Inserita in Cronaca il 03/11/2020
da Rossana Battaglia
Il manifesto di Carlo Ruta sulla storia apre un dibattito globale
Il manifesto di Carlo Ruta sulla storia apre un dibattito globale
Sul documento dello studioso italiano per l’innovazione della conoscenza storica prendono posizione i massimi protagonisti della storia e della cultura mondiale, dal britannico Peter Burke, fondatore della «New cultural history», alla statunitense Pamela Kyle Crossley, capofila e teorica della «Globlal History».
Quella di Carlo Ruta, storico che non ha mai smesso di documentare il ruolo strategico della conoscenza storica nella vita delle società civili contemporanee, è stata un´impresa davvero difficile, tanto più nel pieno delle attuali contingenze pandemiche. Ma con la forza dei suoi argomenti, paradigmatici, lo studioso è riuscito ad aprire varchi importanti di discussione, che hanno superato di gran lunga i confini italiani. Diramato nella prima metà dello scorso settembre, il suo Manifesto, intitolato in maniera esortativa La storia cambi passo, ha richiamato e coinvolto studiosi tra i più eminenti a livello globale, in campo storico, antropologico, archeologico sociologico, filosofico e di altre discipline.
Adesso questa discussione, dipanatasi per un mese e mezzo quasi in sordina, diventa pubblica e fruibile con pienezza perché raccolta in un libro di 220 pagine, intitolato Dibattito sulla storia. Il manifesto di Carlo Ruta e il dibattito in Europa e oltre, appena pubblicato dalle Edizioni di storia e studi sociali. Solo adesso emergono perciò, in maniera sorprendente, le misure di un dibattito intenso, che di certo finirà per accenderne altri, per il valore aggiunto culturale e scientifico, per certi versi perfino spiazzante, che riesce a fornire.
Da vari Paesi e da ambienti di profilo altissimo si è deciso di interagire in sostanza con le argomentazioni del Manifesto, con condivisioni nodali, laddove lo storico italiano parla, ad esempio, di «fenomenologie del pregiudizio» di «mobilità del punto di vista», di «dimensione dell’incerto», di «chiusure iper-identitarie» di nuovi patti tra scienze sociali e naturali e di nuovi incontri tra società e storia. Evidentemente, non scorre in rassegna una storia «calibrata», cattedratica, rinserrata nei gusci ma una storia audace, progressiva, utile e spendibile sul piano civile, come viene sottolineato ampiamente da Carlo Ruta e da altri studiosi intervenuti.
Alcuni nomi, allora, per dare un’idea concreta sul tipo di risonanze che ha avuto il Manifesto dello studioso italiano. Tra i partecipanti al dibattito troviamo Peter Burke, storico della Cambridge University e fondatore della «New cultural history», che, con quella annalistica francese, ha segnato una delle maggiori svolte storiografiche del Novecento. Troviamo Pamela Kyle Crossley, storica statunitense della Cina e dell’Asia, oggi capofila e teorica della «Global History»: altra vicenda epica in campo storico, che ha aggiornato alcune mappe delle Annales francesi, aggiungendone di nuove. Troviamo Carlo Sini, tra i massimi filosofi italiani viventi, che ha segnato un punto di confluenza tra fenomenologia, ontologia ed ermeneutica. Troviamo Jean Guilaine, paletnologo francese i cui studi sul Neolitico e sulla Protostoria da decenni fanno scuola in tutti i continenti. Troviamo, ancora, Clemente Marconi, docente della New York University e dell’Università Statale di Milano, archeologo post-processualista tra i più brillanti oggi a livello internazionale, e che ancora oggi gli States americani contendono all’Italia.
Ed ecco i nomi degli altri partecipanti: Michael F. Feldkamp, storico tedesco di Berlino, esperto di storia delle relazioni fra Santa Sede e Germania e tra i massimi rappresentanti del cattolicesimo in Germania; Sébastien Nadot, storico, esperto di reti sociali e politico francese, dal 2017 deputato all’Assemblea Nazionale, Parigi; Vincenzo Guarrasi, geografo, direttore dell’Istituto di Scienze antropologiche e geografiche e docente di Geografia all’Università degli Studi di Palermo; Giuseppe Varnier, epistemologo italiano, docente di Epistemologia e Philosophy of Mind all’Università di Siena; Alberto Cazzella, paletnologo, docente di Paletnologia e direttore della Scuola di Dottorato in Archeologia della Sapienza Università di Roma; Giorgio Manzi, biologo, docente di Evoluzione umana e Storia naturale dei primati della Sapienza Università di Roma; Giorgio Chinnici, fisico e scrittore hoepliano; Sandra Origone, storica, docente di Storia medievale e di Storia del Mediterraneo medievale e dell’Oriente bizantino all’Università di Genova; Luigi Loreto, storico, docente di Storia Romana presso la Seconda Università degli Studi di Napoli; Roberto Cipriani, sociologo, docente di Sociologia presso l’Università Roma Tre; Simona Marchesini, linguista, archeologa ed etruscologa italiana; Liborio Dibattista, storico della scienza, docente di Storia della medicina e Filosofia della scienza all’Università degli studi di Bari; Salvatore Perri, economista, docente di Politica economica all’Università della Magna Graecia di Catanzaro e stretto collaboratore dell’analista economico statunitense John Komlos; infine, François Dosse, storico francese proveniente dall’esperienza delle Annales, tra i più acuti interpreti di Foucault, docente emerito Università di Parigi 12 e docente di storia moderna presso l’Institut Universitaire de Formation des Maîtres a Créteil.
Come si spiega allora questo grande ed esteso interesse suscitato? «Credo – spiega Carlo Ruta – di aver interpretato un’esigenza comune, una avvertita necessità di cambiamento. Servono nuove concettualizzazioni e ho cercato di fornire dei contributi in questa direzione, che, evidentemente, non sono caduti nel vuoto, tutt’altro. Avvertivo peraltro già da prima questo interesse, che spero sia il ‘sintomo’ di un mutamento di prospettiva. Le società vivono forti crisi d’identità, rischiano di rifluire nei nichilismi, nelle chiusure iper-identitarie, che hanno infestato un’epoca e che diventano sempre più aggressive. E di certo un nuovo modo di produrre conoscenza storica può avere effetti importanti, direi dirompenti, sulla contemporaneità. Si tratta di ricercare allora nuovi paradigmi, nuovi parametri, nuovi accostamenti alle cose». «Ma – continua lo storico – tutto ciò è possibile a condizione che i saperi storici e sociali siano pronti a ‘rinegoziare’ il rapporto con le società attraverso un ‘patto’ che ne elevi la funzione, in cambio di un rinnovato impegno a mettersi e a mettere in discussione, che porti ad una erogazione più sostenuta sul piano scientifico, ad una ridefinizione dei compiti, che dovrebbe coinvolgere anche le scienze naturali, in una logica di aperture e dialoghi a tutto campo». E aggiunge: «Credo non sia inutile ricordare che nella dimensione discorsiva, di un dialogo incalzante e serrato tra saperi scientifici, si aprivano, con l’esperienza galileiana in modo particolare, gli orizzonti scientifici e culturali della modernità».
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