Inserita in Cronaca il 10/12/2020
da Rossana Battaglia
Società Italiana di Geologia Ambientale (Sigea)
Fazzini (climatologo e geologo): “Non sfidiamo la montagna innevata almeno per altre 36-48 ore. Nell’ultimo ventennio, gli incidenti sono più che raddoppiati mentre le perdite di vita umana risultano incrementate del 50%”.
“La fase di maltempo che ha imperversato sull’intera Penisola italiana durante l’intero ponte dell’Immacolata ha causato diffuse situazioni di risaputo rischio idraulico ed idrogeologico.
Spesso però non viene considerato parimenti alla sua importanza il rischio valanghe che imperversa durante le stagioni invernali sulle nostre nevose montagne, le più antropizzate a livello globale. A partire dalla stagione invernale 1985-86 gli incidenti complessivi sono stati oltre 1550 con circa 684 deceduti. Il periodo antecedente la stagione 1999/2000 registra 445 incidenti e 273 deceduti. Il successivo periodo, esteso sino alla stagione 2017/18 annovera ben 1.095 incidenti, con 401 deceduti. Le variazioni percentuali segnalano che nell’ultimo ventennio, gli incidenti sono più che raddoppiati mentre le perdite di vita umana risultano incrementate del 50%. Significativo anche l’aumento dei feriti, che a loro volta sono cresciuti di circa 2,5 volte”. Lo ha dichiarato ora Massimiliano Fazzini geologo dell’Università di Camerino, climatologo, esperto di fenomeni nevosi e Coordinatore del Gruppo Rischio Climatico della Società Italiana di Geologia Ambientale.
Cosa accade?
“Abbiamo un “mondo montano sempre più caldo”, ma anche forse anche imprudenza e non conoscenza. Ebbene nelle ultime 48-72 ore, relativamente ai settori centro-orientali dell’Arco Alpino, si sono diffusamente toccati gradi di pericolo 5 – molto forte o se si preferisce massimo, situazione che non avveniva cosi estesamente da ben sette stagioni invernali. Non sempre il grado di pericolo corrisponde a nevicate particolarmente abbondanti – ha proseguito Fazzini - anche con un manto nevoso non particolarmente spesso si può avere un elevato pericolo di valanghe, specie provocato dall’utente ma quando ci si trova di fronte a cumulate di neve fresca che a partire dai 2000 metri di quota hanno superato i 200 cm, peraltro con un manto caratterizzato da neve avente massa volumica molto elevata e “bagnato”, è facile comprendere che “la colpa “dell’instabilità del manto in questo caso sia appannaggio della “Natura”, una natura pero evidentemente “disturbata” dall’azione antropica che ha favorito l’estremizzazione climatica in causa.
L’invito in tal senso è a non sfidare la montagna innevata almeno per altre 36-48 ore, dopodiché un graduale assestamento del manto nevoso determinerà condizioni più favorevoli alla pratica della attività ludiche in ambiente innevato per la gioia dei fruitori deli nostri splendidi rilievi, in un contesto sicuramente meno pericoloso, sempre nel rispetto delle normative in atto dettate dalla pandemia in corso”.
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