Inserita in Nera il 06/03/2013
da redazione
Renda e Cernigliaro morti per overdose
Trapani aveva smesso solo da qualche giorno di correre a stendersi sotto gli ultimi raggi di sole quando, nel centro storico cittadino, il 27 ottobre scorso, venivano rinvenuti, in avanzato stato di decomposizione, i corpi di Michele Cernigliaro, 41 anni, e Giovanni Renda, 35. Una morte, quella dei due tossicodipendenti trovati riversi sul pavimento al primo piano del civico 22 di Corso Vittorio Emanuele, che aveva fatto chiaccherare molte ipotesi ma su tutte, solo una oggi trova la sua conferma. Renda e Cernigliaro, sono morti per overdose.
Lo ha stabilito definitivamente la relazione tecnica dell’esame autoptico depositato nei giorni scorsi lo stesso che, aveva già fatto presa sulla pista numero uno quando stabiliva che sui corpi non c’era nessuna ferita. Guardando a ritroso, anche i Carabinieri, supportati dal reparto Scinetifica, avevano segnato il passo su quella stessa strada: sul tavolo del soggiorno-cucina trovavano due siringhe ed un cucchiaio.
Elementi molto loquaci all’interno di una scena del delitto che parlavano di un buco mortale, l’ultimo, ma che proprio per la sua evidenza lasciava perplessi e sospetti.
Quella morte non aveva oltrepassato col sangue solo il tetto del piano terra.
Aveva lasciato attonita l’intera città. Scioccata, allibita e con una montagna di perché le cui risposte si iniziarono a ricercare nel passato dei due. Ed è proprio lì che alcune piste, molto ricche di particolari, sembravano più interessanti di altre.
Facendo “dietrologia”, si suppose un regolamento di conti. Una vendetta che i Casalesi di Napoli avevano maturato nel tempo e servita fredda.
Il fil rouge che legava la sorte dei due pluripregiudicati a questa triste fine si rintracciava nel passato di ‘u pitture, come veniva chiamato Cernigliaro. E’ lui che nel 1998 aveva tentato di uccidere i napoletani Angelo e Ciro Clavo, rispettivamente zio e nipote, facendo irruzione nel loro negozio di abbigliamento aperto nel centro storico trapanese. Ma il tentativo di ucciderli impose a Cernigliaro una latitanza di circa due anni prima di essere rintracciato (siamo nel 2000) ed arrestato.
Per lui si aprirono le porte del carcere. Le stesse si richiusero alle sue spalle per otto lunghi anni. Anche Renda non era nuovo alle schede della giustizia. Reati che andavano dallo spaccio alla rapina ma niente che potesse assicurargli l’odio di un killer. Da lì a breve, anche il passato di Cernigliaro iniziava a cedere agli appigli dove si cercava di attaccarlo semplicemente perché c’era un presente, dopo il carcere, che gli ridava la dignità persa nel tentativo di compiere quel delitto.
Una colpa espiata in galera a cui non pensare più visto che, tra la gente che lo conosceva, grande era il rispetto nei suoi confronti. Lui aveva ricominciato una nuova vita.
Una vita semplice e onesta ma che, come Renda, aveva un debole: la droga.
E’ lei che silenziosa li ha resi schiavi rubandogli l’ultimo respiro con un buco.
Marina Angelo
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