Inserita in Cronaca il 07/02/2013
da redazione
L’orco va in carcere
Ad identificarlo oggi sono soltanto delle iniziali “S.M.” eppure dietro a quelle due consonanti puntate si nasconde l’identità di un orco. Lui, l’orco, vestiva il “modello” del padre ma ciò che realmente era lo testimoniano, oggi, le dichiarazioni raccolte dai Carabinieri di Trapani guidati dal comandante Leonardo Acquaro. Un’intensa e delicata attività d’indagine avviata quando, finalmente, la mamma della bambina, che allora aveva appena 7 anni, ha avuto il coraggio di denunciare le violenze che quell’uomo faceva alla sua piccola ed anche a lei.
Tutto quello che state immaginando ( e anche di più) avveniva tra il 2000 ed il 2005 nelle mura della casa dove la famiglia viveva. Sono ancora una volta le pareti domestiche a custodire le tragedie che si consumano in famiglia.
Mura che non lasciano trapelare nemmeno un gemito, un singhiozzo, una richiesta d’aiuto. Mura del segreto e del pianto. Ma anche della disperazione e dello sconforto. Mura che proteggono e che diventano prigione.
Troppa paura per dire di aver paura, per lanciare un SOS. Ma poi arriva il momento in cui tutto fa troppo male, tutto diventa insopportabile, tutto, ed il suo contrario, devono finire. L’operaio approfittava dell’assenza della moglie per abusare della piccola. Carezze nate per gioco ma che, più passava il tempo più trasformavano quel gioco pericoloso in perversione mostrandolo per ciò che era: violenza su minore. Questa l’accusa alla quale dovrà rispondere S.M. congiuntamente a quella di violenze familiari.
La sete “malata” dell’orco infatti era insaziabile. Arrivava al punto di allontanare la moglie a calci e pugni per possedere la figlia. Storie che si sviluppano al limite ma non necessariamente ai margini di famiglie disagiate. Ed un limite ce lo poniamo tutti soprattutto una madre. Soprattutto, quando di mezzo c’è una figlia. Per questo si arriva a denunciare. E si rimane vivi.
Meglio. Si rinasce a nuova vita, che senza chiedere troppo è semplicemente è finalmente normale. La donna per pudore o più per vergogna, ha iniziato a denunciare le azioni violente nei suoi confronti. Eppure i Carabinieri, con pazienza ed estrema delicatezza, sono riusciti a leggere tra le righe e trovare un’altra vittima, più indifesa. Ricostruita l’intera vicenda, i militari dell’Arma hanno scritto la parola fine a quell’incubo vissuto da molte ma denunciato da poche. Il silenzio. E’ quella la forza di qualsiasi orco per fuggire al carcere. Il posto perfetto dove, con sentenza definitiva, anche il padre padrone della storia, passerà 14 anni ed un mese.
Marina Angelo
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