Inserita in Politica il 16/02/2017
da Direttore
“MISTERI BUFFI, IL MOVIMENTO 5 STELLE RACCONTATO DAL PRIMO GRILLINO PENTITO” A TRAPANI VENERDI’ 17, ORE 17, ALLA BIBLIOTECA FARDELLIAN
Il vice presidente vicario dell’Ars Antonio Venturino e il giornalista Concetto Prestifilippo presentano venerdì 17 alle 17, nella Sala Torrearsa della Biblioteca Fardelliana (largo San Giacomo, 18), il libro “Misteri Buffi – Il Movimento 5 Stelle raccontato dal primo grillino pentito” (Ponte Sisto, pagine 87, €10,00) nelle librerie italiane dallo scorso 12 dicembre. L’incontro sarà moderato dal giornalista Wolly Cammareri. Il racconto che viene fuori da questa lunga conversazione è quello di un’insospettabile bugia mediatica. Una sorta di scenografia cinematografica buona per i campi lunghi. La mancanza assoluta di una struttura organizzativa. La sconcertante rivelazione di un finto efficientismo digitale. L’inedita mancanza di interlocuzione con i vertici del movimento. Il leader Beppe Grillo che comunica solo con una stretta cerchia di fedelissimi. La tanto agognata democrazia digitale si rivela, nelle dichiarazioni di Venturino, una sorta di organizzazione padronale. Altrettanto surreale appare il racconto del palazzo siciliano del potere. La carrellata dei personaggi evocati è di primo piano. Rivelazioni che riservano sorprendenti e clamorose verità. La mancata rivoluzione del governatore Rosario Crocetta. L’onnipresente senatore Beppe Lumia. Il potere dei Grand commis della burocrazia regionale. E poi, consoli americani, consiglieri del Pentagono, star televisive, fascismi digitali, inquietanti avvertimenti. Un dettato esplicito che consegna l’immagine di un Paese telestupefatto. L’Italia del movimentismo gridato è la nazione dei proclami della Lega, i riti delle ampolle, Pontida. La Penisola delle dirette dal tribunale di Milano, i giudici in copertina, il primo piano dell’ex potente con la bava alla bocca. Oggi è la patria della rabbia. Il Bel Paese di Beppe Grillo che guadagna a nuoto lo stretto di Messina. Il titolo “Misteri Buffi” è un ovvio rimando a Dario Fo. Venturino, nella prima parte della sua vita, è stato attore di teatro. Per anni, ha portato in scena lo spettacolo più noto dell’autore milanese. Il dato incontrovertibile è che il movimento di Beppe Grillo incarna l’inappagato, storico, irrisolto malcontento italico. Da nord a sud. Alla prova dei fatti però, si rivela inadeguato e antidemocratico. Non c’è spazio per chi dissente dal capo. I tanti Pizzarotti e Venturino sono subito bollati come traditori, pericolosi controrivoluzionari, rinnegati alla Kautsky. Volutamente, il libro rivela un tono lieve e un registro surreale. Come la storia che narra. Il luogo del riscontro è la Sicilia, ancora una volta metafora dell’Italia. A parlare è un pentito. Non svela però strutture inedite e inviolate. Rivela invece una complessità inesistente. È un racconto in prima persona. Una lunga intervista che non può essere confinata tra le pagine di un giornale. Un colloquio senza le classiche domanda e risposta. Il ritmo è sincopato, da giornale. Come ogni monologo interiore, presenta espressioni tipiche del linguaggio parlato e una scansione disordinata degli accadimenti. Il sospetto iniziale, per il lettore, è che le dichiarazioni di Venturino siano frutto di revanchismo. Lo sfogo di che è stato bollato di revisionismo. In realtà, l’intento è stato quello di indagare la realtà offline dei Cinque stelle. Fotografare, come bracconieri, il dietro le quinte della scenografia digitale del Movimento. Venturino consegna il ritratto di un’organizzazione vittima di una sorta di nevrosi paralizzante. Un movimento regolato da un antistorico Collettivismo oligarchico. Questo libretto è un prontuario senza pretese. È dedicato in particolar modo ai giovani lettori. Quelli infervorati, pochi. Soprattutto ai disillusi, tanti. Forse, gioverà ricordare loro l’insegnamento di Pietro Nenni. Il vecchio socialista esortava a dedicarsi alla politica con adeguato distacco dai sentimenti ma, soprattutto, senza il pericoloso ricorso ai risentimenti. La conclusione è che il potere è sempre altrove. Come ammoniva, con lucida disperazione, Leonardo Sciascia. Così come emerge un tratto caratteristico tutto italiano, quello del continuo ricorso ai piccoli ducetti. A quaranta anni dal monito inascoltato di Pasolini, l’Italia è ancora un Paese senza memoria che continua a calpestare le parole del poeta, come ha fatto con il suo corpo.
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