Inserita in Cultura il 30/01/2017
da Direttore
La lezione di Eugène Ionesco dedicata ad Alessandro Fersen
Nell’era della comunicazione, dell’ipercomunicazione e della post-verità, dal 14 al 19 febbraio al Teatro Lo Spaziova, va in scena uno dei testi che più di ogni altro anticipò l’identificazione del linguaggio come strumento di potere, violenza e sottomissione: La Lezione di Ionesco, secondo gli studi del maestro del teatro italiano Alessandro Fersen, con la regia di Fabio Galadini e con Erika Rotondaro, Simona Meola e Fabio Galadini.
“Un esperimento di teatro astratto e non figurativo” come lo definì lo stesso Ionesco in “Notes et Contrenotes” che – nel 1951 in maniera assolutamente innovativa – mostrò al pubblico l’ipocrisia dei legami sociali in un esercizio di potere compiuto attraverso la mistificazione del linguaggio.
In un ritmo incalzante fatto di ripetizioni sillabiche, di suoni che soggiogano mente e corpo, di personaggi e spettatori, “La Lezione” di Ionesco rivela ogni volta una diversa chiave di lettura: tra il potere, la sottomissione femminile e sociale ,l ’abuso, il sapere e la violenza.
Dietro un´apparente lezione si consuma un rito gotico e omicida che si ripete all´infinito sotto gli occhi complici della governante. Un professore che insegna diverse discipline, un’allieva che vuole conseguire il dottorato totale e una governante che sorveglia lo svolgersi delle lezioni con frequenti incursioni in scena. Il dramma di Ionesco, uno dei maestri dell’assurdo, è una metafora sul potere esercitato attraverso l’uso della parola che poco alla volta annichilisce, diventando ripetitiva come in un rito e che sul finale diventa una danza macabra. Ne “La lezione” la parola perde senso, ritorna alla propria origine, cioè ridiventa suono e chi lo subisce può essere usato e manipolato. Oggi più di ieri piegati come siamo a miliardi di parole apparentemente significanti, pronunciate da parolai che detengono il potere.
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