Inserita in Cultura il 25/09/2018
da Direttore
NEL MUSEO DEL CARRETTO SICILIANO IL GRANDE GIUSEPPE MANFRE´
AD ALCAMO STENTA A TROVARE COLLOCAZIONE IL SUO NOME NELLA TOPONOMASTICA, ANCHE SE LA MOZIONE CHE NE CHIEDEVA LA COLLOCAZIONE RISALE AL 20 DICEMBRE DEL 2013
Ci sarà anche Giuseppe Manfrè tra i decoratori che avranno la fortuna di eternare le loro opere artistiche nel museo nazionale del «Carretto siciliano». Un artista le cui doti sono riconosciute a livello mondiale che fatica, ad Alcamo, a trovare una degna collocazione nella toponomastica, nonostante una mia mozione di indirizzo del dicembre del 2013 (167 del 20/12/2013).
Una ingiustizia per chi, da oggi, sarà eternato nella storia dell´arte, grazie alla magnificenza delle sue opere d´arte.
Giuseppe Manfrè, alcamese d’adozione, è stato l’ultimo decoratore di carretti siciliani. Nasce a Bagheria l’11 Gennaio del 1913 e muore in Alcamo il 7 Dicembre del 1984. Aveva lo studio in piazza Pittore Renda in Alcamo ed in via Naccarello in Partinico.
Come ebbe a scrivere il decano del giornalismo alcamese il comm. Pier Francesco Mistretta, ne “La Sicilia flash”, del Gennaio del 1985, «dalle sue mani, esperte manipolatrici di policromi colori, sono uscite le più belle pennellate che hanno fatto apprezzare le sue opere in varie nazioni»; e come ha avuto modo di sottolineare, in un pregevole articolo, lo scrittore Roberto Scaglione, «mancino ma non sinistro, tanto gradevole era la sua arte di decoratore di carretti sin da giovanissimo appresa nella scuderia Ducato della nativa Bagheria, agli ordini di Michele, a propria volta omonimo dell’avo fondatore dell’onomastica scuola di bottega, dove il giovane svolse il proprio apprendistato a fianco, seppur per un modico interstizio temporale, del concittadino e quasi coetaneo (di soli due anni più anziano) Renato Guttuso, poi emigrato e divenuto un celebre artista di fama internazionale».
Continua Scaglione «Manfrè, che pur seguì, senza però equamente ripercorrerli, gli istinti migratori di questi, dimorò ancora nell’entroterra siculo per tutta la propria esistenza, anche professionale, che spiccò vertiginosamente quando, nel primissimo secondo dopoguerra, la famiglia Giglio di Alcamo, di condizione socioeconomica burgìsi, commissionò la decorazione di un carretto al suo capo bottega, che a propria volta delegò la mansione al giovane allievo poco più che ventenne, indirizzandolo proprio nel comune trapanese a svolgere l’opera richiesta, come relaziona anche il poeta dialettale alcamese Giuseppe Grillo detto Peppe (pseudonimo con il quale anche autorevolmente si firma), celebrandolo nel carme elogiativo Ricurdannu l’urtimu pitturi di carretti, don Pippinu Manfrè nell’antologia poetica ‘Na rosa pi Ciullu (cfr Edizioni Campo-Alcamo 2003, pp. 53-54), il cui incipit recita: «Vinni di Bagheria don Pippinu, cu la curriera, e avìa la sporta ‘n manu. Vinni a pusari ni mastru Pirtrinu, pi pittari un carrettu paisanu». Difatti Manfrè alloggiò in principio da un conoscente, Pietro Messana, di grado professionale mastru (all’epoca si difettava assai a non esserlo) d’ornamenti e paramenti (armiggi) dei cavalli, il quale lo aiutò a sistemarsi provvisoriamente, vitto, lavoro e alloggio compresi, nella stessa bottega affittata sita alle spalle della chiesa della Madonna delle Grazie, dove «Però ni fici tanta malavita, a travagghiari tutta la misata» come ricorda Grillo, che ancor prima narra di come «Doppu un carrettu, pittau un traìnu. E vinniru crienti di luntanu.», presto sorgendo difatti, evidenziato il proprio talento, ulteriori e molteplici commissioni sia ad Alcamo che dai comuni limitrofi e non, che lo invogliarono a sistemarsi definitivamente ad Alcamo dove poi «Canuscì ‘na picciotta sapurita, e subitu ci manna la ‘mmascita. Ci dissiru di sì: fu la so’ zita ed a l’artaru poi fu maritata. Fu la cumpagna so’ di la so’ vita, pi sempri spusa so’, sempri adurata.», come chiosa la seconda strofa del carme. Sposatosi, trasferì domicilio e bottega ad Alcamo».
Giuseppe Manfrè fu, come evidenzia Roberto Scaglione, lavoratore infaticabile, «Iddu era onestu e assai travagghiaturi e nun lintava mai di pitturari.», e accrebbe la propria fama sino a lasciare testimonianze di sé alla Palazzina Cinese di Palermo e in alcune delle statue adoperate nelle processioni della festa del Santissimo Crocifisso di Calatafimi, incaricato da padre Ingarra di riaffrescarle poco tempo prima della tradizionale esposizione pubblica propria della suddetta quinquennale festa di un borgo nel quale ancora lasciò traccia, richiamato nel 1977 dall’arciprete della Chiesa SS. Maria Immacolata, anche detta “Chiesa Nuova” (chiusa dopo il sisma del 1968 e riaperta per volontà del vescovo Mons. Ricceri dieci anni dopo nel 1978, il seguente alle opere da lui eseguite) che ancora evidenzia quattro suoi affreschi sulla volta: La cacciata dall’Eden, L’Annunciazione, La Pentecoste e L’Assunzione.
Accettò di collaborare al documentario «Il carretto», immagini di un’antica cultura, realizzato nel 1980 da un pressoché esordiente Peppuccio Tornatore, suo più celebre ma, quant’egli, energico concittadino.
Al grande maestro Manfrè è necessario che subito, senza tentennamenti, sia garantita l’assegnazione di una toponomastica. Lo si deve e lo si deve fare in fretta.
Antonio Fundarò
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