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Inserita in Cultura il 06/11/2017 da Direttore

È in libreria “Gemito sincero e amaro. Raccolta di versi e colori” di Filippo Nobile

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È in libreria “Gemito sincero e amaro. Raccolta di versi e colori” del giovane docente di Filosofia e giornalista Filippo Nobile. Il volume edito per il Gruppo Le Messaggerie, ha la rara bellezza di legare a ciascun capolavoro letterario un omaggio alla pittura contemporanea. Versi e colori esaltano lo splendore di un viaggio, inedito, nell’intimità dei drammi umani.
Splendide tutte le liriche del prof. Nobile, a partire proprio da quella che ha dato il nome alla raccolta; “Gemito sincero e amaro”, “Inquietudine”, “Paure”, “Mani sole”, “Che cos’è la vita?”, “Come semplice neve”, “Impronta di luce”, “Infinito”, “Insieme”, “Intrecciano le tue mani…”, “Primavera”, “Lame di silenzio”, “Non essere mai abbastanza”, “Un volo distante”, “Un atomo di solitudine”. Filippo Nobile è, senza ombra di dubbio, un artista d’una inconsueta e, talvolta, tragica sensibilità.
Il suo è un poetico viaggio sofferto, un racconto, troppo spesso invernale, a sprazzi macchiato di luci e di colori, un romantico soggiorno nel quale il poeta mola, con l’incisività originalissima dei sui versi, le più importanti e, talvolta, le meno percorse teorie della vita.
E lo fa, consapevolmente, con una insolita sfida letteraria, con liriche tormentose, tragiche e, non raramente, enigmatiche.
Tra aurore, albe, crepuscoli e colori evanescenti della vita, smarriti rammenti di passioni e cellule liriche rinfrescate, ormai che il desio non è più così lontano, dallo scorrere del tempo che liquefà e graffia le vene ecco venire a galla la figura di un uomo indebolito dalla vita e dalla sua inesorabile iperbole drammatica che vaga tra le macerie di quello che rimane nel vorticoso precipitare nel baratro, che si aggira nel silenzio di freddissime mattinate e sperimenta di scavare, a mani unite, negli oscuri segreti.
Poesia del frammento, ritmi sincopati, crude verità in parole scarnificate: una continua volontà di togliere ogni sigillo all’umana parola, alla lirica angosciante e alla fatalità.
Eppure, nel poeta Filippo Nobile, prezioso docente e delicato amante del verseggiare doloroso del tempo, v’è sempre un desiderio: quello di rinverdire, di ritornare, nonostante «Punge di fuoco/ questo silenzio stellato/ che rimane sempre/ un sorso di te», a nuova vita, al calore dell’estate (sempre poco frequenti e sempre meno presenti nella sua vita) in quei giorni assolati dell’infanzia (come non lo sono nella Sicilia che l’ha tradito, in primis nei suoi affetti familiari, poi nel lavoro) in un recupero autobiografico che possa aiutare ad convogliare il tormento caotico e il dramma interiore in un presente oblio: per dimenticare tutto, per non sapere più niente, per dissolversi nella coscienza della morte delle parole ma non della vita che continua ad essere il faro delle sue giornate.
In un gelo sintattico di ricordi tormentati accompagna il lettore, talvolta disorientato, e lo invita a compiere «Saltelli/ come fossi un bimbo/ davanti il suo primo regalo/ e il cielo/ respinge ogni tuo pianto.../ Hai il potere di scrivere un sogno/ con un sorriso/ eppure/ hai paura di essere sincero...». ed il tutto, appunto, tra odore di cose morte e frammenti di sinceri smani in una cupa bufera del cuore non si può far altro che muoversi tra deserti smisurati e ingannevoli terre promesse: una continua acrobazia per esistere, spegnersi, magari, lo auspica lo stesso poeta dell’incanto, rinascere.
Filippo Nobile è il poeta, per eccellenza, dall’anima nuda, visibile a tutti, mimetizzata, lo deve necessariamente fare, nell’intima mole dell’Io che si dibatte in una vita che altro non è che un continuo e inarrestabile «Camminare a piedi nudi/ sull’erba/ e avvertire/ a ogni tuo passo/ la freschezza/ della primavera/ in un palmo di mano/ che piano/ scivola via/ come neve al sole/ quando arriva l’estate».
La sua vita e i suoi versi, conditi questi con colori insuperabili dell’arte di quest’ultimo secolo, sono paragonabili ad un filare di alberi, uno dietro l’altro.
Unica vertigine, però, la neve irreale che scende, lieve, in ogni stagione della vita del poeta e apprezzato docente di Scienze Umane e di Filosofia delle Scuole Secondarie Superiori, e che rimane, pur sempre, un peso dell’umano esistere, struggimento e disperazione.
E la sua poesia, soave e irresistibile, che ti conquista e ti vince, viene liquefatta in questo gravitare negli abissi solitari dell’anima, nel decadere del corpo, nell’imbrunire perenne dell’esistenza.

 

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