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Inserita in Un caffè con... il 28/04/2015 da REDAZIONE REGIONALE

Roberto Tumbarello - ´Italiani brava gente´ ed altre riflessioni

Roberto
Italiani, brava gente
Sembrava un’impennata di dignità, invece non era neppure un rigurgito, solo un singhiozzo. Come la maggior parte dei contemporanei anche Letta tira il sasso e nasconde la mano. Lo abbiamo ammirato per qualche ora, poi la prudenza ha avuto il sopravvento sullo sprazzo di coraggio. Non c’è rancore né il minimo risentimento nei confronti di chi l’ha pugnalato e continua a dileggiarlo. Anzi, solidarietà, quasi ammirazione, addirittura invidia, per il possesso di attributi ormai rari, che purtroppo mascherano ignoranza e inettitudine. Così va oggi la vita. Questa generazione di politici non porge l’altra guancia, nobile gesto dei forti che sanno perdonare e sostenere la verità. È più conveniente abbassare i pantaloni o tirare su la gonna. Ma, allora, che senso hanno le dimissioni, per ora solo annunciate? Perché lasciare la politica, essendo così omologato alla mediocrità, timida e impaurita, com’è richiesto per esercitare? È questo comportamento che andrà a insegnare ai giovani francesi che lo credono un eroe? Ci ripensi, onorevole. Rimanga in Italia, dove l’ambiente le è più congeniale per essere un apprezzato gregario. Sappia, però, che le siamo, comunque, grati per quell’attimo di orgoglio che ci ha concesso quando ci illuse di distinguersi dagli altri.

Il miglio verde
Salvini non sa perché, ma, in effetti, ha ragione nel predicare che, così, l’Europa non può crescere ed è una palla al piede per l’Italia. Ma non capisce neppure che non possiamo uscirne perché saremmo schiacciati, come adesso la Grecia. Potremmo imporci, con la persuasione, ma non ne abbiamo l’autorevolezza. Ovviamente leghisti e accoliti non se ne rendono conto, e meno ancora i loro elettori. Si tratta di sfumature di strategia politica non alla portata di chiunque, neppure del nostro governo. Se no, non avremmo sostenuto la candidatura al vertice dell’UE di chi, pur di attirare le multinazionali in Lussemburgo, ha concesso particolari sgravi fiscali a danno degli altri paesi. È appunto la mancanza di unità finanziaria e fiscale a impedire all’Europa di diventare una federazione. Se la Fiat lascia l’Italia per stabilire la sede legale a Londra – gli accordi di Schengen consentono la libera circolazione di cittadini, merci e società in tutto il territorio europeo – è perché nel Regno Unito la tassazione è mediamente del 22%, cioè metà della nostra. Essendo più conveniente stabilirsi all’estero, molte aziende si sono già trasferite e, a poco a poco, tutte le altre le seguiranno. Quindi, i paesi che hanno la manodopera più a buon mercato e le tasse più basse non sono partener, ma concorrenti. Bisogna far capire ai confederati che non ci sarà futuro per nessun paese se non sarà equiparata la politica economica. Finché tasse, assicurazioni e imposte non saranno uguali ovunque, l’Europa non sarà una federazione, ma tanti singoli paesi, ognuno contro tutti gli altri. Potrebbe finire molto male. Avendo una pessima classe politica, l’Italia è penalizzata. Inutile litigare per una legge elettorale obiettivamente iniqua o gloriarsi per una pacca sulla spalla che Obama concede a chiunque. Se vogliamo evitare di finire nel baratro, coinvolgiamo gli uomini migliori. Non continuiamo a farci prendere in giro dai mediocri che, a parole, sembrano efficienti.

Il crimine è più accettato
Non si capisce come mai la Turchia vada su tutte le furie quando si parla di genocidio armeno. Forse perché ancora oggi non si sente del tutto in regola. È vero che non massacra i curdi, ma non gli concede neppure tutti i diritti umani di cui dovrebbero godere. È come se la Germania negasse l’olocausto o la Chiesa l’Inquisizione. Anche il Papa è incappato nell’ira dell’intramontabile Erdogan per avere ricordato una realtà storica che ha avuto come vittime più di un milione di cristiani. I turchi, che oggi vorrebbero entrare nell’Unione Europea, non sono gli autori ma i discendenti degli ottomani che un secolo fa massacrarono i loro vicini perché di fede diversa. È un negazionismo politicamente preoccupante perché solo le verità e la trasparenza danno credibilità e prestigio. La Germania di oggi biasima quella che assecondò Hitler nello sterminio degli ebrei. Anche noi ci vergogniamo delle leggi razziali che fino a 70 anni fa erano in vigore in Italia. Non bisogna chiudere un occhio su certi eventi perché anche i contemporanei, oltre che la storia, possano condannarli in modo che non accadano più. Ci sono ancora troppi genocidi nel mondo. Sono recenti quelli degli Hutu contro i Tutsi e la strage di Srebrenica. Sono addirittura in corso nel Darfour e in Tibet. La religione e la razza sono tuttora motivi di rancori e crudeltà programmate. Bisogna ucciderli tutti perché eventuali sopravvissuti potrebbero, poi, vendicarsi. Non è un crimine, ma un eccidio. Oggi Il Pontefice è solo, assieme agli armeni, nel celebrare il triste centenario. Neppure l’Italia, che è al di là del Tevere, gli è vicina. Quando era senatore, Obama non esitava a parlare di genocidio. Adesso, come Ban Ki Moon, usa una più diplomatica definizione. I politici italiani che per ora contraddicono, pavidi, Francesco, alle prossime elezioni si professeranno tutti strenui difensori della fede.

Dal mio recente libro “Si salvi chi può”, quando non si sapeva ancora delle ruberie dei consiglieri regionali lombardi e di tanti altri politici
La sera, prima di andare a letto, la maggior parte degli uomini sognano: l’amore, la guarigione di un proprio congiunto, il successo dei figli…. E si addormentano felici. C’è, invece, una parte della società che – non certo per scelta – non sa sognare. Come Rom e Sinti, che vivono in povertà assoluta, in condizioni igieniche disastrose, scansati da tutti, nella sofferenza e nei disagi, nell’ignoranza e nel disprezzo, senza alcun diritto, neppure quelli inalienabili dell’istruzione, della salute, del lavoro, dell’assistenza sociale e del voto. La società ha deciso di emarginarli e costringerli alla mendicità e anche a delinquere. In realtà, siamo noi a rubare ai Rom – molto più dei loro furtarelli – il futuro. I bambini non sanno neppure che cosa sognare, non avendo alcun modello di felicità, essendo per loro la vita un incubo, sia quando si addormentano che al risveglio. Questi esseri infelici non conoscono il giusto percorso perché nessuno glielo indica. Anzi, a chi potrebbe emergere, viene preclusa qualsiasi possibilità. Ecco perché non hanno ambizioni, ideali, desideri, né speranze. Non conoscono successi né delusioni. Tutti i giorni sono uguali al precedente e al successivo, senza festività né emozioni. Sono destinati a vivere con la mano tesa, con orario continuato e interminabile. Giovani e forti, uomini e donne, mendicano come se fossero paralitici o ammalati. Le donne vivono senza vanità né vezzi, rinunciando alle gioie della femminilità. L’arguzia e l’astuzia sono le sole “virtù” che possono usare dato che l’intelligenza muore nella sporcizia. Eppure furono loro a creare la Czarda e il Flamenco, non i rispettati razzisti.


 

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