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Inserita in Nera il 25/05/2013 da redazione

In dieci evadono dal CIE di Milo, solo tre vengono fermati alle forze dell’ordine

In
Sono ancora gli extracomunitari del CIE di Milo a finire al centro della cronaca cittadina. Se qualche giorno fa, infatti, era Fathi a calcare le pagine dei giornali, per un presunto pestaggio, questa volta, a finirci con tutte le scarpe, sono in dieci. Nella notte a cavallo tra giovedì e venerdì, dieci immigrati sarebbero scappati dal Centro identificazioni ed espulsione di contrada Milo in cerca di libertà.

Di questi, sette sono riusciti a dileguarsi, aiutati oltre che dalla fortuna anche dall’oscurità. Tre di loro sono stati fermati dalle forze dell’ordine. Il più sfortunato durante la fuga, sarebbe finito accidentalmente all’interno di un profondo canale pieno di melma dove stava per affogare se non fosse stato avvistato da un Ufficiale ed un Sottufficiale dell’Esercito che sono prontamente intervenuti calandosi da una scarpata. Ancorato ad un tubo di gomma, l’uomo è stato messo in salvo.

Subito soccorso, è stato accompagnato in ospedale e successivamente riportato all’interno della struttura alla periferia di Trapani. In cerca di libertà. Si potrebbe iniziare così a descrivere il viaggio di ognuno di loro. Vite fantasma che arrivano da Paesi più o meno vicini, con mezzi più o meno, di fortuna. Pagano caro il loro viaggio. Alcuni ad un prezzo che si chiama vita. La storia è trita e ritrita tra le pagine di cronaca e di cronaca nera di Agrigento, Mazara, Pantelleria, Lampedusa e, in misura seppur minore, Trapani. Con un piede finalmente a terra, la corsa termina completamente. Si tratta di irregolari. Ed ogni paese ha le sue leggi.

Bisogna rispettarle.

Tra i sopravvissuti alla tratta della morte, oltre ai disperati, ci sono anche i delinquenti. In Italia, la legge impone che gli irregolari vengano inoltrati nei CIE, gli ex “Centri di permanenza temporanea ed assistenza”. Si tratta di strutture destinate al trattenimento, convalidato dal giudice di pace, degli stranieri extracomunitari irregolari e destinati all´espulsione. Dodici circa, quelli operativi, e quello di Milo è uno di questi.

Con il Decreto-Legge n. 89 del 23 giugno 2011, convertito in legge n. 129/2011, il termine massimo di permanenza degli stranieri in tali centri si è allungato a 18 mesi complessivi.
Un tempo infinito anche per la semplice gestione quotidiana degli stessi. Il CIE di Milo, stando ai dati del 2011, potrebbe garantire solo 204 posti. Gli sbarchi raccontano di un’affluenza maggiore. «Non si possono trattenere delle persone per 18 mesi perchè non hanno un documento o perchè irregolari».

Questo lo ha affermato qualche giorno fa il ministro per l´integrazione, Cecile Kyenge, a proposito dei centri di identificazione e espulsione. Secondo il neoministro, «molte cose vanno cambiate anche perchè -ha osservato- molte di quelle persone che sono nei Cie arrivano dal carcere e quindi sono già state identificate». Metterli in gabbia all’interno di un Centro di Identificazione ed Espulsione in questa o quell’altra città può forse placare quella sete di libertà che li ha spinti ad arrivare fino a qui? A sopportare l’impossibile? Sempre la legge dice che “tali centri si propongono di evitare la dispersione degli immigrati irregolari sul territorio e di consentire la materiale esecuzione, da parte delle Forze dell’ordine, dei provvedimenti di espulsione emessi nei confronti degli irregolari”.

Ma dopo aver oltrepassato mari in tempesta dentro zattere, saranno delle mura alte e spesse a placare la sete di libertà? Il ministro ha raccontato di aver visitato diversi Cie constatando che «lì le persone non hanno diritti e vivono addirittura peggio di quelli che sono in carcere». Nel mezzo a doveri e diritti negati c’è chi è semplicemente disperato.

Chi aveva creduto, sperato. Chi è riuscito a sopportare un viaggio in una barca stipato come una bestia, senza avere nessuna certezza di poter arrivare a destinazione, pur avendo pagato un biglietto più salato di quell’acqua che sotto il sole di giorni, sulla pelle, ormai, non bruciava più. Alla luce del sole ciò che resta a bruciare, in tutta Italia, è il fattore CIE.

Marina Angelo

 

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