Inserita in Politica il 12/05/2021
da Direttore
Magistratura in crisi tra processi infiniti, scandali e correnti di potere. La lezione del beato Rosario Livatino.
Il beato Rosario Livatino soleva dire:“Alla fine della vita non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma credibili». Secondo il magistrato agrigentino ucciso dalla mafia il 21 settembre del 1990, "L´indipendenza di un giudice, infatti, non è solo nella propria coscienza, nella incessante libertà morale, nella fedeltà ai principi, nella sua capacità di sacrificio, nella sua conoscenza tecnica, nella sua esperienza, nella chiarezza e linearità delle sue decisioni, ma anche nella sua moralità, nella trasparenza della sua condotta anche fuori delle mura del suo ufficio, nella normalità delle sue relazioni e delle sue manifestazioni nella vita sociale, nella scelta delle sue amicizie, nella sua indisponibilità ad iniziative e ad affari, tuttoché consentiti ma rischiosi, nella rinunzia ad ogni desiderio di incarichi e prebende, specie in settori che, per loro natura o per le implicazioni che comportano, possono produrre il germe della contaminazione ed il pericolo della interferenza; l´indipendenza del giudice è infine nella sua credibilità, che riesce a conquistare nel travaglio delle sue decisioni ed in ogni momento della sua attività”. Colto ed estremamente consapevole del ruolo che svolgeva Livatino oggi è un esempio per l´intera magistratura italiana atrraversata da un autentica bufera e come scrive il settimanale l´Espresso "ai minimi di credibilità e autostima, con un Csm lacerato dal caso Palamara, tra riforme gattopardesche e cronici problemi di efficienza e procedure, ora i giudici temono l’affondo finale della politica". Rosario Livatino era impeganto con passione nel suo lavoro in una provincia di frontiera. In quegli anni infatti, la Stidda e Cosa Nostra si facevano la guerra. Livatino in quegli anni era impegnato in una delicata inchiesta sulla “stidda”, associazione mafiosa che, secondo i magistrati, si contrapponeva a Cosa Nostra. Le bande infatti ne erano venute a conoscenza e il delitto ha oltre a scopo preventivo fu anche una prova di forza nei confronti di Cosa Nostra. Infatti nella sentenza che ha condannato gli esecutori e mandanti si legge " che il giudice è stato ucciso perché perseguiva le cosche mafiose impedendone l´attività criminale, laddove si sarebbe preteso una gestione giudiziaria se non compiacente, almeno, pur inconsapevolmente, debole, che è poi quella non rara che ha consentito la proliferazione, il rafforzamento e l´espansione della mafia". Oggi Rosario Livatino, del quale è stato riconosciuto dalla Chiesa il martirio, è dunque beato. Resterà un’icona credibile di contrasto alla mafia restituendo una grande speranza a chi lotta per la criminalità tutti i giorni, e per chi sta sempre dalla parte dello Stato possa un giorno sconfiggere questa piaga incancrenita e restituisca, al di là di qualche onta, credibilità e fiducia nella magistratura italiana.
Enza Maria Agrusa
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