crotone, Messina e/o Reggio, Catanzaro o Locri.

“CAPO SUD” COME CONURBAZIONE REGGIO-MESSINA
Caro Tito, sai bene (pure per aver già dedicato finora più di dieci lettere, sul totale di queste 236) come e quanto dal 1999 (sono ormai ben 20 anni) lavori e “lotti” per un“Capo Sud Europa 3” … cioè la valorizzazione della terza punta più a sud dell’Europa continentale che ricade fisicamente a Melito di Porto Salvo (RC) ma che idealmente è tutta la zona dello Stretto (se non addirittura entrambe le province di Reggio e Messina) o almeno la costa calabrese che va da Brancaleone a Scilla, grosso modo, quella più a sud dello stivale.

Ebbene, se uniamo il “Progetto Capo Sud” all’idea di una Capitale dello Jonio, potremmo puntare sulla conurbazione Reggio-Messina (e dintorni) non soltanto come Capitale dello Jonio (Jonio City), ma anche come Capitale del Mediterraneo (Med-City) e, quindi, centro degli altri due “Capo Sud Europa” (Spagna e Grecia).

CALABRIA E SICILIA L’UNIONE LUNGIMIRANTE
Caro Tito, ritengo che non ci siano in Italia “regioni-sorelle” interessanti e belle, antiche e promettenticome Calabria e Sicilia. E tali da poter significare non soltanto a livello nazionale ed europeo, ma anche a livello globale.

La conurbazione dello Stretto potrebbe essere propedeutica proprio per un Progetto assai più lungimirante di Unione propulsiva e valida anche per altre realtà.

Ritengo, altresì, che bisognerebbe approfondire tale discorso pure per trovare maggiori e migliori punti di contatto e collaborazione, aumentando e rafforzando i tantissimi che già ci sono tra le due regioni-sorelle.

L’unione lungimirante Calabria-Sicilia (e, in particolare, Reggio-Messina-Stretto che è una delle zone più complete e suggestive al mondo) mi ricorda quell’area metropolitana inter-Stati denominata “La grande New York” formata dall’area inter-urbana comprendente New York, Long Island, una parte degli Stati del New Jersey, del Connecticut e della Pensylvania. Ma …

TORNIAMO ALLA BADOLATO MARINA DEGLI ANNI 50

Caro Tito, scusami se ho divagato, concedendomi agli invitanti “voli pindarici” anche se (devo dirti) c’è un sottinteso ed invisibile filo che unisce tutti questi miei accenni a discorsi da approfondire, anche quelli che apparentemente sembrano distanti tra loro.

Ma, a volte, il discorso accavalla le sue idee e i suoi riferimenti come il mare accavalla spesso leonde o le correnti, quasi fosse un gara per arrivare a riva o per vociare, evidenziarsi ed esibirsi di più. Come le ciliegie, una riflessione tira l’altra. Torniamo in tema!…

Torniamo, perciò, alla Badolato Marina degli anni 50-60. I partiti politici ed altri gruppi sociali, allora presenti a Badolato (Superiore), hanno faticato parecchio prima di aprire una sede a Badolato Marina e, comunque, molto dopo l’entrata in azione della parrocchia, la quale, volenti o nolenti, era l’unico centro di convergenza religiosa, culturale e ludica, fin dalla sua inaugurazione del 14 marzo 1956.

Quindi, noi bambini, volenti o nolenti, avevamo i locali della chiesa come quotidiano punto di riferimento oppure la piazza antistante, dove era possibile convergere dai rioni per giocare a tutti i più tradizionali giochi possibili allora (specialmente il gioco del calcio).

Ma, pur giocando in piazza, ci sentivamo più sicuri poiché la canonica (quasi come una nostra seconda casa) era sempre aperta per noi, per qualsiasi esigenza!… Ti pare poco, caro Tito, in una litorale ancora semidesertico?!

Su questi giochi più antichi, innocenti e tradizionali hanno effettuato un’attenta e precisa ricerca, catalogazione e descrizione principalmente due dei più attivi fautori della già citata associazione culturale “La Radice” di Badolato, i professori Vincenzo Squillacioti e Mario Ruggero Gallelli, che, pure nelle loro posizioni apicali, ne relazionano sull’omonimo periodico a beneficio di tutti i lettori.

Uno studio sulla nostra cultura popolare è stato pure pubblicato dal giornalista Pietro Cossari e talune memorie parrocchiali pure dall’attuale parroco, don Salvatore Tropiano (nativo della confinante Santa Caterina dello Jonio ma di antiche origini badolatesi).

I PRIMI GIOCHI IN PARROCCHIA
Come serena e sana aggregazione, le attività parrocchiali (ludiche o di intrattenimento culturale e religioso) erano diventate negli anni 1956 -70 davvero molteplici: dal teatro alla musica, dalle conferenze alla creatività, dal coro alla caccia al tesoro, dalle gite ai pellegrinaggi, dalla tombola agli scacchi e via dicendo. Per gran parte di noi un’assoluta interessante ed istruttiva novità.

Inoltre, i Padri francescani avevano portato uno dei primissimi apparecchi televisivi (che attraevano persone di ogni età), ma anche nuovi giochi tipicamente giovanili come il “calciobalilla” o il “ping-pong” o il “tamburello”.

C’era, altresì, una gara tra la gioventù maschile e quella femminile a chi portava i giochi più divertenti … tanto che il gioco delle carte napoletane (briscola, scopa, tre-sette, ecc.) quasi che non si faceva più, poiché veniva soppiantato da giochi più nuovi, gradevoli, interessanti e attraenti. Facevamo settimanalmente persino un giornalino ciclostilato (K elevato K) che veniva diffuso per le case della marina.

MASCHI E FEMMINE QUASI ARMONIOSAMENTE
Giocare, insieme, maschietti e femminucce non era una novità per paesi meridionali come Badolato. Certamente. Ma era limitato allo stare nelle classi, alla refezione, alla ricreazione e ad altre ritualità scolastiche, interfamiliari o rionali. Quindi, ciò che è avvenuto nell’àmbito della parrocchia di Badolato Marina riveste una bella e particolare importanza per la crescita di entrambi,maschi e femmine, ai più alti e rispettosi livelli.

Infatti, collaborare insieme non soltanto nel gioco ma anche e soprattutto nella realizzazione di eventi socio-culturali e religiosi di spessore … ecco è stata proprio questa la novità comportamentale, ma pure antropologica e sociologica che è necessario registrare come positiva e addirittura armoniosa. Esaltante, per me, sempre pieno di iniziative da proporre e da realizzare!

E lo possiamo confermare ancor di più e meglio adesso noi che abbiamo un’età attorno oppure oltre 70 anni … noi che abbiamo avuto la fortuna di avere le preziose opportunità offerteci (gratuitamente) dal sistema-parrocchia… pur non nascondendo, comunque, una qualche “riserva” e “critica” di fondo… che svilupperò altrove e a momento più opportuno.

Ma tant’è!… Non esiste la perfezione assoluta. L’importante è evitare mali peggiori, visto e considerato come va il mondo!… Però, tutto sommato, l’educazione infantile e giovanile dovrebbe essere (se e quando è possibile) altra cosa da come, pur benemerita, l’abbiamo avuta noi in parrocchia, ma anche a scuola e dalla TV. E’ necessaria una migliore e più rispettosa pedagogia!

Noi frequentatori della parrocchia, oltre ai frati francescani, dobbiamo ringraziare (e molto) una figura generosa quanto strategica come Luisetta Caporale che definisco “educatrice parrocchiale” ma che va al di là di ogni possibile inquadramento o categoria per quanto e per come si è spesa per la infanzia e gioventù badolatese delle generazioni che vanno dal 1950 a tutt’oggi, pure come insegnante elementare ed animatrice culturale.

LE POSSIBILITA’ DI GIOCO PER BAMBINI E RAGAZZI
Intanto, diciamo subito che, ai tempi della nostra infanzia, prima che intervenisse la parrocchia, noi maschietti svolgevamo quasi tutti i giochi all’aria aperta e in spazi ampi, coincidenti, spesso, con buona parte del territorio urbano e negli immediati dintorni. Comunque, l’ampia piazza antistante la chiesa (al rione Stazione) e la piazzetta del rione Maiolina costituivano il punto di convergenza stabile prevalentemente di bambini e ragazzi in ogni stagione (anche se la presenza femminile andava via via aumentando negli anni di emancipazione).

Il mare (inteso come spiaggia e acqua), essendo vicinissimo alle nostre case, era il primo, il più ovvio e naturale, il più preferito ed importante “parco giochi” non soltanto nella bella stagione (che da noi, sullo Jonio, cominciava da marzo fino a tutto ottobre, con il primo e l’ultimo bagno) ma anche in autunno e in inverno quando, cioè, noi bambini potevamo comunque divertirci un mondo, quasi con niente!

Altro luogo preferito da noi bambini era il cosiddetto “Monte Manna” ad immediato ridosso delle nostre case … ovvero un sistema di collinette argillose e disadorne che erano l’ideale scenario per i nostri giochi guerreschi tra indiani d’America o “pellerossa” e i “visi pallidi” (cow-boy o giacche blu dell’esercito yenkee), a ispirazione e ad imitazione del famoso film a puntate “Le avventure di Rin Tin Tin” (o altri sceneggiati) che seguivamo spesso con entusiasmo, durante il pomeriggio della “TV dei ragazzi” dedicato all’infanzia e alla pre­adolescenza dalla neonata Televisione italiana.

IL GIOCO DELLE BAMBINE
L’apertura della parrocchia, in verità, ha giovato maggiormente alle bambine e alle ragazze. In questo senso (ma anche nella cultura e nell’aggregazione pure con i maschietti), la parrocchia ha rappresentato un luogo ed un periodo di vera, sana e grande emancipazione femminile in Badolato Marina, soprattutto.

Ma, in parrocchia, l’emancipazione era tantissima pure per noi maschietti, anche se eravamo più liberi di scorazzare indisturbati e di ritirarci pure tardi, con il buio. Le bambine erano ovviamente più “ritirate” anche se frequentavano la parrocchia, la quale, se non altro, le portava spesso in gita, persino lontano da Badolato.

Le adolescenti e le giovanissime, poi, raggiungevano piccole e grandi città italiane e persino le Alpi per partecipare ad incontri associativi di Azione Cattolica o di altri sodalizi attinenti. Senza la parrocchia, le bambine e le ragazze sarebbero state destinate a stare in casa a preparare il corredo da sposa oppure ad andare da maestre di ricamo, taglio e cucito oppure uscire addirittura accompagnate da un familiare.

FINO ALLA COMPLETA PARITA’
Grazie anche alla parrocchia (oltre che agli altri strumenti sociali, ideologici, politici e comportamentali appartenenti ad ambienti del centro-nord Italia) posso dire di aver visto, specialmente tra studenti, la piena emancipazione dei due sessi fino alla più completa parità. Cosicché le ragazze, già ai primi anni settanta, potevano liberamente stare con noi maschietti, anche fuori paese, persino di notte. C’era tra noi un reciproco rispetto ed una familiarità sincera, pure nel sano divertimento.

Inoltre, la gestione dei sentimenti e delle attività psico-sessuali avveniva solitamente in modo pacato e non affatto traumatico, come in altri ambienti familiari e sociali ancora sostanzialmente tradizionali o chiusi. In parrocchia si discuteva apertamente di amicizia tra ragazzi e ragazze, di amore e di sesso, di famiglia e di problematiche da evitare o da affrontare con serenità, pure con le persone più adulte che ci guidavano con molta sapienza e benevolenza. Ci consigliavano riviste e libri da leggere per capire meglio la vita e i suoi misteri.

Così è stato davvero proprio bello crescere, nel modo più sano e garantito per quei tempi! Ma, purtroppo, la frequenza delle tante attività della parrocchia non era per tutti, a causa di ceto e di classe sociale. Dico di “frequenza” e di “assiduità” non di partecipazione sporadica, che era libera e possibile per tutti, almeno nei giorni festivi.

A BOTTEGA PER IMPARARE UN MESTIERE
Infatti, negli anni 50-60 i maschietti, bambini o ragazzi, dei ceti più umili (contadini e operai poveri) non erano liberi come coloro i quali erano figli di contadini e operai benestanti, della piccola borghesia o dei professionisti e, quindi, destinati a proseguire gli studi.

I bambini (considerati “poveri” o senza mezzi per continuare a studiare dopo le elementari) trascorrevano in “bottega” tutta l’estate sempre, ma pure d’inverno, nei pomeriggi dopo la scuola.

Se le bambine povere erano costrette a casa a ricamare il corredo e a fare il tirocinio da casalinghe, i bambini poveri erano costretti a imparare un mestiere frequentando una delle tante botteghe artigiane disponibili (sarti, falegnami, meccanici, parrucchieri, commercianti e così via) oppure presso un muratore o altro settore che permettesse di lavorare prima possibile.

Non era comunque raro che i figli dei contadini seguissero i genitori per collaborare ai lavori dei campi, specialmente d’estate. Per costoro, i giochi o andare al mare con gli amici a fare il bagno erano opportunità rare.

Tuttavia, alla domenica o in altri giorni festivi, tutti i bambini e le bambine, i ragazzini e le ragazzine potevano frequentare la parrocchia e partecipare a tutte le attività.

Solitamente, i ragazzi poveri (maschietti e femminucce), appena possibile emigravano con la famiglia. Cosicché, le attività parrocchiali erano frequentate in prevalenza da studenti o da altri che non fossero in stato di bisogno (come si diceva allora).

SENZA GIOCATTOLI …
In pratica(a parte i giochi tradizionali a “costo zero”), prima del 1960-61 non c’era altro per noi bambini e per i ragazzini … però era più che sufficiente, anche perché eravamo felici e spensierati nell’inventare i nostri giochi e nel costruire da noi stessi gli strumenti del gioco … come, d’altra parte, accadeva in gran parte di quell’Italia popolare e postbellica che faticava a riprendersi, ma si dimostrava, forte, dignitosa e tenace in una “ricostruzione” non soltanto edilizia, infrastrutturale e fisica dopo le devastazioni anche morali della guerra.

Pure le bambine costruivano da sé i giocattoli, oppure s’inventavano il tipo di giochi, nel caso non volessero utilizzare quelli più tradizionali e ovvii.

Inoltre, ricordo che (solitamente fino ai 12-13 anni) c’incantavamo ad ascoltare i racconti dagli adulti (attorno al braciere d’inverno o all’ombra d’estate). Non era un gioco questo ma era come se lo fosse, poiché eravamo soliti interagire tra di noi ascoltatori o con chi ci raccontava. Il “gioco dei racconti” c’era pure e consisteva nell’inventare una storia. Vinceva il racconto (u cunticeyhu) che era piaciuto di più.

PRIMI GIOCATTOLI INDUSTRIALI
Quando cominciarono a circolare, i primi giocattoli industriali non erano, comunque, per tutti. Se lo potevano permettere soltanto i cosiddetti “Signori” cioè la piccola e media borghesia, o l’elite che era ben poca nei nostri paesi rurali e tanto poveri da vedere già le prime partenze per il Nord Italia, la Svizzera, la Francia e la Germania.

Personalmente non ho avuto modo di provare invidia per i giocattoli industriali in possesso di alcuni miei compagni di scuola e di giochi. Compagni che, comunque, erano assai gelosi e restii persino a far toccare i loro giocattoli, anche se rischiavano la solitudine e l’isolamento (giocavano da soli o tra “ricchi” spesso nascosti oppure dentro le loro case). Erano rari i bambini che erano disposti a condividere i loro giocattoli o le loro prime biciclette o i monopattini.

Per fortuna mia, avevo in Kardara la mia più grande risorsa in tutto e per tutto, pure nei giochi che mi costruivo da me o assieme agli altri figli di operai e contadini che frequentavano quella contrada.

Posso ben dire, quasi con orgoglio, che non ho mai avuto un vero giocattolo industriale o acquistato alle fiere paesane in vita mia. E, nella mia infanzia frugale e felice, non avevo nemmeno l’idea o l’esigenza di chiederli!… Il mio più bel giocattolo era la Natura, lo splendore e l’Armonia di Kardara. Il mare tutto l’anno, principalmente, che ho sempre considerato come un nonno, in compagnia del quale stavo molto bene!

KARDARA TRA STRADA 106 E FERROVIA JONICA
Caro Tito, ti sembra niente?… ma è stato meravigliosonascere e crescere fino ai 12 anni nel casello n. 324 della ferrovia Metaponto – Reggio Calabria, avendo a 2 metri dall’uscio di casa pure la strada statale jonica 106 in quella contrada “Kardàra” così tanto popolata di famiglie di contadini ed operai (specialmente d’estate) che sembrava di vivere in un piccolo villaggio di almeno 200 abitanti, tra cui tanti miei coetanei con cui giocare come sapevamo giocare noi bambini di campagna, almeno nel sud Italia, nel periodo postbellico, prima del cosiddetto “boom” economico (che al nord Italia è esploso nel 1960 e che al sud Italia è giunto quasi dieci anni dopo).

In particolare, vivendo quasi sempre all’aperto (essendo tutte le 4 stagioni gradevoli e quasi mai proibitive per il freddo), oltre a conoscere minuziosamente il territorio circostante fatto di innumerevoli animali, insetti, fiori e piante e quanto altro, potevo dedicarmi a conoscere da vicino coloro che, con ogni mezzo, transitavano sulla strada nazionale “litorale” jonica 106.

IL MIO GIOCO DELLE TARGHE A KARDARA
Essendo costantemente a contatto fisico o soltanto visivo con la strada nazionale, avevo la possibilità di vedere, in pratica, tutti i veicoli in transito da sud verso nord e da nord verso sud.

Quale era il mio gioco personale con tutto ciò?… Fondamentalmente era la curiosità di capire e conoscere il mondo che mi passava davanti, così come pure i treni che sferragliavano dall’altra parte della mia casa, a pochi metri dalle nostre finestre.

Capire ciò che mi capitava di vedere, leggereo ascoltare è sempre stato il primo scopo della mia vita. Come ti ho detto in altre lettere, sono nato così pieno di interrogativi da avere un carattere perennemente curioso e persino inquieto. Spesso ribelle.

Riguardo le targhe degli autoveicoli che passavano davanti a Kardara, con il mio gruppo di amici “kardaroti” spesso ci sfidavamo a chi sapesse riconoscere (dalla sigla delle targhe) la provincia di appartenenza degli automezzi in transito. Questo avveniva almeno dal 1957 in poi, attorno ai nostri 7-9 anni d’età, specialmente quando eravamo soliti stare in piccoli gruppi distanziati a bordo della strada a vendere frutta agli automobilisti.

Quando avevamo difficoltà con qualche targa, chiedevamo agli adulti che c’erano al momento a Kardara, specialmente d’estate davanti al casello dove abitavo, sempre pieno di gente, provenienti anche da fuori regione per la compravendita di frutta, specialmente di pesche. In particolare, io potevo chiedere ai miei fratelli maggiori.

ALTRI TIPI DI TARGHE
Dal mio osservatorio di Kardara (che prevalentemente era la strada statale jonica 106) notavo, spesso assieme ai miei coetanei “kardaroti”, che esistevano altri tipi di targhe, oltre a quelli con la sigla delle province. Come, ad esempio, “EI” stava per Esercito Italiano, “CRI” – Croce Rossa Italiana, “CD” - Corpo Diplomatico, “GdF” – Guardia di Finanza, “CFS” – Corpo Forestale dello Stato, EE – Escursionisti Esteri e così via.

Ricordo un episodio. Mio fratello Antonio, attorno ai suoi 20 anni, nel 1955-56, durante il servizio militare era imbarcato sulla bellissima nave-scuola “Amerigo Vespucci”. Sul treno, tornando per una licenza, ebbe un problema di salute che non si riusciva a risolvere in casa. Mio padre, tramite i carabinieri, chiamò l’Ospedale Militare di Catanzaro che venne a prelevare mio fratello con un’ambulanza targata “MM”. Seppi allora che “MM” stava per Marina Militare.

Così, tramite gli adulti di Kardara, io e i miei coetanei cominciavamo ad avere dimestichezza con gli autoveicoli di Stato o provenienti dall’estero europeo o USA.

LE GRANDI AUTOMOBILI AMERICANE
Caro Tito, sicuramente durante la tua infanzia sarà capitato di vedere quelle grandi automobili americane, precisamente provenienti dagli Stati Uniti al seguito di nostri emigrati che avevano fatto fortuna in quell’immenso Paese. Le targhe di questi macchinoni erano un po’ strane (talune avevano scritto il cognome del proprietario, ad esempio “Mazza”), però si poteva conoscere lo Stato di provenienza poiché solitamente era evidenziato sulla targa.

Ad esempio, in Badolato Marina, nello stesso mio caseggiato dell’Ina Casa, lungo la strada nazionale jonica, abitava, in prima fila, la famiglia dell’insegnante elementare Rinaldo Rovito (mirabile ed indimenticabile persona). Alla fine degli anni 50 o primi sessanta, il fratello Nando, emigrato nello Stato di New York, è tornato in vacanza con uno di quei transatlantici che faceva la spola tra Italia e USA, portandosi dietro una di quelle grandi auto, tipiche americane, che vedevo spesso parcheggiata sotto le nostre case. Rispetto alla Fiat 500 o alla 600 di allora, quella Pontiac sembrava una grande barca con un salotto enorme, che poteva contenere comodamente 8 persone!

Prima che gli aerei soppiantassero le navi transatlantiche, mi è capitato di vedere passare da Kardara parecchie di queste immense automobili americane guidate da italo-americani che parlavano un dialetto frammezzato da parole in inglese. E alcuni si fermavano a comprare le pesche o i fichi che noi bambini vendevamo a cesti o a panieri ai bordi della statale jonica 106, all’ombra dei frondosi ulivi di Kardara. E’ stato assai divertente!

In questi ultimi decenni, girando per il mondo, ho conosciuto amici e ho visto ristoranti e altri centri d’intrattenimento che facevano la collezione di vecchie e nuove targhe automobilistiche USA per esibirle in casa o nei locali di aggregazione e ristorazione. Così ho notato che le targhe automobilistiche hanno un loro fascino e una suggestione anche evocativa, oltre che scenografica.

ECCO, MI TORNA IN MENTEIL GIOCO DELLE TARGHE
Caro Tito, ormai non ci pensavo più da decenni. Poi, improvvisamente, un giorno della scorsa estate 2018, è emerso alla mia mente il ricordo di quando noi bambini attorno all’anno 1960 ci divertivamo a giocare in gruppo, annotando su un quaderno il numero delle targhe degli autoveicoli di passaggio sulla strada nazionale jonica 106 all’altezza di Badolato Marina.

Mi sono detto “Lo devo dire a Tito”… pure per vedere se qualcuno dei nostri lettori si riconosce in questo gioco nel resto della Calabria e della Sicilia, persino in altri paesi italiani o esteri. E, magari!, ci faccia sapere come e quando è stato per loro.

Da agosto ad oggi, in questi 6 mesi, in verità, fidandomi soltanto della mia memoria, non mi sono interessato adeguatamente (secondo i miei consueti standard di impegno) però, ricordando altri particolari, mi sono fatto un’idea della nascita e della diffusione di questo gioco.

Ma poi (quando si è trattato di mettere nero su bianco) ho sentito l’esigenza di chiedere almeno a taluni miei coetanei di Badolato e dei paesi vicini. I ricordi combaciano, in particolare (come ti ho accennato prima) con il grande amico Mimmo Brancia, il quale (pur avendo una memoria di ferro) però non ha mai saputo oppure non ricorda da chi e come è cominciato questo gioco di annotare le targhe automobilistiche, a Badolato Marina.

IL MIO RICORDO
Caro Tito, sono ormai passati quasi 59 anni dall’evento che, adesso, intendo ricordare come bello, originale, interessante e divertente. Comincio col dire che a quel tempo (estate 1960) abitavo ancora al casello ferroviario n. 324 di Kardara, a circa 1500 metri dal centro della mia Marina (costituito allora dall’unica chiesa esistente e, diciamo, anche dalla stazione dei treni e dal bar Staiano).

Da ottobre a maggio andavo alla scuola elementare, mentre solitamente da giugno a settembre restavo quasi sempre con i miei amici di Kardara, per divertirmi al mare o in altri giochi, ma anche per guadagnare qualche soldino con la vendita di fichi e pesche agli automobilisti.

Ricordo che un giorno di metà giugno 1960 sono salito, verso le ore 8 di mattina, con il piccolo e traballante autobus celeste OM di don Raffaele Bressi, a Badolato Superiore per farmi rilasciare dal Comune una serie di certificati che mi servivano per trascorrere il mese di agosto nella colonia montana dei ferrovieri a Gambarie d’Aspromonte in provincia di Reggio Calabria, a circa 180 km da casa.

Al ritorno, davanti al bar Staiano (ripeto, l’unico aperto a quel tempo sul nostro tratto di strada statale 106), ho visto due miei compagni di scuola elementare scrivere sui propri quaderni guardando le automobili che passavano davanti. Ho chiesto loro cosa facessero.

Uno dei due, “Totò u Spettinatu” (ovvero “Antoniolo spettinato”, piuttosto discolo, di un anno più grande di me)mi ha risposto che il padre gli aveva detto che la “TV dei ragazzi” aveva messo in palio dieci biciclette per i primi dieci bambini che avessero annotato un numero di targhe di automezzi in transito per il proprio paese.

Inoltre, il padre avrebbe dato a lui 10 lire (pari a circa 2 euro di oggi) ogni giorno per comprarsi il gelato al bar Staiano. Quindi, mi ha sollecitato a partecipare a tale concorso. Gli ho promesso che avrei iniziato il giorno dopo, ma solo per pura e semplice curiosità, non tanto per il premio della bicicletta in quanto al casello ne avevo a disposizione due, una di mio padre e l’altra di mio fratello Antonio che già usavo abbondantemente.

Comunque, gli ho detto pure che non credevo ai premi della Televisione, in quanto tre mesi prima (aprile 1960) avevo partecipato al concorso (sempre della “TV dei ragazzi”) per dare un nome ad un puledro, inviando tante lettere con tantissimi nomi e non mi avevano nemmeno risposto.

ON THE SIDE OF OUR MAIN ROAD
Fui di parola, il giorno dopo mi presentai davanti al bar Staiano con il mio bel quaderno a righe e una penna a sfera. Dalla stazione dei treni era già passata la “littorina” delle 8 e non c’era né Totò né il suo amico. Aspettai un po’ e, proprio mentre me ne ritornavo a Kardara, li ho visti arrivare assieme a due bambine.

Giungemmo ad un accordo: alla fine della mattinata avremmo integrato vicendevolmente i numeri che non eravamo riusciti a trascrivere o avevamo scritti male o in modo incompleto. Infatti, non sempre avevamo il tempo di annotare le targhe delle macchine, specie quando ne passavano due o tre per volta oppure un camion copriva un’auto o una moto.

A quel tempo non c’era, ovviamente, il traffico di oggi, però passavano parecchi camion (con o senza rimorchio), specialmente in direzione nord (cioè Soverato – Catanzaro – Taranto), dal momento che (ho appreso qualche anno dopo) non c’era ancora l’Autostrada del Sole a sud di Napoli e, per tale motivo, agli automezzi pesanti(specie se provenienti dalla Sicilia) convenivapercorrere la strada nazionale jonica (quasi tutta pianeggiante) piuttosto che la strada nazionale n. 18 tirrena inferiore caratterizzata da troppe strettoie e da una infinità di pericolosi saliscendi.

Avremmo dovuto stare attenti – diceva Totò – a trascrivere bene le targhe con la sigla “TV” perché appartenevano alla Televisione e valevano il doppio. “Sicuro?” lo interrogai. “Guarda che i miei fratelli mi hanno detto che TV significa “Treviso”! E lui “Così mi ha detto mio padre” tagliò corto, mugugnando.

Ci mettemmo ad annotare, passaggio dopo passaggio. Lì, davanti al bar Staiano gli autoveicoli tendevano a rallentare, sia perché c’era una leggera curva e sia perché davanti a quella porta c’era sempre gente (soprattutto qualcuno dei tanti disoccupati allora esistenti oppure altri che aspettavano di essere ingaggiati per qualche lavoro immediato o per il giorno dopo).

A metà mattinata, era già chiaro che le bambine erano più veloci ed abili di noi maschietti nel registrare sui loro quaderni (e in modo più completo e corretto) i numeri delle targhe. L’orgoglio della loro bravura si leggeva negli occhi anche se cercavano di contenerlo per non farci dispiacere. Ma noi maschietti ci sentivamo quasi “umiliati”.

“STATISTICA E SOCIOLOGIA DEI TRASPORTI”
Personalmente anche io avevo un orgoglio da difendere. Così mi allontanai qualche metro dal gruppo e andai a posizionarmi sul quel pianerottolo della piazza della chiesa che, alto quasi tre metri, è delimitato da due brevi scale che iniziavano proprio dall’asfalto della strada nazionale.

Da lassù avevo una maggiore e migliore visuale, che mi permetteva di scorgere prima il tipo di autoveicolo, il tipo di merce trasportata e, a volte, persino di leggere la targa piccola posta sul davanti! Una volta passato l’autoveicolo, la targa grande sul retro era ancora più leggibile e, quindi, più facilmente annotabile o correggere, integrando la prima lettura.

Volevo inoltre dimostrare ai compagni di quell’avventura che ero in grado di prendere più notizie, oltre la semplice targa. Così, annotavo anche il tipo e la marca del veicolo (se moto, automobile, camioncino, camion con o senza rimorchio … se Fiat, Lancia, OM, ecc.) e il tipo di merce trasportata (se non coperta dai teloni). Se era automobile, annotavo pure quanti passeggeri erano a bordo.

Con tale trovata sono riuscito non soltanto a stupire quei quattro colleghi, ma pure a capire io stesso, quasi immediatamente, che quell’annotare plurimo mi piaceva e ci provavo gusto. Sentivo che quel mio fare era una cosa più completa e con più senso. La mia vocazione “statistica” e “sociologica” già covava in me?… Sicuramente, ma anche per merito delle miecuriosità (da altri ritenute eccessive per la mia età pur precoce) e della vita pienamente plurima e sociale che avevo al casello di Kardara.

LA SICILIA DELLE PRIMIZIE IN TRANSITO
Come ti accennavo poco fa, non c’era ancora l’autostrada da Reggio fino a Salerno dove era più facile raggiungere poi in meno tempo il nord Italia e persino i Paesi del centro Europa. Perciò, i camion carichi di primizie e di altri prodotti agricoli, provenienti da Reggio e Sicilia, transitavano dalla strada statale jonica 106 e, quindi, da Badolato. Più o meno la medesima cosa era valida per il percorso inverso Nord-Sud … anche se in verità vedevamo meno traffico poiché non sempre i camion che salivano per la statale 106 verso Nord poi la riutilizzavano nel tornare (preferendo, per altri motivi o perché viaggiavano più leggeri, la statale 18 Tirrenica inferiore, come mi avevano detto alcuni di quei camionisti).

Già quando ero a Kardara, alcuni adulti mi avevano spiegato che i prodotti agricoli maturavano in Sicilia e persino nella provincia di Reggio, molto prima che da noi (sullo Jonio catanzarese) e quindi pure prima che in altre regioni assai fertili e versatili, come la Puglia e la Campania, specialmente gli agrumi, oltre agli ortaggi e ad altra frutta.

Perciò, dalla Sicilia tali primizie, per raggiungere i mercati del centro nord Italia e dei Paesi d’Oltralpe, dovevano viaggiare il più veloce possibile, scegliendo percorsi più brevi o meno impegnativi per i mezzi pesanti. Proprio come la Statale jonica 106.

Nel settembre 1999 (quando ho soggiornato a Melito Porto Salvo per lanciare il “Progetto Capo Sud”) ho conosciuto un anziano signore che mi ha confermato ciò. Anzi lui stesso era un agricoltore che con il proprio camion portava al mercato generale di Catanzaro tutte le sue primizie (fave, piselli, pomodori, lattughe, frutta, ecc.), proprio perché maturavano almeno 10-15 giorni prima, in media, sì!, prima dei nostri prodotti del catanzarese, già ad appena 120 – 150 km di distanza!

I CAMION CHE TRASPORTAVANO ASINI
A quel tempo (e lo notavo pure restando al casello di Kardàra) non c’era giorno in cui non passava almeno un camion pieno di asini (sicuramente provenienti dalla Sicilia o dalla provincia di Reggio Calabria). Ma passavano pure camion caricati a pecore, buoi, cavalli, muli.

La prima persona adulta (cui avevo chiesto la destinazione di tutti questi asini) mi ha risposto che venivano portati in Puglia, mentre un’altra persona mi ha detto che erano asini vecchi e decrepiti e servivano per farne mortadella. Un’altra persona ancora, smentendo tale notizia, mi assicurava che la mortadella veniva fatta soltanto con i maiali e che questi camion andavano a vendere gli asini nelle tante fiere di animali domestici e da lavoro esistenti in giro.

A quei tempi, negli anni 50-60, l’asino era ancora necessario come aiuto ai contadini nei lavori agricoli. Adesso, senza nemmeno essere ringraziati con un monumento in piazza dopo millenni e millenni di stretta collaborazione con gli umani (come avevo proposto pubblicamente nel 1987), gli asini sono praticamente scomparsi dalle nostre campagne e dai nostri paesi!

UNA PICCOLA PALESTRA MENTALE
Sono rimasto con il gruppo di “Totò u Spettinatu”per tre mattinate soltanto, poiché a Kardara mi sollecitavano gli amici di Badolato Superiore per un’altra estate da trascorrere insieme, come ogni anno. D’altra parte, l’annotare le targhe mi sembrava un gioco interessante però assai ripetitivo, anche se io avevo trovato il modo di renderlo più divertente.

Ed interessante e divertente, in effetti, era. Però l’esperienza di vedere transitare ogni genere di automezzi l’avevo già da anni a Kardara, dove (in luglio e agosto, al tempo delle pesche) c’era un transito di più camion che caricavano cassette di frutta destinata ai mercati di mezza Italia, principalmente Catania e Venezia.

Tuttavia, bisogna ammettere che quell’annotare le targhe era assai impegnativo ma gratificante, per ovvi motivi e anche per la sottile sfida che c’era tra noi bambini. Era una piccola palestra mentale che, non sembrava a prima vista, ma ci stancava (a parte il sole cocente che picchiava specialmente le nostre teste, prive di cappellino).

LA POSTAZIONE DELLA MAIOLINA
“Il gioco delle targhe” (come ormai era conosciuto) prese pure i bambini e i ragazzini della Maiolina, poiché Totò ebbe l’abilità di provocare un coetaneo di quel rione, apostrofandolo: “Ci scommetto che voi della Maiolina non riuscite a fare quello che facciamo noi!”. Me lo hanno raccontato, poiché ciò accadde quandoio non ero più “on the road” col gruppo di Totò e, quindi, non so dire chi personalmente accettò la sfida.

So per certo (per averli visti in attività e per la recente conferma di Mimmo Brancia) che il gruppo della Maiolina (con il quale non ho mai partecipato al “gioco delle targhe”) era posizionato sulla scaletta che dalla strada nazionale porta alla piccola piazza Pisani, il centro dei nostri giochi rionali (proprio di fronte all’attuale “bar Solesi”). Pure da quel rialzo la visibilità degli automezzi in transito risultava migliore e maggiore.

Mimmo Brancia ricorda che facevano parte di quel suo gruppo della Maiolina (che gareggiava con il gruppo della Stazione), i fratelli Vincenzo, Giuseppe e Andrea Naimo, Pasquale Lentini, Raffaele Gallelli, i fratelli e i cugini Lentini (Billio) ed altri delle palazzine vicine (come Totò “runcigghyu” e Tonino Buonocore, per come ricordo io).

I MIEI (TANTI) INTERGRUPPI
Come avrai notato dai vari racconti fatti dall’ottobre 2012 ad oggi, la mia famiglia a Badolato Marina aveva un alloggio Ina-Casa di riserva, proprioaccanto agli alloggi popolari per gli alluvionati del rione Maiolina fin dal 1956. Però ci siamo andati ad abitare definitivamente nel settembre 1962. E nel giugno 1967, dopo il pensionamento di mio padredalla Ferrovia dello Stato, abbiamo dovuto lasciareper sempre il casello n. 324 di Kardara.

Tuttavia, passando spesso parecchio tempo in parrocchia, ero sempre a contatto pure con i miei coetanei del rione Stazione e, quindi, ero solito giocare e familiarizzare con loro. Quindi, personalmente non partecipavo alle rivalità da Stazione e Maiolina. Comunque, già da bambino non ho mai amato le appartenenze esclusive, le partigianerie e le tifoserie. Mi sentivo “universale” come lo era la mia Kardara!

A me piaceva fare compagnia con chiunque e, in fondo, avevo tre gruppi con cui stare e giocare, specialmente da giugno a settembre: prima di tutto i coetanei di Badolato Superiore che trascorrevano l’intera estate a Kardara con le loro famiglie contadine, poi i vicini di casa del rione Maiolina e quindi, quelli del rione Stazione che frequentavano come me la parrocchia.

Inoltre (essendo divenuto a 10 anni “capo dei chierichetti”) era mio dovere essere amico con tutti i “marinoti”. E tanto più avrei dovuto essere veramente amico di tutti nel 1965 quando ho iniziato ufficialmente il mio impegno giornalistico e … poetico (entrambe le materie hanno bisogno di equilibrio e universalità).

Questa mia frequenza in contemporanea di diversi gruppi (senza dispiacere ad alcuno di essi) è rimasta una mia caratteristica fondamentale ovunque fossi andato anche in seguito, a Roma, come qui in Molise. Non nutro ancora adesso particolari simpatie e non parteggio per alcuno ma (salvo poche eccezioni) il mio spirito veramente universalista mi permette di andare d’accordo con tutti e, spesso, anche con gioia!…

Come ho raccontato nella “Lettera n. 205 del 21 gennaio 2018” dedicata ad Enzo Ermocida (amico perfetto)… tramite questo grande e compianto amico, conosciuto per primo, ho poi avuto modo e tempo per frequentare spesso (fin dalla prima adolescenza) pure il suo gruppo che apparteneva a Badolato Superiore.

IL PASSAGGIO DELLA FIACCOLA OLIMPICA
Coincidenza volle che proprio verso la fine del mese di quel giugno 1960, il Comune iniziò i lavori di impianto dei pali dell’illuminazione elettrica lungo la strada statale jonica 106 che era la via principale della neonata Badolato Marina ma era ancora quasi del tutto al buio.

Probabilmente, è a causa di questi lavori (i quali ne impedivano l’attività)che i due gruppi del “gioco delle targhe” hanno smesso di agire, almeno momentaneamente.

Oggi ritengo che la realizzazione della luce elettrica lungo il percorso fatto poi lungo la strada nazionale 106 nel tratto nostro urbano, nell’agosto 1960, dalla Fiamma Olimpica non sia stata una coincidenza, ma una infrastruttura necessaria, utile e finalizzata a quell’irripetibile evento. Infatti, la Fiamma Olimpica (proveniente a staffetta continua, via isola di Sicilia, dalla Grecia e diretta a Roma) non poteva passare troppo al buio per Badolato Marina, dopo le entusiastiche esibizioni sportive realizzate in serata sulla piazza della chiesa.

DOVREI AVERE ANCORA QUEL QUADERNO
Non so se ho conservato il quaderno del “gioco delle targhe” (e non solo). Spero di sì, però sinceramente temo di non averlo salvato nei vari trasferimenti abitativi. Infatti, ho cominciato a diventare rigoroso e puntuale “conservatore” delle mie cose e delle mie carte dalla prima media in poi, cioè dal 1961 in poi, dall’età di undici anni.

L’estate 1960 ha rappresentato il passaggio tra la quarta e la quinta elementare e, a quella età, non avevo ancora il senso del valore della conservazione dei documenti della mia crescita e del mio itinerario di vita (quello che chiamo “ITER”).

LA VERITA’ SU “TOTO’ U SPETTINATU”
Dopo qualche anno ho saputo che il padre di Totò si era inventato quel “gioco delle targhe” e il premio della bicicletta della “TV dei ragazzi” per far stare calmo ed impegnato almeno per qualche ora questo figlio tanto irrequieto e monello, il quale se troppo libero e sfrenato avrebbe combinato sicuramente qualche guaio, come era solito fare. E il padre era costretto poi a pagare in solido!

Anche se era un po’ svitato e troppo vivace fino all’impertinenza, Totò risultava gentile e cordiale con tutti quando era in “grazia di Dio”. Inimitabile, per bellezza e simpatia, il suo largo e luminoso sorriso! Parecchie situazioni, che qui sarebbe lungo solo accennare, lo hanno però portato a crescere in fretta, sicuramente più in fretta di noi suoi coetanei.

Dopo aver conseguito la licenza elementare in quel mese di giugno 1960, Totò u Spettinatu, a settembre, emigrò con la famiglia al nord Italia (mi sembra a Torino), dove si mise (forse) a lavorare. Lo rividi nell’estate di tre anni dopo, nel 1964. E per dimostrarmi che, a 15 anni, era ormai un uomo bell’e fatto, mi aprì proprio sotto gli occhi una scatola piena di preservativi. Ridendo, divertito e sghignazzando come suo solito. Era la prima volta che vedevo una cosa del genere.

Ricordo ancora oggi che fece tale gesto proprio sotto la casa di due altri grandi amici d’infanzia e di scuola (i fratelli Piero e Franco Caporale), mentre percorrevamo quella stessa strada statale jonica 106 che (300 metri più in là, davanti al bar Staiano oggi bar Centrale) ci vide, molto seriamente, intenti nel “gioco delle targhe”. Quanto eravamo semplici e ingenui! Ma sempre pur gioco era, quello! E … non c’è cosa più seria del gioco!

Da allora non l’ho più rivisto “Totò u Spettinatu” né ho più saputo niente di lui.

IL RICORDO DI LUIGI ROMEO
Tra coloro che ancora ricordano abbastanza bene il “gioco delle targhe” automobilistiche c’è Luigi Romeo (nato il 22 novembre 1950 a Badolato). Con lui però il ricordo del “gioco delle targhe” si sposta all’estate del 1962, dal momento che era in collegio fino a questa data.

E con Luigi si sposta pure il luogo dell’avvistamento degli automezzi. Infatti, per lui e i suoi amici l’annotazione delle targhe avveniva all’imbocco nord del ponte sul torrente Vodà, là dove i veicoli dovevano rallentare per via della strettoia della carreggiata. Per tale motivo, spesso, le macchine che giungevano dopo erano obbligate a fermarsi per dare la precedenza ad un mezzo pesante che si era già avvicinato di più all’imbocco opposto del ponte.

Luigi (sentito al telefono sabato pomeriggio 02 febbraio 2019) non ricorda precisamente il perché annotavamo le targhe degli autoveicoli sui nostri quaderni di scuola. Però avanza un’ipotesi riferita al fatto che i carabinieri cercassero un’auto di delinquenti e i ragazzini li aiutavano, con quelle annotazione, a capire se era passata di là. Ipotesi che mi sembra alquanto improbabile, però la registro poiché fa parte del ricordo di uno dei protagonisti di quel gioco, di cui è stato finora impossibile appurare le vere origini.

Assieme a Luigi Romeo, annotavano altri ragazzini di 11-12 anni abitanti nel rione Stazione. Tra questi ricorda benissimo Valentino Paparo (poi diventato docente di educazione fisica nelle scuole, atleta in varie discipline sportive e direttore di palestra ginnica).

IL RICORDO DI ANDREA NAIMO
Sentito per telefono lo stesso sabato pomeriggio 02 febbraio 2019, il mio amico d’infanzia Andrea Naimo (nato a Badolato il primo gennaio 1954 e abitante ancora adesso del rione Maiolina) conferma tutto ciò che mi aveva giàdetto Mimmo Brancia qualche giorno prima.

Pure Andrea non ricorda il perché ci siamo messi ad annotare le targhe delle macchine di passaggio sulla strada statale106 jonica, però tiene ancora presente, pure lui, il fatto che erano tempi, quelli, in cui ci dovevamo inventare qualcosa per divertirci e costruivamo noi stessi i giocattoli piccoli, grandie impegnativi (come la carrozza) e il salvagente a mare era un copertone o una camera d’aria di autoveicoli.

Quindi, Andrea mi ha detto che, oltre i giocattoli e i passatempi, solitamente inventavamo gli scherzetti da fare a nostri coetanei ma anche a persone adulte. Me ne ha raccontato uno in particolare: si è dovuto ricorrere ad uno stratagemma per poter almeno toccare e fruire per appena qualche minuto un giocattolo di un bambino benestante. Noi, non avevamo (come già evidenziato) giocattoli comprati ai negozi o alle fiere. La mia generazione è cresciuta (quasi tutta) senza questo tipo di giocattoli (industriali) ma soltanto con quelli da noi inventati e costruiti.

IL GIOCO DELLE TARGHE IN ALTRI
Nel giro delle tante telefonate che ho fatto a parecchi amici, nelle ultime settimane, per sapere del “gioco delle targhe” sulla statale jonica … immancabilmente tutti, dico tutti i badolatesi hanno fatto riferimento alla grande memoria di Pietro Caporale, detto “Scifola” il quale abitava al “rione Stazione”.

A costui, bisogna aggiungere la memoria Lelé Schiavone e il signor Peppino della Locride che si ispirava alle targhe automobilistiche per compilare la schedina del Totocalcio.

Mi sembra sia utile, altresì, fare riferimento ai collezionisti di targhe automobilistiche, specialmente estere e in particolare degli Stati uniti d’America … come, ad esempio, il Western Saloon dell’Agriturismo Staffoli Horses (ispirato ai tempi del Far West, di indiani e cowboys) sito ad un’altitudine di 1100 metri in agro di Agnone del Molise ma più vicino al borgo di Vastogirardi.

PIETRO CAPORALE detto SCIFOLA
E’ stato sempre un bravissimo ragazzo prima e ineccepibile uomo dopo, amato da tutta Badolato. Da bambino era stato “toccato” dalla meningite (almeno così era noto) che lo ha reso invalido ma non ha menomato la sua grande memoria. Probabilmente e paradossalmente l’avrà rafforzata.

Fervente (anzi, accanito) comunista, lettore assiduo de “l’Unità” (il quotidiano dell’allora Partito Comunista Italiano) ne sapeva riferire a memoria interi passi di articoli letti soltanto una volta. Ma aveva abbondante tempo pure per leggere tanti altri giornali, per ascoltare radio e seguire la TV (specialmente alla sezione del PCI).

Pure per tale costante esercizio di lettura e di ascolto sapeva parlare benissimo la lingua italiana, anche in modo appropriato e suggestivo. Seguiva la politica italiana ed internazionale come nemmeno il segretario della sua sezione PCI ed era piacevole sentirlo confrontarsi con persone laureate e tenere loro testa nei dibattiti. Era davvero un personaggio unico!

A causa della sua invalidità, non lavorava e, quindi, poteva stare sempre in giro per Badolato Marina.Tale presenza costante sulle piazze, per le vie e nei luoghi pubblici, gli ha permesso di memorizzare tante cose e, quindi, pure tutte le targhe delle automobili (ovviamente assai poche, allora, rispetto ad oggi) ma anche delle motorette, dei camion e di quanto altro fosse targato. E sapeva addirittura nome e cognome di tutti questi proprietari e persino dove avessero casa!

Dicevo che “Pietro ‘e Scifola” era amato da tutti i badolatesi, non soltanto per le sue doti intellettuali, ma anche e soprattutto per il suo sorriso, la cordialità, la bontà, l’estrema correttezza umana e comunitaria, il rispetto e la signorilità verso tutto e tutti …

Pure la sua famiglia era assai retta e corretta e molto rispettata in paese. Tuttavia, c’era sempre qualcuno, ignorante quanto impertinente, che lo irrideva e lo prendeva in giro per la sua menomazione … però Pietro sapeva difendersi bene e, con la sua loquacità assai forbìta e a volte pure pungente, spesso riusciva ad umiliare il suo aggressore, non perché volesse (era il più pacifico uomo del mondo) ma perché doveva dare una lezione a quell’imprudente, affinché non ci ritentasse a deriderlo.

Un comunista assai anomalo si mostrava “Petru ‘e Scifola”, in una Badolato dove l’odio di classe imperava, mentre il rancore ed altri tristi sentimenti caratterizzavano gran parte di quelli che allora avrebbero potuto essere definiti “fanatici” o “fondamentalisti” del PCI, che non erano pochi e, purtroppo, inquinavano la vita sociale, esasperandola.

Purtroppo, Pietro, per le sue condizioni di salute e per la sua diversità e disagio di base (ma anche per i suoi convincimenti, i suoi discorsi e modi di dire), era incompreso o veniva spesso preso in giro da taluni suoi stessi compagni di partito.

Eppure, ti assicuro, caro Tito, che Pietro Caporale detto Scifola (soprannome di famiglia, non personale) era e resta uno dei più simpatici personaggi badolatesi e andrebbe ricordato meglio e di più. Spero che ne dia più degna memoria e maggiore onore chi l’ha conosciuto più di me, poiché (purtroppo tra Kardara, i primi 12 anni, e l’università, con ciò che ne è conseguito) sono stato assente da Badolato per troppo tempo.

Sono stato quindi assai lieto quando, giorni faper telefono, Mimmo Brancia mi ha rivelato che, per un lungo periodo, era solito invitarlo a casa per il pranzo della domenica, contribuendo così ad alleviare la sua solitudine. Bravo, Mimmo!

LA MEMORIA DI LELE’ SCHIAVONE
Giorni fa, per telefono, l’amico prof. Mario Ruggero Gallelli mi ha detto (confermato poi da alcuni nostri coetanei del borgo antico come Pierino Ermocida) che, nei medesimi giovanili anni nostri, c’era un altro bravo ragazzo, abitante al rione Mancuso, un certo Raffaele Schiavone, detto Lelé, il quale sapeva ripetere a memoria i numeri di tutte le targhe degli autoveicoli presenti però a Badolato Superiore. Sempre negli anni 60.

LE TARGHE PER TENTARE LA FORTUNA AL TOTOCALCIO
Caro Tito, non posso concludere questa lettera n. 236 senza un altro accenno riguardante le targhe automobilistiche. Come sai, ho frequentato la scuola media a Catanzaro Lido, nei primi anni sessanta. Per tale motivo ero costretto a viaggiare. Il treno era l’unico mezzo pubblico, allora, da e per Catanzaro. Solitamente, di mattina, le automotrici delle Ferrovie dello Stato (cioè le “littorine”) arrivavano a Badolato già piene di pendolari provenienti dalla provincia di Reggio Calabria, in particolare dalla Locride.

Uno di questi passeggeri era il signor Peppino (che lavorava a Catanzaro Lido e proveniva proprio dalla Locride). Essendo un grande amico di mio padre, mi teneva il posto e così avevamo la possibilità di passare tranquilli e sereni i previsti 40 minuti del viaggio, parlando del più e del meno, ma soprattutto del campionato italiano di calcio, di storia e in particolare della seconda guerra mondiale, di cui era stato eroe decorato addirittura dagli Alleati, oltre che medagliato dell’Esercito Italiano e dai Partigiani. Insomma un vero personaggio. Un pozzo di esperienza, cui attingevo a piene mani! Grazie ancora e sempre, Peppino!

Uno dei suoi principali passatempi era quello di compilare settimanalmente la “schedina” del “Totocalcio” un gioco che allora, negli anni sessanta, andava per la maggiore! Si trattava di scrivere “1-X-2” su alcune colonne prestampate, accanto alle 13 partite di calcio programmate per quella settimana. Il numero “1” stava per vincita della prima squadra, la “X” per il pareggio e il “2” per vincita della seconda squadra.

Si sa, ogni giocatore ha una propria scaramanzia, un portafortuna, le proprie superstizioni e personali metodi per tentare di vincere. Il signor Peppino era solito sedersi davanti alla ricevitoria del Totocalcio oppure in altri luoghi a bordo delle strade e, guardando le targhe degli autoveicoli che gli passavano davanti, scriveva “1” sulla schedina se l’ultimo numero della targa era dispari, “2” se era pari e “X” se era uno zero.

Sarà stato tale originale metodo delle targhe o sarà stata la fortuna (che gli ha permesso di salvargli la pelle pure nelle sue arditissime azioni di guerra) … fatto sta che il signor Peppino, al gioco del Totocalcio, ha vinto poco ma spesso, mai centrando però quel “13” che, ogni settimana, era il sogno di decine di milioni di italiani.

Tuttavia, era solito dire “Non è il gioco che ti cambia in meglio la vita, ma è l’onesto lavoro!… Il gioco serve soltanto per divertirsi non per dannarsi, poiché quando vinci o perdi troppo ti danni quasi sempre, in un modo o nell’altro!”.

DUE LETTURE PARALLELE
Caro Tito, per il momento, penso che non ci sia migliore conclusione alla presente Lettera n. 236, che proprio questa ultima frase del signor Peppino della Locride sul gioco e sulla vita. Tuttavia, mi sembra che manchi di senso compiuto senza le due “Letture Parallele” che seguono.

Una è legata allo stupore e all’emozione di vedere nell’estate 1960, per la primissima volta, l’automobile francese Cytroen DS abbassarsi all’arrivo e alzarsi alla partenza. Una novità assoluta che non poteva non smuovere mia la curiosità di bambino e la fantasia.

L’altra è un omaggio personale alla mia incantevole “zia Sicilia” sorella di “mamma Calabria” che vorrei entrambe unite ancora e sempre di più in un Progetto assai lungimirante ed efficace. Ovviamente, per essere e significare di più nel Mediterraneo, in Europa e nella globalizzazione!

Letture parallele

Prima Lettura: LA STRABILIANTE “CYTROEN DS” 1960

Caro Tito, come già sai, da bambino di sei anni, cioè dal marzo 1956, ho fatto il chierichetto nell’unica chiesa del neonato paese rivierasco. Fu proprio a luglio del 1960 che, trovandomi in piazza, davanti alla chiesa a giocare con altri coetanei (alcuni dei quali chierichetti come me), giunge un’automobile che non avevamo mai visto.

Aveva due uomini a bordo vestiti normalmente di nero, con pantaloni e camicia a maniche corte. Appena l’ebbero spenta, quell’automobile si abbassò automaticamente, mentre quando la riaccesero per ripartire, si alzò egualmente in modo automatico, quasi come fosse un aereo. Fu una grande novità per noi. Quei due uomini hanno parcheggiato quella strana automobile proprio sotto l’arco della Pretura, dove mio fratello Vincenzo lavorava come Ufficiale Giudiziario.

Ed è stato proprio lui a dirmi che tipo di automobile fosse quella … una “Cytroen DS”. Per la cronaca, quei due uomini erano sacerdoti i quali, di passaggio, cercavano il parroco che permettesse loro di dire messa. Così fu e ben cinque di noi chierichetti servimmo quella messa. Alla fine ci regalarono delle caramelle prima di riprendere il loro lungo viaggio con quella macchina che, alzandosi lentamente, sembrava un’astronave.

E a proposito di astronave, ti propongo di leggere questo perfetto articolo che (scritto da Luigi Spinosi e pubblicato dal quotidiano di Livorno “Il Tirreno”) fa riferimento proprio ad un’astronave “Cytroen DS” che…. “Si alzava da terra come un aereo”:http://iltirreno.gelocal.it/regione/2016/05/08/news/si-alzava-da-terra-come-un-aereo-1.13438456

SI ALZAVA DA TERRA COME UN AEREO

Quotidiano IL TIRRENO – Livorno 08 maggio 2016

Auto o aereo? Il dubbio guardando una Ds, specialmente con gli occhi di un uomo di 60 anni fa doveva essere naturale. Intanto per le sue due innovazioni principali: la forma aerodinamica e quelle sospensioni idropneumatiche che la facevano sollevare da terra quando la mettevi in moto, un po’ come un aereo che decolla (e sì che di innovazioni quell’auto ne aveva anche molte altre degne di nota, come prima auto di serie in Europa ad avere il servosterzo e al mondo a montare i freni a disco, e l’elenco continuerebbe a lungo). Poi perché tra gli uomini che l’avevano creata, il disegnatore Flaminio Bertoni, italiano come il progettista del motore Walter Becchia, il papà del sistema idro Paul Magés, vi era anche il progettista André Lefèbvre, arrivato al mondo dell’auto passando dall’industria aeronautica Voisin. Un gruppo di geni che per Citroen aveva già lavorato a un’altra auto rivoluzionaria la 2Cv, che già aveva un’impronta aeronautica nell’uso dei materiali.

Ma dagli aerei, per l’esattezza dalla Lockeed, arrivava anche “l’olio magico” che in combinazione con l’aria, stava alla base del sistema “idro”, cruccio di Magés, che arrivò fino al profondo nord per collaudarlo, ignorando che però era il caldo da temere. Quell’olio rischiò di uccidere la Ds sul nascere: sostituito a insaputa di Magés con uno più economico, ad alte temperature diventava corrosivo. E le prime Ds semplicemente si abbassavano al suolo e “morivano”. Poi, fortunatamente, la soluzione fu trovata.

Ma dentro la Ds c’è proprio un aereo, per l’esattezza uno Spitfire, i caccia della Raf con il disegno di uno squalo (toh, proprio uno dei soprannomi della Ds). Durante la seconda guerra mondiale uno Spitfire fu costretto a un atterraggio di fortuna proprio su una pista di collaudo Citroen. I francesi non ci pensarono un attimo: nascosero il pilota e smontarono l’aereo. Per non lasciare prove della sua presenza certo, ma anche perché il materiale che lo componeva (comprese le tubature di nove tipi diversi e le virole

a misura britannica) erano utili al progetto Ds che, non a caso, quando entrerà in produzione presenterà nove tipi di tubature e virole aeronautiche che seguivano il sistema metrico britannico: nei prototipi quel materiale di risulta aveva funzionato, perché cambiare?

Seconda Lettura

IL MIO GRANDE AMORE PER LA SICILIA

Caro Tito, il mio grande amore per la Sicilia merita una “Lettura” a parte. Sono solito “sentire” come familiari o parenti taluni territori, popoli o elementi della Natura. Più volte ti ho detto che ritengo essere come un mio nonno il mare Jonio, proprio quello che ho sempre avuto alla porta della mia casa natìa. Ogni volta che torno, è il primo che vado a salutare, prima ancora dei miei genitori o degli amici!

ZIA SICILIA

Così reputo e tengo in conto la Sicilia come una zia materna. Struggente come mamma Calabria, la sento nel sangue, prima ancora che nel cuore, nella mente e nel mio essere. Un affetto, un amore, una presenza che mi emoziona sempre, anche quando,qui in Molise, mi arriva il suo “scirocco” o ne vedo un’immagine o ne ascolto una musica o una semplice parlata dialettale!

E questa devozione mi dura, profonda e sincera, fin da quando l’ho intravista alle prime luci dell’alba, quel lontano giorno della mia prima infanzia, dal treno che, a Capo Spartivento, curva e corre verso lo Stretto.

Sicilia che avevo più volte toccato e ammirato con gli occhi e con il cuore anche quando, con i miei genitori, andavo spesso sull’altura di Pellegrina (una popolosa frazione di Bagnara) dove abitava la famiglia di mio zio Vincenzo (cantoniere Anas e fratello di mio padre) e dove ho partecipato ai matrimoni di due di quei miei cugini.

E, ad ogni viaggio, ne toccavo trepidante la terra, quando (anche dopo essere andati a Pellegrina oppure al Compartimento delle FF.SS. di Reggio) ci recavamo a Messina per acquistare (di contrabbando) il sale per noi e per tanti parenti ed amici.

PIENO DI SICILIA

Ero già pieno di Sicilia, quando nel giugno1960 ho partecipato al “gioco delle targhe” (e vedevo transitare suoi autoveicoli nella mia parte di continente). Ancora prima, molto prima, ero pieno del luccichio delle lampare dei marinai catanesi, i quali, a centinaia, con le loro barche sostavano tutta l’estate sulla spiaggia sottocasa e facevamo baratto e spontanea amicizia.

Ero pieno di Sicilia, quando ancora andavo all’asilo, e la sposina del brigadiere dei carabinieri mi teneva con sé, sognando la sua prima dolce maternità e, intanto, faceva tirocinio con me. Ed entrambi eravamo felici, pure ballando la musica del suo giradischi. Che favola!

Ero pieno di Sicilia, quando i commercianti sceglievano, davanti alla porta della mia casa, le pesche di Kardàra da portare nell’Isola come miele degli Dei jonici.

Ero pieno di Sicilia quando gli operai messinesi vennero a costruire la “Maiolina” il mio bel rione di Badolato Marina, dove nel 1956 mio padre ha acquistato un appartamento per trascorrere gli anni di pensione da ferroviere.

Maiolina era il nome della ditta o del proprietario di essa. Un suo tecnico specializzato, Domenico Cimata(Santa Lucia del Mela, Messina, 1928 – Roma 1995), l’11 settembre 1954 ha sposato mia cugina Immacolata Gallelli ed è ha abitato lungamente proprio in una delle palazzine della Maiolina, prima di trasferirsi a Roma.

La lunga,grande, sincera e generosa è stata l’amicizia e l’acquisita parentela con il simpaticissimo Mimmo Cimata, il qualemi ridava spesso tanta bella Sicilia.

Ero pieno di Sicilia, quando, alla quinta elementare mi sono “fidanzato” con una mia bellissima compagna di classe (mentre la sorella, quarta elementare, mi corteggiava strettamente ma nascostamente). Pure queste graziosissime bambine erano provenienti dal messinese. Il loro papà ha lavorato due anni a Badolato come operaio in una ditta edile. Indimenticabile ed onestissima famiglia!

Come dimenticare, poi, la gita scolastica del maggio 1964 che ci portò principalmente a Siracusa, a Catania, a Taormina, a Messina con gustosissimo pranzo a Ganzirri?

E il giro di Sicilia, in una settimana, nell’agosto 1977, come premio di laurea. Un giro che mi rigiro spesso nella memoria. Molto piacevolmente! In particolare, la scalata dell’Etna, fino al cratere innevato in così piena estate! Ho sentito il respiro della Terra! Mi sono scaldato alle sue pietre laviche. Mi sono ubriacato dell’Olimpo più suggestivo del mondo!

E cosa dire di “Stella di Palermo” nel 1978… Sublime!

Ormai non so enumerare più le volte che mi sono beato della luce e delle altre magnifiche evidenze siciliane. Tra cui il San Vito Lo Capo del “Cous Cous Fest”. E la voglia di vedere quest’Isola struggente capitale palpitante del Mediterraneo. Specialmente con il “Med-Music Festival”.

Fin dall’infanzia mi nutro continuamente di Sicilia, in un modo o in un altro. E, per me, non c’è luogo-persona più esaltante di mia zia Sicilia!

SALUTISSIMI

Caro Tito, voglio concludere la lettera n. 236, ripieno ancora e sempre di Calabria e di Sicilia, le più belle regioni sorelle! Tante cordialità e alla prossima lettera n. 237.

Domenico Lanciano (Azzurro Infinito, lunedì 04 febbraio 2019 ore 00,56- Le foto sono state prese dal web).

 

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