Inserita in Un caffè con... il 18/11/2016
da Direttore
Squarciato il velo di omertà per anni calato sul lavoro in nero dei magistrati onorari
C’è anche un italiano nel collegio di 14 membri che ha squarciato il velo di omertà per anni calato sul lavoro in nero dei magistrati onorari. Si chiama Giuseppe Palmisano ed è il Presidente del Comitato europeo dei diritti sociali (CEDS), l’organismo del Consiglio d’Europa che ieri, 16 novembre 2016, ha pubblicato il provvedimento con cui è stato deciso il reclamo n. 102/2013 presentato dai magistrati onorari italiani. Il Collegio ha concluso, all’unanimità, che la normativa e i comportamenti concreti posti in essere dalla Repubblica italiana nei confronti dei magistrati onorari non sono conformi con le norme della Carta sociale europea e dei suoi Protocolli, ossia con gli accordi internazionali sottoscritti dall’Italia che recepiscono, tra l’altro, il principio di non discriminazione tra lavoratori. La pronuncia si fonda su un principio cardine (elaborato sin dal 2005 in un caso riguardante la Bulgaria), secondo il quale manca di giustificazioni obiettive e ragionevoli una discriminazione che non persegua scopi legittimi o escluda un ragionevole rapporto di proporzionalità tra mezzi impiegati e scopo perseguito. Il Comitato ricorda poi come, nel tempo, l’inquadramento giuridico dei magistrati onorari sia andato riavvicinandosi a quello dei magistrati di ruolo, tanto da indurre la stessa Corte di Cassazione italiana a ritenere tali professionisti collocabili in una posizione intermedia tra giudici professionali e laici. Il comitato ha quindi stabilito che, rispetto alla applicazione dei trattati (in particolare della Carta sociale europea riveduta), i giudici onorari sono funzionalmente equivalenti ai magistrati di ruolo, a prescindere da come li definisca il diritto nazionale. Il Comitato ha poi ritenuto applicabile la Raccomandazione CM/Rec (2010) 12 nella parte in cui ingiunge agli Stati aderenti di assicurare ai giudici una remunerazione ragionevole in caso di malattia, di maternità o paternità, così come il pagamento di una pensione correlata al livello di remunerazione. Infine il Comitato ha precisato che il fatto che l’ordinamento italiano non impedisca ai magistrati onorari di svolgere altre attività lavorative non esclude che essi siano discriminati, essendo irrilevante che l’esercizio esclusivo dell’attività giudiziaria dipenda da una scelta personale o sia determinata da altre circostanze. Nel motivare la decisione il Comitato ha respinto lo storico argomento sempre sostenuto dal Governo italiano (recentemente ribadito dal Ministero della Giustizia in risposta alle diffide presentate la scorsa estate dai magistrati aderenti alla Feder.M.O.T.), ossia che la disparità di trattamento è giustificata dalle diversità intercorrenti tra magistrati onorari e di ruolo, riguardanti la procedura di selezione, il tempo di permanenza nella carica, il tipo di remunerazione, la connotazione part-time del rapporto e la sua riconducibilità alla mera fornitura di servizi. Il Comitato ha infatti precisato che “questi argomenti riguardano mere modalità di organizzazione del lavoro e non costituiscono una giustificazione oggettiva e ragionevole del trattamento differenziato di persone la cui equivalenza funzionale è stata riconosciuta”. La Feder.M.O.T., che il 15 novembre scorso aveva denunciato avanti al Consiglio superiore della magistratura l’irragionevolezza e l’illegittimità costituzionale e comunitaria dell’attuale impianto normativo, esprime la propria soddisfazione per una pronuncia storica, che si pone in linea con quanto enunciato dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea con riferimento ai magistrati onorari britannici (causa O’Brien del 2012), e alla quale auspica possa fare seguito un immediato ravvedimento del Governo, prima che l’Italia, un tempo culla del diritto, riceva nuove condanne per il suo comportamento discriminatorio verso i propri magistrati onorari.
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