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Inserita in Cultura il 21/12/2016 da REDAZIONE REGIONALE

LA QAS´AT È UNA PREGHIERA IMPRESSA NELLA TRADIZIONE DELLA PASTICCERIA SICILIANA

LA
Da Enza Pizzolato la rievocazione gastronomica di una storia ancora fortemente viva

di Antonio Fundarò

Certamente è stata, senza ombra di dubbio, insieme a quella borbonica, la migliore e, forse, la più importante dominazione dell’isola. Il riferimento va a quando, in questa magnifica isola, incastonata nel Mediterraneo, nel IX secolo, arrivarono gli arabi.
Una dominazione che non durerà poco e che è destinata a dare un’impronta profonda allo sviluppo culturale dell’isola.
La cucina, naturalmente, non è immune.
Sono gli arabi a importare, per primi, in nella Trinacria il pistacchio, il limone, il cedro, l’arancia amara, la mandorla e la canna da zucchero, ingredienti che, oggi, sono alla base delle ricette della tradizione siciliana e che, per l’eccezionalità e l’esclusività dei sapori, sono destinati a rappresentare la differenza con le altre tradizioni gastronomiche italiane.
La leggenda vuole, e come in ogni origine incerta si perde nella poesia del racconto e nella sua tradizione, che la realizzazione della prima cassata sia frutto di un caso fortuito, la mescolanza di ricotta e zucchero per lo spuntino notturno di un pastore.
Il nome, infatti, sembra derivare proprio da qui.
C’è, però, io tra questi, chi pensa si tratti del termine arabo quas’at o Kassat.
Il termine indicava la casseruola entro la quale si realizza lo stampo per confezionare questo strepitoso dolce.
Non in ultimo c’è chi ipotizza una origine legata a caseum ovvero al formaggio, quella splendida ricotta a cui è demandato il compito di esaltare il gusto della “Cassata siciliana”.
Nasce, quasi in epoca coeva, la prima versione della cassata, pensata e realizzata al forno.
La tradizione vuole che i cuochi alla corte dell’Emiro stabilitosi a Palermo, avvolgessero l’impasto di ricotta nella pasta frolla e la cucinassero per renderlo una vera torta.
Tradizione, storia e poesia che nascondono l’amore profondo che i siciliani nutrono per questa regina dei dolci.
La trasformazione che segna il passaggio alla cassata siciliana, come tutti la conosciamo, è determinata, nel periodo normanno, ancora una volta, dalle suore del convento della Martorana di Palermo, più famose per avere creato la pasta reale (appunto Martorana), a base di farina di mandorle. Pasta che, con l’evoluzione del dolce finirà con il rivestirlo sulla sua parte esterna laterale quasi a preservarla dal calore e da ogni infiltrazione d’odori che ne potrebbe alterare l’unicità e l’eccezionalità.
Questo impasto dolcissimo, fatto di farina di mandorle e zucchero che sostituì la pasta frolla come involucro, determinò il passaggio dalla cassata al forno a quella a freddo.
È la dominazione spagnola ad introdurre il “Pan di Spagna” e il cioccolato, ingredienti che diventano insostituibili per la cassata siciliana e per plasmare un dolce che il mondo intero ci invidia e che, purtroppo per loro, nessuno riesce ad imitare.
Per concludere il viaggio gastronomico, durante il periodo barocco, la cassata venne arricchita dai canditi.
Inizialmente, la cassata fu scelta quale prodotto della tradizione conventuale femminile siciliana e riservata al solo periodo pasquale.
il documento ufficiale del primo sinodo dei vescovi siciliani a Mazara del Vallo (era il 1575) si legge, che la cassata è, per antonomasia il dolce “irrinunciabile durante le festività”.
A ricordare la cassata è anche la tradizione orale affidata do splendido proverbio che così recita “Tintu è cu nun mancia a cassata a matina ri Pasqua” ossia “Infelice è chi non può assaporare la cassata la mattina di Pasqua”.
La cassata è stata ufficialmente riconosciuta e inserita nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Mipaaf).
Per queste ragioni ho il piacere di consigliarvi, con la naturalezza di chi crede fermamente nella identità gastronomica della nostra cucina, di gustare l’adesione perfetta alla storia che ci riserva la cassata di Enza Pizzolato, proprietaria dell’omonima pasticceria in Alcamo.
Innamorato di questo dolce, vera preghiera della gastronomia siciliana, ho voluto dedicargli questa singolare silloge poetica che mi permetto di segnalarvi.
Buona lettura e buon Natale.

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Qas´at è preghiera

Velato
il cielo,
è un rincorrersi di luci,
pioggia e vento…
un’incertezza
per ricordare
il martirio
più tragico
dell’umanità insensibile;
lo scampanio bronzeo a lutto,
quello di Bruxelles
e d’ogni luogo al mondo
dove l’uomo celebra la morte
e il patimento dell’Amore.
Uno sparo,
uno scoppio,
ed ecco,
a terra,
il figlio di Dio.

E, poi,
il triduo,
la lavanda dei piedi,
la penitenza,
la mortificazione,
l’umiliazione,
e…
i sepolcri
anche oggi
che il sangue,
sempre rosso ed intenso,
scorre per le strade del mondo,
sono adornati
con calle bianche e grano verde,
e, a seguire,
le celebrazioni
e le processioni
del Venerdì Santo,
la preghiera
che spesso manca,
il dolore di Maria,
la marcia funebre,
le lacrime
sul sepolcro
dell’uomo
che non è più uomo,
oggi che,
mai pentito della sua umanità,
siede accanto
a Dio,
ed è parte,
indissolubile,
di quella Trinità
che comprende,
a pieno,
solo chi,
guarda e legge,
con fede

e si fa, pressante,
lo scampanio,
uno,
cento,
mille,

dove l’uomo
cerca se stesso,
smarrito
nella frenesia
del tempo che scorre
troppo velocemente
e non ti dà
modo di pensare
e occhi per guardare.

E mentre
l’uomo
s’interroga ancora,
sul male,
sul mondo,
su ciò che ha ancora a venire,
sui comandamenti traditi,
le tavole,
imbandite a festa,
le persone che ami,
gli amici,
i figli,
papà e mamma,
anche quando ti guardano dall’alto,
tornano
a brillare
di colori,
s’inseguono sapori
e odori,
e tu…
cristiano
reduce
da un tormentato
e sincero
pentimento,
torni a celebrare Dio,
con i suoi doni,
l’armonia
dei suoi migliori frutti,
e…
pensi,
con sincerità,
a chi,
lontano da te,
tende la mano,
le carestie,
le guerre,
le pestilenze dimenticate,
e … chiede.

E tu,
riconvertito,
doni…
senza tentennare.

Doni anche
Un sorriso,
una carezza,
la parola dolce.

E, qui,
nella perla
meravigliosa del Mediterraneo,
dove il fuoco
erutta ancora
dalle viscere della terra,
e tremano
i monti
quando urtano le faglie,
e soffia,
forte,
il vento caldo
che non smette di ricordarci
che esiste,
più giù,
a Sud,
un mondo che ha bisogno di Noi,
torna,
trionfante,
la cassata,
quell’araba qas´at,
questa "bacinella"
di doni divini,
la pasta reale,
la buona crema di ricotta,
il soffice pan di spagna,
rievocazione storica
di quella dominazione araba,
ch’avevano portato,
a Palermo,
limoni,
cedri,
arance amare,
mandorle
e canna da zucchero.

E sfoglio,
sorridendo,
un po’ incredulo,
quel documento,
ingiallito dal tempo,
del primo sinodo
dei vescovi siculi,
che nel 1575,
a Mazara del Vallo,
oggi
crogiolo di culture
e politiche d’integrazione,
testimonia l’origine antica
di questo dolce colorato,
definito,
a ragione,
come
“irrinunciabile durante le festività”
e che Castrenza,
così amabilmente,
aggrappata
alla tradizione,
come un bimbo
al grembo della madre,
ci regala
nella sua più veritiera
identità.

Dio
è anche questo,
laboriosità
e convivialità,
armonia di sapori
e altruismo,
condivisione
ed integrazione.

Qas´at
preghiera
irrinunciabile
al Dio
di tutti i popoli,
dell’una
e dell’altra sponda
di questo
mare Nostrum,
al Dio
del perdono
e della misericordia,
e più ancora
al Dio
dell’Amore.
Amore,
vero ed irrinunciabile
comandamento
d’ogni uomo.
Amore.

Qas´at è preghiera.

(Antonio Fundarò)

 

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