Inserita in Un caffè con... il 02/08/2019
da Cinzia Testa
L´inorecchiabile binomio studio-lavoro e l´arretratezza dei nostri sistemi di istruzione
Il binomio studio-lavoro, che dovrebbe risuonare naturale, ultimamente non combacia affatto. Si nota una sempre maggiore discrepanza tra i due ambiti che dovrebbero invece integrarsi a vicenda. Sì perché come già sappiamo bene l’Italia è al penultimo posto in Europa per tasso di disoccupazione giovanile. Gli ultimi dati Istat parlano di stagnazione e di un calo del tasso di disoccupazione, ma ancora di strada da fare ce n’è tanta. Incominciando dallo svecchiamento del nostro sistema di istruzione.
Cosa non va? Cosa occorre cambiare? Anziché parlare di inutilità dei titoli di studio potremmo porre l’attenzione sulla poca efficacia dei metodi di insegnamento e delle attività di orientamento di ragazzi in cerca della propria strada. Sì perché il nostro sistema di istruzione è ormai obsoleto e necessita di cambiamenti. Le conoscenze acquisite durate gli anni universitari sono troppo nozionistiche e mnemoniche. I ragazzi molto spesso vengono catapultati nel mondo del lavoro senza avere la minima idea di come cominciare a ingranare, così, scoraggiati, ripiegano su qualcos’altro. Di conseguenza, al problema concreto della reale mancanza di lavoro se ne aggiunge un altro riguardante la totale mancanza di competenze pratiche. Per raddrizzare il tiro occorre cambiare qualcosa nei corsi di laurea:
i ragazzi durante gli anni universitari si ritrovano sotterrati da pile di libri da imparare a memoria che studiano affannosamente al fine di superare gli esami, ma ai fini della vita quanto è utile questo tipo di apprendimento? Possibilmente un programma mirato che richieda lo sviluppo di un giudizio critico fornirebbe competenze riflessive differenti, e una riflessione porta alla nascita di un pensiero proprio, difficile da dimenticare. Un altro aspetto opinabile del nostro sistema universitario è quello riguardante il sovraffollamento durante le lezioni: gli studenti ammassati in un aula, molto spesso lontanissimi dal docente, si ritrovano a dover captare al volo i punti chiave della lezione, senza avere il tempo di ribattere. Anche questo sbagliatissimo, perché la fretta porta molto spesso errori, che verranno corretti, forse durante l’esame (o forse mai). Ciò che manca è un contatto faccia a faccia, un dialogo attivo, una comunicazione duale o ristretta a piccoli gruppi. Dagli anni Duemila in poi, la Commissione europea ha indicato gli obiettivi per lo sviluppo di un’istruzione e di una formazione di eccellenza, puntando soprattutto sulla diffusione di forme di apprendimento duale, capaci cioè di combinare l’apprendimento teorico con l’acquisizione di competenze pratiche sul posto di lavoro, evitando così lo skill mismatch diffuso in tutto il vecchio Continente (cioè il divario tra il portfolio dei lavoratori e le competenze di mercato). Ci vogliono lezioni frontali, attività laboratoriali e tutoring attivo già dagli anni del liceo: molto spesso gli adolescenti scelgono l’università con poca consapevolezza; l’informazione deve essere gestita bene già dalla scuola, ci vogliono attività sperimentali per testare le competenze attitudinali dei giovani. Si pensi al metodo americano che permette ai ragazzi di frequentare laboratori di ogni tipo, quali chimica, arte, poesia, recitazione, economia.
Così si sviluppano chiaramente le predisposizioni di un giovane che è al contempo guidato e lasciato libero: guidato perché gli viene fornito un modello da cui partire, libero perché può scegliere quali attività reputa più in linea con la sua personalità.
Cinzia Testa
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