Inserita in Sport il 19/03/2015
da Gabriele Li Mandri
Borussia Dortmund-Juventus 0-3: Auf wiedersehen Champions
Il mercoledì è la notte del grande calcio, delle partite spettacolari, dei campioni ultraterreni: è in poche parole il mercoledì di Champions, con la sua musichetta che folgora i cuori di chiunque ami il calcio, che si tratti di giocatori, di allenatori, di dirigenti o di tifosi. È indifferente, perché in certi palcoscenici non contano i milioni percepiti, ma l’emozione che provoca una competizione che non ha eguali al mondo: si è tutti un po’ bambini, quando la si gioca. Con la freschezza, le emozioni ed i rischi che comporta il caso.
Questa era l’unica paura della Juventus stasera: una squadra storicamente abituata a giocarla, e anche a perderla all’ultimo capitolo, che dopo aver archiviato il campionato aveva l’esigenza di continuare a rendere viva la stagione, per un sogno che le sfugge di mano da ben 19 anni. Questa Juve non è più la Juve degli esordienti europei, della ricostruzione post-Calciopoli: è una squadra matura, con esperienza internazionale e con il gravoso compito di non poter più deludere le aspettative.
Dopo l’uscita ai quarti contro il Bayern di due anni fa, vissuta come una cavalcata miracolosa, e l’uscita ai gironi lo scorso anno contro il Galatasaray, vissuta invece come un’umiliazione, questo doveva essere obbligatoriamente l’anno del riscatto europeo. Via le paure, via lo spauracchio tedesco già fatale in passato, fuori gli attributi e, soprattutto, quella leggerezza d’animo che solo chi ha preso coscienza della propria forza può padroneggiare: è così che si ambisce ad un traguardo europeo. E la Juve, evidentemente, l’ha capito.
Lo ha capito Allegri, e lo ha fatto capire agli 11 in campo con le sue scelte tattiche: dopo il 2-1 dell’andata, l’italianissima tentazione di chiudersi e ripartire in contropiede era più di un’ipotesi. Lo spettro del 3-5-2, croce europea e delizia italiana della Juventus targata Conte, aleggiava sul Signal Iduna Park come uno sparti-acque generazionale: la scelta di proseguire col 4-4-2 ha detto, prima ancora di giocare, quale sarebbe stato lo spirito bianconero. Votato all’attacco, com’è giusto che sia per far brillare le proprie capacità e non affidarsi ad un’attesa che in Europa può essere fatale.
È andata come doveva andare: Juventus padrona incontrastata del campo, trascinata dai suoi fuoriclasse, cinica quando serviva e sprecona quando se lo poteva permettere. Una gara senza appello che, salvo 20 minuti di sterile possesso del Borussia dopo l’infortunio di Pogba, non ha visto i tedeschi toccare palla. Certo, quest’anno non è il miglior Borussia di Klopp, tanto tecnico e dinamico da far ammattire chiunque, ma uno 0-3 del genere non lascia spazio a dubbi: è stata una partita con la P maiuscola. Lo è stata soprattutto quella di Tevez (due tiri, due gol, un assist a Morata), un campione che dopo 5 anni di digiuno s’è finalmente svegliato nel palcoscenico che la sua classe merita, e che adesso rende più reale quel famoso sogno coccolato da 19 anni.
La strada è lunga e chiaramente in salita, ma per il momento i bianconeri possono battersi, con merito, le mani a vicenda: nessun addio alla Coppa, ma solo un arrivederci ad aprile. Auf Wiedersehen, Juventus.
Gabriele Li Mandri
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