Inserita in Cultura il 14/12/2014
da Direttore
IL POTERE, ARATRO DELL’ANIMA di Antonio Pasquale Lufrano
Quando negli anni ’60 una generazione si rivolto´ contro l’idea stessa del potere, identificandola col dispotismo dei potentati economici e industriali, padroni del mercato, la reazione fu in parte di sufficienza da parte dei politici, in parte codina da parte dei movimenti sindacali, ma l’onda di protesta travolse il comune sentire, e l’idea che “potere” fosse uguale a “dispotismo” divenne un assioma incrollabile ancora oggi. Quale fu allora la ricetta della politica codina? Accoppiare all’idea di dispotismo l’immagine della dittatura fascista e buttarla in ideologia, spostando l’attenzione della protesta, contro lo sfruttamento materiale, verso una componente ideologica, teoricamente di destra, praticamente inesistente, ridandole identità (falsa) ed una ragione per battersi contro una tesi inesatta. Dimentichi che anche il nazional socialismo prendeva il via dalle riforme socialiste predicate da Marx e che il nascente comunismo invocava una dittatura del proletariato, certo non una democrazia, l’idea che solo un uomo forte, che racchiudesse in sé tutti i poteri, poteva gestire una nazione in maniera giusta, prendeva sempre più piede, mentre l’idea di democrazia diventava solo una cappella sotto la quale mescolare il tutto, ruberie comprese. Oggi non è cambiato nulla! Le destre storiche, ringalluzzite dalle recenti mosse politiche di Berlusconi, e dimentiche del loro passato culturale, rivendicando una “onestà politica”, andata a rotoli con “Mafia capitale”, hanno opposto, ad una sinistra imbelle, incapace di concepire un disegno governativo, realmente socialista e innovativo, e barricata dietro i niet del sindacato, un’idea nazionalista, sentita quanto sbagliata, ad un progetto di svendita delle risorse italiche, malamente varata sotto la copertura, insufficiente e ridicola, dell’internazionalismo. Negli anni ’60 bloccare la produzione delle fabbriche di ricchezza creava panico, e forza contrattuale, non basata sul riconoscimento del diritto, socialmente inteso, della parità di condizioni, ma solo sull’impatto del gesto sul mercato, quindi un atto di forza degno della legge della giungla. Passato l’argine del XX° secolo, e forti di una tecnologia che manda a casa un numero sempre crescente di manovali, spesso mantenuti al lavoro grazie alle garanzie sindacali, piuttosto che alla indispensabilità produttiva, oggi il blocco delle attività, grazie allo sciopero, è solo un contraccolpo sulle tasche dei lavoratori e un regalo alle aziende. È una forza che si ritorce contro chi la usa, ed è giusto, anche perché chi la usa, troppo spesso, e le dichiarazioni deliranti che si ascoltano su i vari media lo dimostrano, non sa il perché, e recita malamente a memoria quello che gli hanno raccontato. Una volta le ragioni erano chiare, fossero pure sul piano salariale, oggi no! Chi sciopera non sa che le vere ragioni stanno nella difesa di quel potere che gli anni ’60 avevano demonizzato, regalandolo di fatto alle oligarchie dei potentati sempre più internazionali e sempre più anonimi. Ma il potere di chi? Ecco, la gente (non voglio parlare di masse operaie perché sarei retrò) comunque intuisce l’aspetto materiale identificandolo nel denaro, oggi dio incontrastato delle nuove greggi sante e disposte al sacrificio supremo, ma non vede più chi lo pretende, se non nella controparte; così chi sciopera rimprovera a chi governa di accaparrarsi il potere e chi governa accusa le rappresentanze sindacali di volere il potere. Di fatto la democrazia predica e auspica un potere gestito dal popolo, ma questo, lo capisce anche un bambino, non conviene né al Sindacato, né al Politico. Da qui la lotta serrata all’idea che il potere sia malvagio, e che l’uomo santo non aspira al potere. Da qui l’idea che il potere debba essere gestito da un uomo giusto, e che questo vada individuato e gli vada delegato il potere, il più ampio possibile! Poi però, nella realtà, questo uomo giusto, ammesso che in origine lo fosse per davvero, o viene corrotto, o viene eliminato, e il potere rimane nelle mani di una entità oscura che manovra come burattini politici e sindacalisti, collusi per definizione, o non starebbero dove stanno. Qualcuno sfugge alla tagliola? sicuramente sì, ma scegliendo di essere onesto, si condanna automaticamente all’impotenza e, se reagisce, alla esclusione; e se, e succede, è così stupido da farsi incantare dalle sirene del torbido, e si propone come eleggibile, pone la sua immagine pulita al servizio dei faccendieri che non avranno, al momento buono, scrupolo alcuno a lanciarlo in pasto agli squali, dopo averlo spremuto per benino. Passiamo ad una breve sintesi: ad oggi il popolo (almeno in Italia) ha ancora un’idea del potere che è fondamentalmente “monarchica”; questa idea è stata fomentata e mantenuta viva da tutte, o quasi, le correnti politiche giustificandola, chi per un verso chi per l’altro, come indispensabile a mantenere l’ordine in un popolo tendenzialmente incapace di governarsi (e non è vero!) sempre più autoconvinto di essere un popolo di ladri, mafiosi e criminali (e non è vero!); questo stato sociale di progressivo imbarbarimento è stato agevolato dal crollo non solo dei valori (definiti retrogradi e fascisti!) ma anche dalla disaffezione alla ricerca e allo studio, fertile terreno di Cultura e di Identità, che l’involgarimento della Scuola, assolutamente non casuale, ha creato. Risultato? Un popolo privo di fiducia nelle proprie risorse, privo di una guida seria, sia politica che sociale, e non in grado di riconoscere, nei propri rappresentanti, i volgari burattini che sono in realtà, e progressivamente derubato delle proprie radici e identità, sociali e culturali, del proprio orgoglio vilipeso, e delle proprie ricchezze, sia materiali, sia creative. Un popolo che continua a sperare che prima o poi arrivi una classe governante onesta. Un popolo che continua a desiderare di poter lavorare in pace e rispettato, desiderio ormai prossimo alla illusione più completa, a meno che non cambino le cose; ma le cose, da sole, non cambieranno mai. Può sembrare semplicistico rispetto alla moltitudine infinita di discorsi, di pensieri, di valutazioni, di difese e di accuse, di indici istat e crisi, di recessione e jobs act, di scioperi e referendum, di crolli di borse ed economie globali, di guerre e omicidi senza senso, ma un filo di buon senso italico ci deve illuminare, tutti! Da sole le cose non cambiano! Se Cristo, come Falcone, mi si perdoni il confronto, valido sul piano del fare, dichiaratamente “onesti”, sono stati uccisi, ci sarà un perché! Eppure erano uomini onesti, e decisi a spendersi per difendere la giustizia, uno addirittura con origini non umane! Perché non ha funzionato? La lezione, divina o umana che sia poco importa (anche perché un eroe, ed eroi essi erano, come tanti altri, anche meno conosciuti, è impastato di ambedue le nature), io credo pone le sue radici in questo concetto: da sole le cose non cambiano! Per cambiare occorre la volontà di cambiare, e la volontà va espressa, messa in pratica cioè, con le azioni di chi vuole il cambiamento. Ora se il cambiamento è individuale, si muova l’individuo, se il cambiamento è sociale, si muova la società! Ma la società è fatta di individui, che accettano di essere persone (maschera risuonante), cedendo un po’ della loro indipendenza egoica alla comunità, che pone le sue radici sociali proprio in questo: il riconoscimento e il rispetto reciproco tra diversi, e ogni individuo è diverso da un altro, in quanto unico. Senza questo passo, senza questa scelta, non si va da nessuna parte e la società rimane una realtà inesistente; una comunità virtuale, o, come si diceva una volta, rimane sulla carta! È lettera morta! Allora se si vuole cambiare ci si cominci da se stessi, rendendosi conto che essere partecipi non è una scelta né un optional, ma è indispensabile cemento della Società! Ma per cominciare da se stessi occorre volere, e fare, e per fare bisogna scrollarsi di dosso l’apatia e imporsi di agire … imporsi di agire vuol dire, semplicemente, esercitare il potere di controllo su se stessi! E riecco il potere, demonizzato, e giustamente, nel ’66, a Parigi come a Palermo, quando rappresentava il despotismo e lo sfruttamento degli altri, tornare nella sua veste più corretta, e sana, di dominio di sé, e non degli altri. Questa idea di potere, decantata dagli antichi come una panacea, e rivalutata da pensatori più recenti, tanto brillanti quanto discussi (non faccio nomi), certamente nuoce a chi sfrutta gli uomini a proprio vantaggio. Questa idea di potere deve tornare a brillare in ciascuno di noi, o rimarremo schiavi degli altri, sempre. Lo so, non è facile! I Greci svezzavano i loro giovani, ed essi stessi, con lo studio e la cura del pensiero, i Romani con l’esercizio fisico e la lotta, i Cinesi con lo studio e l’immedesimazione della mobilità cosmica incessante, gli Indù col Darma, che è un permearsi coscientemente e volitivamente al Destino; la gente italica, geneticamente alchemica e magica, con la manualità e il lavoro intelligente. Oggi la via più pratica rimane quella di lavorare per gli altri senza scopo di lucro! Sembra una amenità, ma chiunque abbia scelto questa strada, laicamente o meno che sia, può dichiararlo: ha più controllo e rispetto di se stesso e, indispensabile complemento, più rispetto per gli altri! Il controllo sugli altri è invece un’alterazione, aberrante, che sostituisce il ruolo di guida, dato invece dall’esempio di una vita esemplare e liberamente riconosciuto dagli altri, senza che questo porti, a chi è di esempio, beneficio alcuno, anzi, spesso, l’esatto contrario! Tiro alla conclusione (anche per non indulgere nei dettagli, per quanto importanti, del percorso di crescita dell’individuo verso il sociale) con una ricetta semplice (ma non facile) fatta di pochi elementi: niente più fiducia e delega alle sirene dello sfascismo, della contumelia e dello scontro a tutti i costi; fiducia in se stessi, con la progressiva crescita dell’autocontrollo, e della attività generosa nel sociale; aiuto reale a chi si prodiga per gli altri disinteressatamente, senza lasciarlo solo quando la sua, e la vostra, azione sveglierà le violenti reazioni contrarie di chi ci vuole sottomessi e ignoranti: Cristo, e Falcone, morirono perché furono abbandonati a se stessi; comportarsi in Famiglia come ci si comporta fuori; il ruolo dell’uomo sociale è di esempio e di guida, non è quello della delega e dell’aspettativa. Guardatevi attorno! Per chi vuole fare non c’è che l’imbarazzo della scelta, per chi cerca il guadagno, oltre la soddisfazione della decenza, c’è solo il remo di una galera, virtuale o meno che sia. Se volete una guida cercatela in voi stessi, se volete un amico cercatelo tra i più diversi da voi. Sul frontone del Tempio dei Poveri Pastori, venuti ad osannare il Bambin Gesù, a guisa di greppia e di fienile, scarto del più nobile grano, una mano illuminata ha scritto: “Gloria a Dio, nell’Alto dei Cieli, e Pace, in Terra, agli Uomini di Buona Volontà”. Ed è con questo augurio, quindi, di divenire tutti Uomini di Buona Volontà, che vi esorto all’Azione, costruttiva, su Voi stessi e su tutto ciò che ci circonda. Antonio Pasquale Lufrano.
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