Inserita in Politica il 11/10/2019
da Cinzia Testa
"Anastasia, Genoveffa e Cenerentola": 12 Ottobre 2019 – ore 18:00 - 13 Ottobre 2019 – ore 18:00 Teatro Ditirammu
Alle 18 lo spettacolo "Anastasia, Genoveffa e Cenerentola". A seguire è previsto un incontro a ingresso libero con la compagnia. L’incontro sarà l’occasione per presentare il libro di Simona Scattina "Non tutti vissero felici e contenti». Emma Dante tra fiaba e teatro". Il volume affronta per la prima volta in maniera unitaria gli spettacoli di matrice fiabesca rintracciandone stilemi e rime e sottolineando modalità ed esiti di transcodificazione delle fonti. Da questo sguardo panoramico emerge l’autentica vocazione di Emma Dante per fate e principesse, orchi e streghe, che incarnano le tensioni del presente e rinnovano l’invito a non arrendersi alla superficie delle cose. Sarà presente l’autrice. SINOSSI SPETTACOLO. All’interno della casa dove Cenerentola fa da sguattera, la matrigna e le due sorellastre si presentano in maniera totalmente diversa da come invece appaiono all’esterno. A casa sono sciatte, malvestite, trasandate e per di più comunicano tra loro in un dialetto ricco di parole ed espressioni accese. Ma quando entrano a stretto contatto con l’alta società, negli ambienti aristocratici, i loro modi diventano raffinati e sensibili. Le tre arpie si riempiono la bocca di citazioni in francese, mostrando grande rispetto per le regole del galateo. La stessa cosa fa il principe: il suo disagio lo esprime in dialetto come se il dialetto fosse la lingua privata con cui i personaggi possono dire in tutta franchezza ciò che pensano. Ma anche la lingua della vergogna, quella che non si può, non si deve parlare in pubblico. Cenerentola è l’unica a usare sempre lo stesso linguaggio proprio perché non ha niente da nascondere: la sua disperazione è alla luce del giorno e la sua indole è nobile e gentile sia all’interno che all’esterno della casa. Tutto è giocato tra il dentro e il fuori di un paravento che definisce i luoghi dove si svolge l’azione. Ciò che non si vede è magico, ciò che è alla portata degli occhi è invece reale. Credo che sia più interessante sviluppare e stimolare la fantasia dei bambini attraverso un gioco di apparenze ed evocazioni. La bacchetta magica della fata non è potente quando trasforma la zucca in carrozza ma bensì quando ristabilisce la giustizia e aiuta l’amore a germogliare. La stessa cosa vale per il linguaggio: le parole dialettali, soprattutto di un altro dialetto, sono più misteriose, incomprensibili ma accattivanti nella danza e nel canto delle vocali. I bambini sanno lasciarsi andare all’esercizio della fantasia e bisogna aiutarli a praticarlo offrendogli la possibilità di rielaborare a modo loro le storie che ascoltano dagli adulti. Certo, gli indizi, il sentiero da seguire, la guida sono importanti ma il resto lo devono fare i bambini. La favola ha due morali. La prima è: bisogna essere la stessa persona sia dentro che fuori dalle mura di casa, con una coerenza costante e duratura, senza vergogna delle proprie radici e della propria identità. La seconda è: i cattivi non devono diventare eroi né tanto meno possono rimanere impuniti. SINOSSI SPETTACOLO. All’interno della casa dove Cenerentola fa da sguattera, la matrigna e le due sorellastre si presentano in maniera totalmente diversa da come invece appaiono all’esterno. A casa sono sciatte, malvestite, trasandate e per di più comunicano tra loro in un dialetto ricco di parole ed espressioni accese. Ma quando entrano a stretto contatto con l’alta società, negli ambienti aristocratici, i loro modi diventano raffinati e sensibili. Le tre arpie si riempiono la bocca di citazioni in francese, mostrando grande rispetto per le regole del galateo. La stessa cosa fa il principe: il suo disagio lo esprime in dialetto come se il dialetto fosse la lingua privata con cui i personaggi possono dire in tutta franchezza ciò che pensano. Ma anche la lingua della vergogna, quella che non si può, non si deve parlare in pubblico. Cenerentola è l’unica a usare sempre lo stesso linguaggio proprio perché non ha niente da nascondere: la sua disperazione è alla luce del giorno e la sua indole è nobile e gentile sia all’interno che all’esterno della casa. Tutto è giocato tra il dentro e il fuori di un paravento che definisce i luoghi dove si svolge l’azione. Ciò che non si vede è magico, ciò che è alla portata degli occhi è invece reale. Credo che sia più interessante sviluppare e stimolare la fantasia dei bambini attraverso un gioco di apparenze ed evocazioni. La bacchetta magica della fata non è potente quando trasforma la zucca in carrozza ma bensì quando ristabilisce la giustizia e aiuta l’amore a germogliare. La stessa cosa vale per il linguaggio: le parole dialettali, soprattutto di un altro dialetto, sono più misteriose, incomprensibili ma accattivanti nella danza e nel canto delle vocali. I bambini sanno lasciarsi andare all’esercizio della fantasia e bisogna aiutarli a praticarlo offrendogli la possibilità di rielaborare a modo loro le storie che ascoltano dagli adulti. Certo, gli indizi, il sentiero da seguire, la guida sono importanti ma il resto lo devono fare i bambini. La favola ha due morali. La prima è: bisogna essere la stessa persona sia dentro che fuori dalle mura di casa, con una coerenza costante e duratura, senza vergogna delle proprie radici e della propria identità. La seconda è: i cattivi non devono diventare eroi né tanto meno possono rimanere impuniti.
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