Inserita in Cronaca il 03/05/2016
da REDAZIONE REGIONALE
SUCCESSO DEL CONGRESSO REGIONALE CESISE UNIPED INTERACT CASTELLAMMARE E SMOC DI SAN GIORGIO SICILIA
II CONVEGNO REGIONALE UN.I.PED. NOVITÀ PER ´UNA DIDATTICA PERSONALIZZATA PER I BES´- Consensi per l’intervento dell’organizzatore Vincenzo Bussa
Quasi settecento i convegnisti, la maggior parte soci del CE.S.I.S.E., che hanno partecipato, a Palermo, presso l’Hotel San Paolo Palace, al II convegno regionale di studi sul tema “Una didattica personalizzata per i bes”. Ad organizzare l’evento il prof. Vincenzo Bussa, vero leader della pedagogia siciliana, per conto dell’Unione Italiana Pedagogisti con il patrocinio, tra gli altri molteplici, del Centro Studi Itard, dell’Istituto Itard (il Centro Italiano Dislessia e Disprassia), del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio (Delegazione Sicilia), in prima linea nell’assistenza dei bisognosi in Sicilia, dell’Unione Cattolica Italiana Insegnanti, Dirigenti, Educatori, Formatori (UCIIM), dello Studio Clinico Pedagogico Victor di Palermo, del Centro Studi e Iniziative Sociale e Europee (Ce.S.I.S.E.) a cui si deve l’organizzazione e la logistica dell’evento, e dell’Interact Club Castellammare del Golfo Segesta Terra degli Elimi. All’apertura dei lavori sono seguiti i saluti, tra gli altri, di Vincenzo Bussa, Presidente Regionale Un.I.Ped., di Stefano Conquinati, Presidente Nazionale Un.I.Ped., di Antonio Di Janni, Delegato Vicario per la Sicilia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di S. Giorgio, di Filippo Nobile, Presidente Regionale Ce.S.I.S.E., di Marco Raneri, Presidente Interact Club Castellammare del Golfo Segesta Terra degli Elimi. Due le sessioni di lavoro che hanno caratterizzato l’evento, due i workshop ed una interessante tavola rotonda a conclusione dei lavori. Alla prima Sessione hanno relazionato il prof. Piero Crispiani, Pedagogista, Università di Macerata su Vedere la dislessia dalla parte delle radici prassico-motorie, il Dott. Emanuele Trapolino, Neuropsichiatra Palermo su Difficoltà di autoregolazione e funzioni esecutive: una corretta interpretazione del disagio evolutivo, la Prof.ssa Elena Mignosi, Università degli Studi di Palermo su BES: una nuova prospettiva sui processi di insegnamento apprendimento, la prof.ssa Giuseppa Compagno, Università degli Studi di Palermo su Neurodidattica e personalizzazione in prospettiva ludica. Alla prima Sessione hanno rlazionato la Prof.ssa Maria Antonietta Cascio, Docente di Musica presso la D.D. “Nicolò Garzilli” di Palermo su “Piacere Musica”! Apprendimento attivo attraverso la pratica, il Prof. Angelo Cataldo, Università degli Studi di Palermo su L’importanza del movimento per apprendere. Nel pomeriggio, invece, i Workshop, quello “A” su “Disprassia e Dislessia” a cura di Piero Crispiani dell’Università degli Studi di Macerata con gli interventi del prof. Piero Crispiani su Occhi nuovi sulla dislessia, del prof. Vincenzo Bussa, Pedagogista Clinico, Terapista Itard su Dislateralità e Bisogni Educativi Speciali, della dott.ssa Rosanna Bongiorno, Pedagogista Clinico, Terapista Itard su La Fluidità come garante di efficacia ed efficienza, del prof. dr. ric. Filippo Nobile, Pedagogista Clinico, Terapista Itard su Il Piano Didattico Personalizzato e i processi di apprendimento, della dott.ssa Chiara Raimondi, Psicologa, Terapista Itard su L’importanza della grafo-motricità nel trattamento abilitativo, della dott.ssa Nadia Domianello, Pedagogista Clinico, Terapista Itard su Impara a muoverti … muoviti per imparare!; quello “B” su “Spettro autistico e le pratiche professionali” a cura di Eleonora Palmieri con interventi della dott.ssa Eleonora Palmieri, Pedagogista Clinico, Psicologa, Specialista Itard su Il cognitive Motor Training e la riattivazione neurofisiologica, della dott.ssa Caterina Lo Gerfo – Pedagogista Clinico, Terapista Itard su La gestione e l’intervento pedagogico a scuola, della dott.ssa Angela Pisa - Pedagogista Clinico, Terapista Itard su L’intervento educativo del pedagogista nel contesto familiare, della dott.ssa Rosanna Leone – Pedagogista Clinico, Terapista Itard su L’importanza dell’operatore specializzato all’autonomia nel percorso scolastico, della dott.ssa Melissa Iannello, Pedagogista Clinico, Psicologa, Terapista Itard su Le autonomie personali nell’autismo: l’intervento, del prof. Tonino Venezia, Pedagogista, Terapista Itard su Ai confini con l’autismo: un caso di disprassia severa. Ha concluso il grande evento pedagogico una tavola rotonda su “I bes, la scuola e i trattamenti abilitativi” a cura di Eleonora Palmieri, con interventi di alcuni dirigenti scolastici, quello della prof.ssa Concetta Giannino, Dirigente Scolastico I.S.S. “Basile D’Aleo”, Monreale, quello della dott.ssa Rosanna Cucchiara, Dirigente Scolastico I.C. “S. Boccone”, Palermo, la dott.ssa Chiara Di Prima, Dirigente Scolastico e Presidente Regionale UCIIM, e quello, infine, davvero brillante, della prof.ssa Giovanna Badalamenti, già Dirigente Scolastico, Esperta in processi formativi, per decenni dislocata alla direzione regionale dell’Istruzione Sicilia. Ha concluso i lavori il Prof. Piero Crispiani e la Prof.ssa Giuseppa Compagno. Ha moderato il convegno il prof. Giancarlo Martorana, docente di lettere presso l’I.C. “G. Reina” di Chiusa Sclafani. “Nel mondo della scuola – ha sottolineato il prof. Vincenzo Bussa - il tema della personalizzazione degli apprendimenti è specifico della pedagogia positiva; rimanda alla professione docente prima ancora del supporto dei diversi decreti attuativi. In Italia, la situazione scolastica si è evoluta certamente sotto l’aspetto terminologico; “Inserimento” (legge 517/1977); “Integrazione” (legge 104/1992), “Inclusione” (D.M. 27/12/2012). Tuttavia, la scuola continua a essere un luogo difficile, poco attrezzato a far posto alle differenze, qualunque esse siano: fisiche, culturali, mentali, relazionali. Siamo tutti consapevoli che la concezione neoliberista ha pervaso anche l’ambito educativo determinando l’affermarsi di una scuola inginocchiata al totem del mondo economico, una scuola-azienda, “tutta quiz”, basata sull’individualismo e l’etichettamento degli alunni “diversi”. Tale modello ha prodotto un aumento degli studenti “inadatti” alla scuola, ha creato emarginazione, disagio e dispersione riducendo la qualità a ranking, identificando scarti educativi fino a trasformarli in un business. Tale tendenza discriminatoria ha portato alla identificazione di nuove patologie che identificano e categorizzano gli alunni “non standard” da sottoporre ad opportuni trattamenti psicomedici capaci solo di quantificare senza apprezzare qualitativamente il saper fare di ciascuno”. “Questa medicalizzazione esasperata delle difficoltà di apprendimento e del disagio sociale – ha continuato il prof. Vincenzo Bussa - ha prodotto vere e proprie “epidemie” di autismo o di ADHD in alcune aree geografiche, frutto di un iperattivismo diagnostico che ha garantito l’espansione continua del settore professionale deputato al loro trattamento fino a fornire al mercato del lavoro una quantità crescente di candidati ai “lavori sporchi”, discriminando chi con competenza da sempre ha operato mettendo in atto le migliori intenzioni pedagogiche. L’approccio psicomedico al diversamente abile ha etichettato gli alunni come “diversi” e ha portato con sé il rischio della medicalizzazione della scuola. In questo contesto gli insegnanti non sono portati a guardare, valutare e potenziare le capacità, le competenze e gli interessi degli alunni, ma a mettere l’accento sui sintomi, sulle incapacità e sui problemi. I docenti vivono la realtà scolastica attuale sotto la lente della diagnosi clinica e spesso vedono nell’uso delle etichette un alibi per delegare ai colleghi specializzati sul sostegno la cura degli alunni “difficili”, così da potersi dedicare tranquillamente alle attività ordinarie con il resto della classe. L’uso dello sguardo diagnostico anziché pedagogico nell’osservare gli alunni, stimola l’affermarsi nella società della logica dell’esclusione, delle differenze e delle diseguaglianze”. “Ritengo – ha puntualizzato il prof. Cav. Vincenzo Bussa - che sia necessario uscire fuori dal ghetto dell’esclusione e della stigmatizzazione tipico dall’approccio psicomedico e neoliberista e seguire la logica dell’inclusione vera che accoglie e valorizza la differenza come valore educativo; è necessario sostituire lo sguardo diagnostico con quello pedagogico. Quest’ultimo vede l’alunno non solo portatore di bisogni, ma anche di desideri e progetti di vita realizzabili dentro e fuori la scuola. Sono trascorsi 45 anni dall’abolizione delle scuole speciali (art. 28 della legge 118/71), tuttavia, questo lungo tempo non ha significato automaticamente la fine dell’esclusione degli alunni con difficoltà. Abbiamo compiuto il primo passo del processo inclusivo, ciò nonostante ad oggi la segregazione continua de facto dentro la scuola tramite una “strategia di periferizzazione degli alunni diversi” . L’organizzazione educativa basata su tale approccio opera in direzione opposta all’inclusione, intesa come possibilità da parte di tutti di partecipare in modo diretto e significativo ad attività pensate per l’insieme degli alunni che frequentano la scuola. Oggi nelle scuole italiane l’inclusione è ancora in parte un traguardo da raggiungere. Infatti, accettare l’idea che l’inclusione rappresenti per tutti gli studenti l’opportunità di partecipare ai processi educativi richiede un cambiamento nel pensiero individuale e nella pratica professionale di ciascun operatore del mondo della scuola, in quanto la semplice presenza di alunni BES nelle nostre scuole non basta a creare una scuola inclusiva. La personalizzazione degli apprendimenti implica un insieme di cambiamenti che trasformano la struttura educativa della scuola in funzione di tutti gli allievi con la loro piena partecipazione ai processi di apprendimento. Gli alunni con Bisogni Educativi Speciali non devono “diventare come gli altri” perché da sempre “sono come gli altri”. Insistere sull’idea di “diventare come gli altri” significa dare peso alle difficoltà che escludono lo studente dal saper fare comune”. “Siate capaci di camminare da soli a testa alta, perché nessuno di voi è incapace di farlo” asseriva Alberto Manzi. “Includere” significa rimuovere ogni barriera agli apprendimenti, superare la logica dei “bisogni educativi speciali”, creare contesti situazionali tali da garantire una piena partecipazione del soggetto BES alle attività quotidiane con gli altri alunni. Non è l’alunno BES, quindi, che si deve adattare a un contesto “fisso e rigido” (e, se non è in grado, esserne escluso), ma è il contesto che deve modificarsi affinché ogni alunno possa essere considerato uguale agli altri e diverso insieme agli altri. L’inclusione rappresenta un processo, una cornice dentro cui tutti gli alunni, a prescindere dalle abilità, dal genere, dal linguaggio, dall’origine etnica o culturale, dall’orientamento sessuale, possono essere valorizzati e forniti di uguali opportunità per raggiungere il massimo possibile in termini di apprendimento e partecipazione. Abbiamo necessità di rimuovere dai nostri schemi mentali tutte quelle barriere che impediscono alla persona la piena partecipazione alla vita sociale, culturale ed educativa della scuola. Resta sempre inteso che ogni intervento inclusivo mira a formare cittadini capaci di fronteggiare la vita nei vari ambienti ed in autonomia. “L’acronimo BES – ha affermato il prof. Bussa - certamente non traduce la mission del concetto d’inclusione poiché il riferimento alla condizione interna del singolo studente è una costante che pone l’accento sulle difficoltà dell’individuo. In accordo con Dovigo sarebbe il caso di riabilitare il desueto termine “svantaggio” , poiché si riferisce non alla condizione interna del singolo studente, ma agli ostacoli che impediscono l’apprendimento e la partecipazione dei più deboli e alla situazione in cui si è sempre costretti a doversi adattare per sentirsi adeguati e accettati. La scuola inclusiva apprezza la differenza come un valore educativo, un valore aggiunto alla professione docente. Se è vero che la scuola è per tutti, dobbiamo augurarci cambiamenti strutturali che coinvolgano in modo più ampio l’organizzazione scolastica riducendo al minimo gli interventi in termini di trattamento del singolo per puntare sui punti di forza dello stesso intesi come risorsa per l’intero gruppo classe e per tutta la comunità scolastica. Le difficoltà educative non possono essere risolte intervenendo solamente sul piano individuale, è necessaria la collaborazione di tutti, con tutti e per tutti”. “Parlare di ostacoli all’apprendimento e alla partecipazione (anziché di bisogni educativi speciali) – ha concluso Bussa - permette di sostituire il modello medico (approccio rigidamente quantitativo) delle difficoltà educative con uno sociale (approccio qualitativo delle abilità e competenze). Infatti, il modello sociale, a differenza di quello medico, rileva gli ostacoli all’apprendimento e apprezza la partecipazione come il risultato dell’interazione tra gli studenti e il contesto fisico e sociale. L’inclusione è un processo che considera la diversità come una risorsa capace di mettere in luce e rimuovere gli ostacoli che impediscono ai fanciulli un pieno ed efficace apprendimento. Le comunità educanti hanno, oggi più che mai, il compito di ridurre quelle pratiche diagnostiche che, pur non volendo, hanno prodotto atteggiamenti e azioni discriminatorie, senza scalfire in alcun modo il focus dell’emergenza educativa dei nostri tempi, ovvero la piena inclusione di tutti gli alunni nella scuola e in prospettiva nella società democratica. UNIPED è impegnata ogni giorno a valorizzare la pedagogia professionale nelle università, nelle scuola, nei servizi alle persone … nella società italiana. Abbiamo intrapreso una serie di azioni concrete per fare riconoscere il giusto ruolo del pedagogista nella legislazione e nelle pratiche professionali. Per portare avanti questi nostri impegni stiamo preparando una campagna che prevede una raccolta di firme e nelle prossime settimane avremo bisogno di tutti voi”.
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