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Inserita in Nera il 18/04/2013 da redazione

Le pecore nere uccidono, arrestato l´assassino di don Michele

Le
La parola fine sulla morte di Don Michele Di Stefano si scrive cinquanta giorni dopo quel dannato 26 febbraio.

A correre contro il tempo cercando indizi ed elementi di novità significativi per poter fare giustizia e donare la pace al riposo del prete, ucciso a colpi di bastone alla testa nella canonica della chiesa di Ummari mentre dormiva,sono stati iCarabinieri di Trapani. E nella risoluzione dei delitti si sa, il tempo è d’oro. 

Le prove si affievoliscono con il passare delle ore che questa volta, invece, hanno contribuito a far luce sui fatti. L’assassino, Antonio Incandela, 32 anni, è stato assicurato alla giustizia proprio ieri dopo un lungo interrogatorio durato circa tredici ore durante le quali, assistito dalsuo legale, l’uomo avrebbe confessato l’omicidio insieme a particolari agghiaccianti. Una mente fredda e lucida, raccontano gli inquirenti che nell’immediatezza del reato avevano prediletto l’ipotesi dell’omicidio a scopo di rapina. 

Ripercorrendo quelle giornate dense ed intense di perché, scrivevamo che dal luogo del delitto era scomparso il portafoglio di Don Michele aggiungendo però, che padre Di Stefano non era solito, stando alle testimonianze di chi lo conosceva bene, utilizzarlo: preferiva camminare con pochispiccioli in tasca. Non farne uso però non equivale a non possederne uno. 

Lo stesso che Incandela ha fatto sparire presumibilmente dal comodino vicino a quel letto dove lasciava don Michele agonizzante dopo averlo colpito, con il manico di una zappa, più volte alla testa, ed al cui interno c’erano due banconote da cinquanta euro. Ma Incandela sapeva di più. 

Sapeva che don Di Stefano ne possedeva un altro all’interno del cruscotto della sua golf che ha raggiunto uscendo dalla porta principale della chiesa ed ha rubato dopo essersi assicurato che all’interno vifosse il codice pin annotato per poter prelevare il denaro. Il killer, racconta il pm Palmeri con un velo disoddisfazione visto i risultati raggiunti dall’inchiesta, avrebbe detto durante l’interrogatorio, di non aver agito per uccidere il prete ma per dargli semplicemente una lezione. 

E’ a questo punto che si palesa il movente dell’omicidio: Incandela avrebbe assassinato don Michele perché non gli piacevano le sue omelie. Non gli andava giù il fatto che durante le prediche il prete facesse riferimento ai peccati ascoltati in confessionale. L’assassino si sentiva chiamato in causa, scoperto davanti all’intera comunità. Come quella volta quando, racconta durante la confessione l’assassino, don Michele avrebbe fatto riferimento alle “mele marce” in relazione ai piromani e, poiché Incandela aveva dei precedenti per incendio, aveva sentito forte un riferimento a sè.

Un odio che l’omicida covava dalle scuole medie quando don Michele non era solo il suo pastore ma anche il suo professore di religione. Probabilmente nessun pastore di Dio conta le sue pecore né le tratta in maniera differente in base al colore. E’ più plausibile pensare che preghi per loro e forse ha fatto così anche quella sera quando invece, Incandela, prima di agire, ha atteso che Don Michele rientrasse e andasse a dormire dopo aver guardato la televisione.

Ha indossato dei guanti per non lasciare impronte ed ha tolto le scarpe per allontanare dai Ris anche solo la possibilità di poter risalire a lui dal numero di scarpe rilevato dall’orma deisuoi piedi. Ed infatti per tre giorni i Ris non trovano nulla.I Ris di Messina no, ma i Carabinieri di Trapani si.La prima traccia arriva appena due ore dopo quell’efferato delitto e la centrale è uno sportello bancomat di Fulgatore. 

La distanza dalla scena del crimine,è poca. E’ lì che Incandela effettua il primo prelievo: 250 euro. 

Per depistare le indagini, dirà durante l’interrogatorio. 

Qualche ora dopo, intorno alle 6 delmattino,sempre con lamedesima carta, presso lo sportello della banca Nuova di via Libica,il trentaduenne prova ancora a prelevare ma l’esito dell’operazione è negativo.

Ventiquattro ore dopo,il 27 febbraio,il malvivente,compie un terzo tentativo al fine diritirare del contante. Sono circa le 14 e questa volta, pensando ancora di confondere le indagini,si sposta fino a Marsala,in contrada Contusio. 

Tutte le volte indossa indumenti e cappellini diversi. 

Gli inquirenti, nel frattempo, per monitorare le sue azioni ed i suoi spostamenti, avevano effettuato un provvedimento per evitare la disattivazione del bancomat. Ma Satana si sa,ci mette la coda e sparge zolfo in giro.A rallentare la caccia all’uomo, infatti, un disguido di due ore con l’istituto bancario che, non recependo il provvedimento, ritira il bancomat allo sportello. 

Fine delle corse. A mettere ulteriormente il bastone tra le ruote a queste già complicate indagini sono state le immagini dei sistemi di video sorveglianza che vigilano gli sportelli bancari. Impossibile, data la scarsissima qualità delle registrazioni,mettere a fuoco le immagini. 

Eppure, il lavoro degli inquirenti è stato certosino anche lì: tra fermo immagine e zoom di pixel si riesce finalmente ad estrapolare se non un identikit, almeno qualche segno distintivo capace di restringere il campo intorno ad un uomo,di una certa altezza, con un naso particolare ed un pizzetto. 

Troppo poco, però, per poter fermare Antonio le cui uniche frequentazioni riguardano la famiglia.Niente amici. Niente nemici. 

L’uso degli strumenti delle intercettazioni ambientali e telefoni ha sicuramente agevolato le indagini ma, il telefono di Incandela squilla poco. Nel frattempo il trentaduenne con i Carabinieri alle calcagna,continua a commettere qualche piccolo reato contro il patrimonio per il quale non viene fermato visto che quelle dannate indagini hanno solo bisogno di una svolta.

Ed arriva con la madre dello stesso Incandela. La donna - come hanno sottolineato in conferenza stampa il procuratore Marcello Viola, il sostituto Massimo Palmeri ed il colonnello Fernando Nazzaro-ha denunciato ai carabinieri lo smarrimento di una carta postamat con la quale il giovane ha nel frattempo effettuato un prelevamento di 200 euro. 

Confrontando le immagini riprese dalle videocamere delle banche e della posta,gli inquirenti notano delle somiglianze. Una madre, anche se le immagini sono di scarsissima qualità, riconosce sempre il proprio figlio, come in questa occasione:quando i carabinieri fanno vedere il filmato ripreso dalla telecamera di Poste italiane alla signora Incandela, la donna riconosce Antonio.

L’uomo è stato quindi fermato ed interrogato e, anche se all’interno della sua confessione molti sono i particolari che combaciano oggettivamente con la scena del delitto, molte altre sono le riserve che il procuratore Marcello Viola ed il sostituto Massimo Palmeri hanno sul movente che ha portato l’uomo ad uccidere il prete amato da tutti. 

Marina Angelo

 

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