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Inserita in Cultura il 10/01/2018 da Direttore

Perché includere? Urge un cambiamento etico in ogni essere umano

Perché
Se diamo uno sguardo alla storia, nelle diverse società, passate e presenti, non possiamo fare a meno di annotare tutti i casi di estromissione, di allontanamento che hanno impedito di comprendere e vivere l’unione. Già dalla creazione Adamo scarica la responsabilità sulla donna che ha accanto e questa sul serpente, Caino si scaglia contro il fratello e lo uccide e, via via, fino ad arrivare ai nostri giorni in cui vediamo scene di femminicidio, di parricidio, infanticidio, matricidio, genocidio, di intere famiglie che vengono sgominate, di interi villaggi e nazioni annullate o ridotte allo stato di povertà strisciante. Assistiamo a un protagonismo, all’arricchimento a scapito di altre nazioni e popoli, adducendo motivazioni d’ogni genere, senza alcun rimorso, come le diverse forme di colonizzazione e neo-colonizzazione e le svariate guerre provocate, fino ai nostri giorni. Sembra che l’alterità piuttosto che essere un valore sia una paura da attaccare e annientare. Così è avvenuto e avviene a livello familiare, politico, economico…

Eppure tutto ci svela un valore assoluto che è quello dell’includere [dal lat. includĕre, in- e claudĕre «chiudere»], con significati diversi come chiudere dentro, contenere in sé, com-prehèndere. L’atto del racchiudere è quello più alto di unità, di ‘amore’ che troviamo in tutti i campi dell’esistenza: umana, ecologico-naturale, fisica, fisiologica e soprattutto in un contesto sociologico. Il bisogno, infatti, di creare cosmos, armonia, in greco κόσμος (kósmos) che significa “ordine”, è un’esigenza osmotica non solo delle creature animate ma inanimate. Inclusione è permettere e dare vita al seme, al bambino, al giovane, alla donna, all’adulto, all’anziano, sia nel campo vitale, familiare, sociale, lavorativo, culturale, religioso… comporta una complicità.

L’includere ha bisogno di due cardini essenziali: l’accettazione di chi accoglie e la disponibilità di chi è accolto. Solo in questo modo si crea integrazione, unione, vita. Se da ambedue le parti ci si autoesclude (e questo la natura non lo fa mai, l’uomo sì), si rifiuta l’altro e il dono che egli fa; nella stessa negazione è, in un certo qual modo, la morte di ambedue: se il seme che cade per terra non trova humus è destinato a morire e se, nonostante sia presente l’elemento organico, la semente è inefficace, si ha lo stesso effetto.

L’accogliere è, di per sé, un principio ontologico, riguarda cioè gli aspetti essenziali che servono a completare, sviluppare, vivificare. Il perché di tutto questo si trova nel diritto di essere immesso, quale componente essenziale (e non è appannaggio di alcuna cultura o nazionalità), al fine di realizzare il contenuto e il contenitore: il polo positivo senza la presenza di quello negativo è incapace di produrre luce e vita e questo al contrario. Dal momento in cui i due vengono a contatto, assumono un dovere di inclusione l’uno dell’altro perché ambedue diventano un valore. Qualora uno dei due punti focali non comprende questa funzione, occorre passare a in procedimento interventistico o educativo-pedagogico al fine di acquisire l’importanza dell’inglobare. L’includere, poi, porta unità, gioia, serenità, equilibrio, forza, arricchimento, collaborazione, crescita.

Esistono delle inclusioni naturali (e tutte dovrebbero essere tali se l’egoismo umano non prendesse il sopravvento) e altre che richiedono il consenso della nostra volontà, comunque sempre essenziali. Chi integrare? L’elenco sarebbe molto lungo, mi limito ad alcune categorie nell’ambito sociologico, segnalando che l’inclusione comporta un lavorio globale e personale, il superamento di determinate barriere, di pregiudizi e frontiere: psicologiche, politiche, sociali, culturali, economiche. Parlando della natura umana oserei dire che tutti gli uomini hanno il diritto di essere accettati dai propri simili senza esclusione alcuna poiché il contesto razziale (umano) è uno (esiste una sola famiglia umana e non più razze, semmai più etnie). Vi sono, però, alcune categorie che richiedono un’inclusione particolare per le condizioni nelle quali sono state ridotte, esse sono le minoranze di qualsiasi genere. Fino a quando la società non includerà adeguatamente chi vive ai margini della strada (prositute, clochart, portatori di disabilità, appartenenti a classi eterogenee,…) per renderlo compartecipe, valorizzandolo come soggetto, per farlo diventare responsabile, per fargli prendere coscienza, coinvolgendolo, e tutti non avranno i diritti sacrosanti di ogni essere umano, non sarà una società perfetta, anzi sarà sempre perdente, ecco perché è un dovere accogliere. Nel campo educativo, si chiede Roberto Carnero su Avvenire (del 3 maggio 2017), «l’inclusione è una ”ideologia” nefasta? O piuttosto è un dovere, una necessità etica prima ancora che ´amministrativa´? Anche perché il contrario dell’inclusione si chiama esclusione. E quest’ultima è la negazione di un vero approccio educativo. Bisogna però capire che cosa significa veramente includere (…) portare tutti i ragazzi, o quanto meno il maggior numero di ragazzi possibile, ai cosiddetti “obiettivi minimi”, raggiunti i quali si è in grado di seguire con profitto il successivo anno di corso».

Includere vuol dire anche togliere dall’isolamento, dalla solitudine, dalla paura, da un processo non-violento, malavitoso, criminale.

Oggi per inclusione s’intende, secondo una vecchia idea illuminista, “utilizzare” l’altro purché questi stia al proprio posto e, nonostante la legislazione lo avvicini alle istituzioni, si preferisce che rimanga nel proprio ambito, mortificando la democrazia e tutti gli altri organi di partecipazione attiva. Il risultato: allontanare i cittadini dalla gestione della cosa pubblica, disinteressandoli dal voto, non prendendo parte a tutto ciò che li possa coinvolgere in prima persona. La delega, poi, ha prodotto cittadini disincarnati dalla vita quotidiana del paese. Anche l’odio, la violenza, l’intolleranza, il razzismo, l’antisemitismo, il nazismo, il terrorismo, l’ingiustizia di qualsiasi matrice sono forme di esclusione. Il giudicare l’altro è una forma di violenza ed esclusione, come il non condannare e far silenzio è, in alcune circostanze (soprattutto da parte di chi detiene il potere), connivenza e complicità.

Siamo figli di un Dio che abbraccia e difende ogni persona. Egli è un Dio amore e speranza, un Dio che ama anche i nemici. Ci ha inclusi nella salvezza che è universale. Cristo non ha mai cacciato alcuno che a lui si è rivolto e non è morto per un solo uomo o per alcuni ma per tutti: quelli esistiti prima e quelli che verranno nei secoli. «Nessuno di noi – scrive l’Apostolo Paolo - vive per sé stesso o muore per sé stesso. Perché se viviamo, viviamo per il Signore, e se moriamo, moriamo per il Signore. E così, sia che viviamo, sia che moriamo, apparteniamo al Signore. Infatti Cristo è morto ed è tornato in vita per essere il Signore dei morti e dei vivi» (Rm 14, 7-9).

È impellente che ci sia una ricomposizione della diversità dei popoli e una rivitalizzazione etica della società per comprendere tutti che al centro della creazione, della storia, della vita politica c’è la persona, il cittadino, soggetto primario di diritti e doveri, di salvezza.

 

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