Inserita in Un caffè con... il 24/05/2020
da Direttore
I grandi temi della Giustizia. Intervista ad all´On. Andrea Delmastro
Delmastro: Svuota-carceri, magistratura onoraria, separazione tra magistratura inquirente e giudicante e rapporti tra politica e magistratura. I grandi temi della giustizia italiana
Onorevole, qual è il suo pensiero in merito al Decreto Svuota-Carceri di Bonafede?
Essendo colui che per primo ha sollevato il caso in parlamento, il mio pensiero è molto preciso: il 7 e l’8 marzo ventidue carceri entravano in rivolta, accadimento che aveva qualcosa di inquietante in termini di sincronismo e di medesime modalità e rivendicazioni. Subito dopo, ventuno procure d’Italia hanno aperto fascicoli per indagare sulla regia occulta di queste rivolte, immaginando che dietro si celasse la criminalità organizzata. Il procuratore Gratteri aveva sostenuto che dietro la rivolta vi fosse la mafia che stava tentando di approfittare dell’emergenza Coronavirus per alleggerire il percorso di carcere duro. Fratelli d’Italia ha chiesto di intervenire repentinamente per reprimere le rivolte con processi per direttissima, utilizzando la forza pubblica, immaginando provvedimenti volti a revocare i benefici di massa nelle carceri teatro delle rivolte organizzate. Di contro, Bonafede, a 8 giorni di distanza, con il Cura Italia, all’art. 123, ha assunto il provvedimento dello Svuota-carceri, secondo cui è possibile trascorrere a casa gli ultimi 18 mesi di pena, sul presupposto scientificamente falso del nesso di causalità tra la detenzione ed il contagio da coronavirus, ergo esattamente quello che voleva la mafia. Ma non basta, il CSM, di cui il Dr. Di Matteo è componente (quando all’epoca non era ancora esploso il caso Di Matteo- Bonafede), aveva espressamente chiesto di non cedere con questo provvedimento alla criminalità organizzata che stava dietro alla rivolta. Il Dr. Sebastiano Ardita, altro membro del CSM, aveva detto testualmente “se tu assumi questo provvedimento si otterrà un effetto domino di cui usufruiranno anche i mafiosi”. Io ho fatto un’interrogazione con la quale ho sostenuto che “il perimetro del 123 esclude i mafiosi, ma se tu lo assumi, dato che si fonda sul presupposto del nesso di causalità tra detenzione e contagio, questo tuo perimetro comunque influenzerà le decisioni della magistratura sulla scarcerazione dei mafiosi”. Bonafede quindi era stato avvertito dall’opposizione, da menti autorevoli del CSM come il Dr. Ardita e il Dr. Di Matteo, da Gratteri. Il Ministro sapeva dunque perfettamente che cedere avrebbe significato in primis cedere alla criminalità organizzata, che il nesso di causalità tra detenzione e contagio era falso, considerando il principio assurdo secondo cui i mafiosi non potevano stare in isolamento per il medesimo virus che ha lasciato a casa le persone per mesi. Nonostante tutte queste avvisaglie il Ministro è andato dritto per la sua strada e ha assunto il provvedimento Svuota-carceri non tanto per fronteggiare l’emergenza Coronavirus, vista la totale inutilità in merito (tutte le evidenze scientifiche ci raccontano che i detenuti in carcere sarebbero stati più tutelati), ma per fronteggiare le rivolte delle carceri, non rendendosi conto che sarebbe diventato utile strumento della battaglia storica della mafia contro il 4 bis e il 41 bis. Per me, alla luce di tutto ciò, non c’è stata trattativa, ma grande ignoranza giuridica, incommensurabile inadeguatezza politica al ruolo,unita in un mix esplosivo a tracotanza caratteriale che ha fatto sì che non ascoltasse nessuno: da Gratteri, ai membri del CSM, all’opposizione. Risultato finale: mentre lui ci diceva che esageravamo e che avevamo preoccupazioni eccessive, la storia si è incaricata di dire chi aveva ragione. Quotidianamente abbiamo assistito a immorali scarcerazioni di mafiosi. Aggiungo che la successiva circolare del Dap con cui il suo capo, Basentini, sollecitava i direttori degli istituti penitenziari a indicare tutti i detenuti (e in questo caso senza neanche più l’esclusione dei mafiosi) la cui età anagrafica e le cui condizioni di salute sconsigliavano la prosecuzione dell’esperienza carceraria in costanza di Coronavirus è la traduzione amministrativa e la conseguenza fatale di quel provvedimento. Dunque in termini ponzio pilateschi, Bonafede ha scaricato poi il barile su Basentini, che alla luce di quel provvedimento non avrebbe potuto far altro che quella circolare.
Quindi imporre le dimissioni a Basentini è stata la prova di colpevolezza del Ministro, sia perché a quel punto quella circolare era l’unica scelta possibile, sia perché non credo che quella circolare sia partita senza confronto col Ministro. Bonafede è stato quindi campione di scaricabarile e strumento utile in mano alla criminalità organizzata, che ha raggiunto il più storico risultato della battaglia contro lo Stato, perché anche se un domani rientrassero, come dice Bonafede, in ogni caso sono usciti e hanno fatto i domiciliari nei regni che hanno flagellato fino a ieri, dimostrando che possono tornare sempre. Un danno catastrofico per sanare il quale occorreranno anni e anni di durissima battaglia antimafia.
Secondo lei adesso come agirà Bonafede?
Bonafede adesso ha fatto questo pannicello caldo per tentare di farli rientrare. Non so prevedere quale efficacia avrà. Secondo me non quella attesa. In ogni caso il danno, soprattutto presso le popolazioni flagellate da questi signori, è fatto; perché ormai loro sanno che possono uscire e possono tornare. E questo, anche nei processi, nelle testimonianze, avrà un effetto devastante.
Di cosa avrebbe bisogno oggi la giustizia italiana?
La giustizia oggi per funzionare avrebbe bisogno di defaticare la magistratura togata, quindi assumendo i magistrati onorari che oggi sono assunti a cottimo senza previdenza, senza malattia. Quindi, come si fece negli anni 70 per i pretori, occorrerebbe assumere i magistrati togati con vincolo di subordinazione, come per altro hanno affermato le sentenze della Corte Europea e quella recente del Tribunale di Sassari. I magistrati onorari sono dipendenti a tutti gli effetti ed è incredibile che questo governo, che pensa a trovare i soldi per il reddito di cittadinanza, tratti come schiava una classe di magistrati formata nel tempo. L’impiego fisso consentirebbe loro di dedicarsi a processi più importanti velocizzando così la giustizia penale, il cui procedimento credo tutto sommato funzioni. In Italia ciò che fa acqua da tutte le parti è l’esecuzione della pena, che è sempre stata improntata al doppio binario: cioè alla funzione preventiva sociale della pena, ma anche a quella rieducativa. Il problema è che questo sistema, corretto sulla carta e costituzionalmente orientato, nel quale crediamo anche noi di FDI, denuncia uno sbilanciamento nella cosiddetta fase risocializzante e rieducativa della pena. Sta venendo meno il concetto che la ricompensa va meritata e non regalata a priori. I 45 giorni di liberazione anticipata ogni 6 mesi non sono un diritto, ma vanno meritati, se si partecipa al lavoro, se si risarcisce la parte civile.
Lei è favorevole alla separazione delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante?
Certamente. La separazione delle carriere è una richiesta storica della destra che consentirebbe di riequilibrare il processo e in questo senso di renderlo più garantista. A noi piacerebbe, che quando si affronta la galassia penale ci fosse maggior garantismo in entrata, cioè per l’imputato, e minor garantismo all’esito, cioè per colui che ormai è condannato. Invece assistiamo a una giustizia eccessivamente forcaiola sull’indagato che poi diventa blanda, ridicola, lassista, nei confronti del condannato. È evidente che c’è qualcosa che non funziona nel ragionamento, a monte.
Qual è il suo pensiero circa l’appartenenza dei magistrati a organismi di tipo sindacale caratterizzati molto spesso da ideologie politiche?
L’evidente e vischioso rapporto tra magistratura e politica è un grande tema, prima ancora di quello della sindacalizzazione. Il grande tema è quello delle porte girevoli tra politica e magistratura. Se si sceglie un percorso non si può avere la possibilità di sceglierne un altro. Una volta che da magistrato hai deciso di fare politica non torni più a fare il magistrato. Questo è un altro punto che deve essere chiaro, altrimenti ci saranno sempre sospetti sulle funzioni essenziali dello stato, come quella della giustizia. Altro grande tema sul quale dovremmo iniziare a riflettere e che di nuovo interseca il rapporto tra magistratura e politica è quello dei magistrati distaccati in batteria permanente o al Ministero di Grazia e Giustizia o in altri organi politici.
Siamo così sicuri che c’è bisogno dei magistrati o dovremmo fissare un’incompatibilità, perché comunque in ogni caso si entra all’interno di organizzazioni di natura politica? Il capo del Dap fa politica, il capo di gabinetto del Ministero della Giustizia fa politica. Allora probabilmente potremmo scegliere di affidare questi incarichi a laureati in giurisprudenza o, come avviene in Francia, a coloro i quali intraprendono percorsi di scienze giuridiche di altissimo livello che andranno a costituire poi l’ossatura burocratica dello Stato. Da noi invece l’ossatura burocratica del Ministero della Giustizia, dai livelli più apicali a quelli più basici, è costituita da magistrati distaccati dal servizio. Su questo tema dovrebbe essere aperta una grande riflessione.
Cinzia Testa
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