Inserita in Gusto il 11/11/2017
da Direttore
San Martino, i biscotti, il vino, l´iconografia e le tradizioni siciliane Una pregevole arte che ancora, grazie all´arte di Castrenza Pizzolato, rimane viva
"A San Martino ogni mustu è vinu". Questo proverbio bucolico, molto antico, rammenta che per il giorno dedicato al santo Martino, il mosto, prezioso frutto della vendemmia conclusasi alla fine della stagione estiva, in Sicilia, ha finito di fermentare e può, per la felicità degli amanti di questo prezioso nettare siciliano, tra i più prelibati al mondo, tra i più inebrianti e variegati, quindi, essere "spillato". In Sicilia, dunque, il giorno del Santo si inserisce in corrispondenza al momento detto della svinatura. In questo giorno termina, comunque, l´inesauribile estate, lunga in Sicilia, che sovente si allunga fino a primi giorni del mese di novembre: l´estate di San Martino. Per l´occasione si gusta il vino novello che le pregiati aziende vitivinicole, specie quelle delle province di Trapani e Palermo, fanno degustare aprendo le porte alle varie cantine sparse sul territorio. Un altro proverbio, assai diffuso, ormai un po meno tra i giovani, recita che per san Martino, "s´ammazza lu porcu e si sazza lu vinu". È questo il periodo, infatti, nel quale, in alcune località siciliane si sopprimono i maiali (molto famosi quelli neri che si riproducono e si allevano sui Nebrodi) per trasformarli in profumatissimi prosciutti, salami, zamponi e nelle ineguagliabili salsicce da irrorare con del vino novello, durante la cottura. Nella migliore iconografia siciliana, l´illirico soldato romano è riprodotto sul groppone ad un cavallo bianco, abbigliato da centurione, con il gladio tenuto in mano, dopo aver tagliato il suo mantello in due parti ed averne regalato la metà a un povero, mal nutrito, quasi spoglio e infreddolito dal freddo. Martino fu definito il patrono dei bevitori di vino che affollavano le varie "taverne" della città solennizzando il Santo con solenni banchetti a base di verdure cotte: vruocculi, carduna e uova sode, uniti a esagerante libagioni. Nelle case, invece, quelle padronali e dei benestanti, le tavole erano imbandite con il tradizionale tacchino ruspante o, in alternativa, la carne di maiale. Chi, però, non poteva permettersi grandi pranzi e mense imbandite a festa, perché, in effetti, era di modeste possibilità economiche, quel giorno santificato si conteneva ad accompagnare il suo frugale pasto con del vino "novello". Per il San Martino dei poveri, nella tradizione siciliana, era necessario attendere la domenica successiva l´undici di novembre (ovvero il giorno dopo la riscossione della simanata - il salario settimanale), per completare il pasto domenicale con "u viscottu i San Martinu", in quyesto caso, però, "abbagnatu nn´o muscatu", (il biscotto di San Martino intriso nel moscato), vino molto amabile e liquoroso, generalmente offerto come dono, dal fornitore di vino cui abitualmente ci si rivolgeva nel corso dell´anno. Tali biscotti, confezionati con fior di farina impastata con il latte (molti preferiscono l´acqua che va incontro ai tanti intolleranti), sugna, zucchero, vanillina e, poi, fortemente lievitata (con l´aiuto dell´ammoniaca per dolci) e chiamati anche "sammartinelli". Questi pregiati dolci hanno la forma rotondeggiante di molteplici dimensioni, spennellati, prima di andare in forno, con uovo diluito all´acqua, hanno il pregio del dono unico e infinitamente buono, nell´impasto, dei semi di finocchietto selvatico che è in grado di conferire loro un gusto e un aroma particolare, di Sicilia, di campi e di sole. Cotti, al forno, a fuoco molto lento, si presentano, in due diverse vesti, comunque quasi sempre col sesamo spolverato sopra. Taluni molto croccanti e, in quanto tali, friabilissimi (questi sono consumati "abbagnati" ovvero inzuppati nel vino liquoroso, meglio, naturalmente, il "moscato di Pantelleria" (ricavato da uve inzolia), il passito di Pantelleria o la Malvasia delle isole Eolie o, per chi si accontenta, inzuppati nel vino rosso appena spillato dalle botti. L´altro, invece, oltre al "tricotto", si intende, esiste anche quello denominato "rasco". Tale biscotto è il più morbido ed è destinato, oltre che a essere gustato nella sua naturalezza, ad essere riempito di ricotta di pecora dolce oppure, in alcune aree della Sicilia, di conserva. In molti casi, a richiesta, il "rasco" è decorato in modo baroccheggiante, con glassa di zucchero a riccioli e ghirigori, talvolta, in segno di abbondanza, sormontato da un cioccolatino e splendidi fiorellini realizzati nella pregevole pasta reale. Merita una particolare attenzione la tradizione che ha luogo a Palazzo Adriano, comune della provincia di Palermo. Una arcaica consuetudine d´origine balcanica prevede che i parenti di una coppia di sposi si faccia carico della composizione della casa dei futuri sposi, congiuntamente a tutto il cibo utile al approvvigionamento per l´anno in corso. È previsto, inoltre, che nel corso delle prime ore mattutine, alcuni bambini portino ceste ricolme dei tradizionali "pani di San Martino" e le distribuiscano per le strade del paese. I genitori dello sposo regalano "u quararuni" (una grossa pentola in rame, stagnata internamente per non alterare i cibi che vi si cuociono) e quelli della sposa "na brascera" (un braciere di rame posto, sovente, su un piedistallo, anch´esso in rame) che veniva utilizzato (forse adesso non più) per riscaldare, con la carbonella realizzata con la buccia delle mandorle, la casa degli sposi nei freddi mesi invernali. Nella cittadina montana di Palazzolo Acreide che fu prima colonia della Siracusa greca, la tradizione vuole che si accompagnino, al vino, delle ciambelline di patate fritte e zuccherate. In alcune aree della provincia di Siracusa, infine si preparano le zeppole chiamate "crispeddi". Oggi, per fortuna, grazie alla creatività dei maestri pasticceri, come Enza Pizzolato, proprietaria dell´omonima pasticceria, in Alcamo, nella via Fratelli Sant´Anna, 39, se ne preparano di diverse varietà: da quelli di piccole dimensioni (quello che è conosciuto come il classico biscotto di San Martino) ai a quelli più morbidi adoperati, nel giorno del Santo e la domenica successiva, per essere guarniti, al loro interno, con una pregevole crema di ricotta di pecora in purezza o decorati, a richiesta, con forme e colori che riprendono le sinuosità del famoso barocco siciliano (A. Fu.).
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