Inserita in Un caffè con... il 20/01/2020
da Cinzia Testa
La cultura deprezzata: le grosse pecche dello stato italiano
Nel nostro paese, come ben sappiamo, i concorsi arrivano di rado con il risultato che i concorrenti sono sempre più spesso un numero esorbitante rispetto ai posti disponibili. Si pensi a quello che sta accadendo in questi giorni, in occasione delle prove preselettive per il concorso bandito dal MIBACT per 1052 “assistenti alla fruizione, accoglienza e vigilanza” che, tradotto dal “burocratichese” , fa “custodi”. Questa volta le persone in corsa per farsi largo in questa marea caotica per accaparrarsi uno di quei 1052 posti sono ben 200.000. L’assurdità sta già nei numeri da cui possiamo percepire il problema della nostra nazione: il rapporto percentuale tra posti messi a concorso e partecipanti risulta pari a 0,526%, cioè la probabilità che uno dei partecipanti “conquisti” l’agognato posto è mezza su cento! Ma la gente è stanca, demoralizzata, brama a tal punto un posto di lavoro sicuro che si butta a capofitto anche scorgendo un misero barlume di speranza, un’ancora di salvezza che possa costituire la svolta attesa per anni. Eh sì, siamo proprio ridotti a questo. Neolaureati, plurilaureati, precari si lanciano in questa rete aggrovigliata già in partenza, più o meno speranzosi di riuscire a sbrogliarla uscendone vincitori! Ma, a pensarci bene, tutto questo trambusto da cosa è scaturito? Per cosa concorrono tutti questi speranzosi? Come abbiamo accennato poc’anzi, semplificando la dicitura del ministero, in ballo c’è la conquista del posto di custode museale, una qualifica – con tutto il dovuto rispetto per il lavoro del custode – per gran parte di loro totalmente inadeguata al percorso di studi compiuto. Ad oggi, in un’Italia dei sogni infranti (se si può definire sogno il desiderio di trovare un lavoro attinente al proprio titolo di studi) i desideri non trovano più spazio per fiorire, ma sono anzi rimpiazzati dai bisogni, come quello di un lavoro sicuro, anche se il costo è quello di rimanere 8 ore al giorno seduti a osservare che tutto proceda per il verso giusto. Ci chiediamo come ancora il ministero, più in generale chi ha l’onore di amministrare il paese, non abbia capito che ciò di cui abbiamo veramente bisogno è investire sulla cultura. L’Italia ha un patrimonio artistico-culturale immenso, vanta ben 51 patrimoni Unesco, ma solamente il 3,4% di lavoratori è impiegato in ambiti culturali. Dunque, ad oggi i musei sono privi di figure competenti che ridiano lustro alla nostra arte e il ministero che fa? Sposta tutto il suo focus e le energie su un concorso per custodi! Tra l’altro, energie spese malissimo se consideriamo i metodi di selezione inadeguati, che rischiano di lasciar fuori i più preparati. Si pensi infatti che le principali domande vertono su quesiti logico-matematici che rischiano di eliminare in partenza gli specializzati in materie umanistiche, quindi un vero e proprio terno al lotto. Ormai siamo il paese delle competenze deprezzate, in cui l’unica logica è dettata dalla fortuna, e la cultura sembra non aver valore anche in un concorso relativo ai beni culturali. Inutile dire quanto sia ingiusto questo spreco di potenziale che ci circonda: sono svariate migliaia i giovani con competenze specifiche che non desiderano altro che poter mettere il proprio sapere a disposizione di tutti, ma la rotta verso cui stiamo andando non lascia presagire alcuno sbocco positivo per loro. E’ come se avessimo la chiave sotto agli occhi ma, essendo ciechi, non riusciamo ad afferrarla. Ci dicono che le risorse finanziarie in Italia sono quasi finite e che lo Stato non può andare oltre. Ma il debito pubblico continua, inesorabile, a crescere nel totale immobilismo dei governanti che si succedono al potere. Tanto vale, allora, spendere per crescere, investire in diversi settori che, nel breve-medio periodo, restituiranno allo Stato quanto ricevuto, con gli interessi. Utopia? Certo, perlomeno finché il mantra sarà “rispettare i parametri”, lo spread, “non sforare il tetto” e compagnia danzante.
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