Inserita in Cronaca il 15/10/2019
da Cinzia Testa
Feste, tradizioni, dolci e identità Per i “Morti” è sempre attuale e diffusa la caratteristica “Frutta di Martorana” di Antonio Fundarò
Non si può parlare di dolci se non si parla prima di feste. Fra essi c’è, infatti, specie in Sicilia, ma un poco ovunque, una stretta connessione, in quanto di solito si festeggia con il dolce. Che sia lo sposalizio, il battesimo, la cresima, il compleanno o la festa patronale (o se vogliamo il Natale, il Capodanno, la Pasqua, la ricorrenza dei defunti o il Ferragosto) il dolce conclude sempre il relativo convivio. Un tempo c’era un dolce per ogni festa; i bambini la ricordavano alle mamme già al mattino di Capodanno: Bon Capurannu, bon capu di misi, i cucciddati, unni su misi? (Buon capodanno, buon capo di mese, i buccellati dove sono messi?).
ln origine le feste erano solamente pagane, poi con l’avvento del cristianesimo si è assistito ad una loro graduale sostituzione fino a diventare quasi tutte religiose, anche se in effetti mantengono una certa paganità legata ai divertimenti: giostre, gare, giochi d’artifizio, bancarelle, sfilate, ecc.
Ma, se vogliamo, anche la festa pagana, oltre che di divertimento, era fatta di religiosità (vedi gli aspetti legati ai riti ed alle propiziazioni). In ogni caso il dolce costituiva quasi sempre un elemento della festa e ne suggellava l‘avvenimento.
Il tedesco Johan Heinch Barteels, a proposito delle feste dei Siciliani, ebbe a dire nel XVIII secolo che “L’entusiasmo per le feste fa di questi uomini dei folli, visto che manca loro l’occasione di essere eroi”.
Un popolo quello siciliano che nel caos generato, quotidianamente dall’ambiente naturale, cerca il necessario intervento divino per attenuarlo o disciplinarlo. Per secoli vecchi, donne, giovani, contadini, artigiani, si sono rivolti devotamente al santo protettore nei momenti di disperazione, nelle difficoltà, nella solitudine ed hanno trovato in esso il conforto e la forza necessaria per affrontare la vita.
La festa ancor oggi è un avvenimento atteso e il dolce, pur esso atteso, viene preparato per rendere quel giorno diverso dagli altri. Certo il migliorato tenore di vita porta a consumare il dolce anche nei giorni cosiddetti feriali, senza tuttavia pregiudicarne il significato simbolico. Alle feste ed ai riti sono legati, dunque, molti dolci a cui oggi viene riconosciuta la storicità e la tipicità, ma che rappresentano, in estrema sintesi, una rinnovata ed inconfutabile lettura della storia della Sicilia.
Gli ingredienti tradizionali per preparare i dolci erano costituiti da miele, uova, farina, frutta (secca 0 fresca), latte ed in epoca successiva da zucchero. Ancor oggi tali ingredienti costituiscono la base per la preparazione dei dolci anche se, come è ovvio comprendere, se ne sono aggiunti di nuovi.
I dolci confezionati nei conventi siciliani sono legati al più profondo rispetto della religiosità, ma sono anche causa di grande meraviglia: non si può che rimanere stupiti di fronte al geloso segreto delle suore agrigentine di Santo Spirito che hanno custodito per tanto tempo la preziosa ricetta del cuscus dolce, o di quello palermitano del monastero di Montevergine dove le religiose hanno nascosto con orgoglio il mistero della preparazione del loro trionfo di gola, o ancora il segreto delle ricette con le quali le Benedettine di Palma di Montechiaro hanno confezionato i loro dolcetti (per la verità ancora oggi questa tradizione continua), vere delizie a base di mandorle e che finivano anche sulle mense dei “Gattopardi”; ed ancora a Messina dove si dice che siano state le suore della Carità per prime a confezionare la famosa pignulata. Le Carmelitane di Erice, dal canto loro, elaboravano vere e proprie leccornie colorate e fragranti; mentre le suore di clausura di San Michele a Mazara del Vallo ancora oggi preparano dolci la cui ricetta, passata da suora a suora, viene mantenuta gelosamente segreta. Grande emozione si prova dinanzi alla ricetta della “torta di ricotta” rinvenuta in un testo del Cinquecento, presso il Monastero di San Martino delle Scale a Palermo, cui qualcuno attribuisce l’origine della arcinota “cassata siciliana”.
Anche presso i Benedettini di Catania, la cui cucina venne descritta da Federico De Roberto ne “I Viceré”, si producevano arancine grosse quanto un melone e dolci. Le cucine dei Benedettini erano spaziose quanto una caserma e Ie graticole tanto grandi da potervi arrostire un pescespada intero. Spesso le suore provenivano da famiglie agiate e dunque abituate a mangiare bene. Per la festa dei morti si preparano i caratteristici frutti Martorana. La storia pare sia questa: le suore della Martorana a Palermo, in occasione della visita di un alto prelato, pensarono bene di fargli uno scherzo innocente preparandogli dei frutti finti (di quelli che maturano in altre stagioni), a base di pasta reale e dipinti in maniera tale da sembrare veri; frutti che appesero ad un albero. Al momento della visita il prelato, tra l’ilarità generale delle religiose, rimase grandemente meravigliato. La notizia, però, ben presto si allargò a macchia d’olio in tutta la città e i frutti Martorana diventarono dolci molto ricercati e caratteristici, ottimi per fare regali da spedire lontano. Oggi, è possibile consumarli durante tutto l’arco dell’anno. Nelle pasticcerie (ottima quella di Castrenza Pizzolato, in via Fratelli Sant’Anna, 39, in Alcamo), si trova, anche se talvolta a richiesta, ormai una ricchissima varietà di frutti a base di pasta reale che imitano a meraviglia, tanto da sembrare veri, frutti quali arance, mandarini, limoni, pesche, fragole, susine, fette di melone, loti, banane, fichi, mele, pere, ciliege, albicocche, melograni, fette di angurie, mandorle, fette di melone Cantalupo, pannocchie di mais, ficodindia, nespole, carrube; ma anche olive, baccelli di fave verdi, agli, broccoli, fìnocchi, melanzane, ravanelli, carote, peperoni, mafaldine, treccine, arancine, panini c’a meusa, polpi, triglie, ricci, gamberi, cozze, chiocciole. il tutto in un trionfo di colori e di arte che si tramanda da generazione in generazione.
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