Inserita in Un caffè con... il 08/11/2014
da Direttore
Antonio Pasquale Lufrano
PUBBLICO IMPIEGO ED ALLUVIONATI, OVVERO: SI SONO ROTTI I TELEFONI! Se da una parte i sindacati italiani (inutile scandire i nomi dei loro segretari, tristemente unificati nei soliti slogan, logori e privi di identità politica) sono impegnati ad incitare alla mobilitazione i lavoratori del Pubblico Impiego (con contratto a tempo indeterminato e assistenza e pensione garantita) per una richiesta di aumento salariale (e non di una più corretta politica dei prezzi al consumo per tutti) bucando lo schermo, dall´altra un’Italia messa in ginocchio dalle cattive Amministrazioni locali (dove si sa che oltre al Sindaco, ovvio bersaglio della protesta, lavorano ottime maestranze provenienti da Marte o da Venere, a passar carte da un tavolino all´altro), un’Italia dell’impresa e dell’artigianato, che è l’Italia che “lavora”, nel senso più classico della parola, e che produce beni e servizi e crea il famoso PIL, schiatta e subisce anche la beffa delle cartelle esattoriali (sempre opera di un complicato intreccio burocratico tra marziani e venusiani). Non sarò certo io a disconoscere l’importanza del terziario, ma le carte girano (si spera sempre più velocemente dati gli attuali tempi della burocrazia italiana, più lassista che opportuna) se gira il lavoro, e il lavoro gira se gli imprenditori italiani, razza d’ingegno eccellente, viene messa nelle condizioni di lavorare e non essere strozzata da tasse e balzelli che servono in gran parte (troppa) a foraggiare una burocrazia elefantiaca e inconcludente. Eppure, giusto in tempo di crisi, è la classe del Pubblico impiego, regina della suddetta burocrazia, e i suoi sindacati, storicamente forti nella categoria, a scendere in piazza a chiedere aumenti, piuttosto che giustizia. Nel paese dei ciechi beato chi ha un occhio!
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