Inserita in Cultura il 10/12/2015
da REDAZIONE REGIONALE
SALVATORE AGUECI E PAPA FRANCESCO
La dinamica del temporaneo Dall’essere al divenire in Papa Francesco
«Non pensare, guarda!» È la felice espressione di Ludwig Wittgenstein , filosofo, ingegnere e logico austriaco. L’autore invita, ad anteporre l’evidenza, la contingenza, l’esperienza, l’umanità prima del pensiero. Il filosofo non nega le facoltà intellettive ma esorta a osservare prima di riflettere, a procedere dall’esistenza al divenire, dal materiale allo spirituale, dal visibile all’invisibile. Le categorie per un qualsiasi processo d’introspezione del creato sono: vedere, sentire, comprendere. L’esperienza ci insegna che prima osserviamo l’oggetto e poi lo indichiamo per nome (sarebbe interessante conoscere per ogni parola la sua etimologia e l’origine fonetica prima che essa si formasse, per scoprire il significato empirico), come prima sentiamo la persona e, conosciutala, la chiamiamo per nome. Così, una volta messi in atto questi ordini cognitivi, un vedere e un sentire che richiamano alla mente, il passo successivo è l’astrazione e questa si avvale del pensiero. Sono tre categorie in successione ma ognuna ha un valore intrinseco e racchiudono un lavorio interiore da cui gli uomini spesso si allontanano preferendo l’elemento esteriore. Il vedere e il sentire sono il primo passo, la fase successiva è l’osservare e l’ascoltare ed esse implicano un coinvolgimento maggiore prima di capire cosa ci sta dinanzi e poter dare delle risposte appropriate a ciò che si pone come interlocutore. Questo c’induce a scegliere prima la prassi e dopo l’ideologia anche se gli uomini odierni pensino che sia al contrario. Oggi, in particolar modo, nonostante l’epoca delle grandi trasformazioni, del pluralismo, della globalizzazione, del surreale, dell’imprevedibile, può definirsi l’era dell’estetica, del bello, della radicalizzazione, del “nuovo” ma anche la “dinamica del temporaneo” o come diceva Frère Roger Louis Schutz , monaco svizzero di fede cristiana riformata, fondatore della comunità monastica ecumenica a carattere internazionale di Taizé, “del provvisorio”. Già il profeta Geremia, rivolgendosi ai suoi contemporanei, li esortava: «Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri del passato, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre» (Ger 6, 16a). Se il totale è l’insieme delle parti, l’esistente compone l’infinito ma l’Infinito, in questo caso, non ha bisogno delle parti perché Esso ha vita a sé. Cristo ha voluto che si partisse dal singolare per raggiungere l’Universale «Perché facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13, 15). Egli stesso si è messo dalla nostra parte «è venuto per servire e non per essere servito» (Mc 10, 45), assumendo l’umanità e l’ha fatto al grado massimo della croce come categoria rigeneratrice non di morte ma di vita. E nel vangelo di Luca si racconta che dopo due miracoli (la guarigione del servo dell’ufficiale romano e la risurrezione del figlio di una vedova), Giovanni il Battista manda due dei suoi discepoli per chiedere se era lui quello che doveva venire o bisognava aspettare un altro? Gesù risponde loro: «Andate a raccontargli quello che avete visto e udito: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono risanati, i sordi odono, i morti risorgono, la salvezza viene annunziata ai poveri. Beato chi non perderà la fede in me» (Lc 7, 22-23). Gli stessi Apostoli, sull’esempio del maestro, hanno assunto questo paradigma: «Guarda verso di noi […] Non ho né oro né argento, ma tutto quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina» (At 3, 6). È il tempo, lo è stato dal Cristo in poi, che il momentaneo sia assunto come categoria stabile: «Se uno non ama il prossimo che si vede, non può amare Dio che non vede» (1Gv 4, 20). Dal Concilio Vaticano II, da Giovanni XXIII e, in particolare con Papa Francesco, la coniugazione del verbo guardare e ascoltare ha assunto una prerogativa sacramentale: l’attenzione al corpo di Cristo che cammina per il mondo è diventata prioritaria. Il Papa, “venuto da lontano”, invita a osservare la terra e la giustizia violentata, per dare forma al quotidiano, al Cristo sofferente, all’uomo in ricerca. Sta capovolgendo, in modo radicale, la logica umana: «La pietra che i costruttori hanno rifiutato (si riferisce a Cristo, in questo caso agli “ultimi”, chi è messo ai margini della società n.d.a.) è diventata la pietra più importante» (Mc 12, 10). Ci sta insegnando che la “Chiesa è una comunità in uscita”, una “Chiesa cinta dal grembiule” e, attraverso il superamento delle appartenenze, deve farsi amica, compagna, sorella, discepola e “piangere con chi piange, ridere con chi ride” (cf. Rm 12, 15), per ascoltare il respiro e l’odore di ogni uomo nella situazione di personale inerenza. Papa Francesco ha instaurato l’epoca del vangelo fatto carne: «E venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14) e ci sta dicendo che la tenerezza e la misericordia sono categorie rigeneratrici che coinvolgono la vita attraverso il cibo, il vestiario, la malattia, la casa, il carcere, la morte, il dubbio, l’ignoranza, l’afflizione, i conflitti, la preghiera. Ci sta insegnando che la fede non è ideologia ma vita vissuta che, contro gli schemi ecclesiologici precostituiti, «la Chiesa è la casa di tutti, la casa che per fedeltà al Vangelo del suo Signore accoglie tutti e non ha nemici, non alza barriere, non accampa diritti o privilegi» . Adotta la “filosofia induttiva”, aristotelica-tomista, perché più comprensibile all’uomo odierno, parlando il suo stesso linguaggio. Numerose sono le icone che quotidianamente ci sta offrendo, quasi a indicarci che le vie di scelta per il servizio all’uomo, lungo le periferie esistenziali del mondo, sono diversificate. Egli ci indica come Dio è più grande della Chiesa e che essa, sull’esempio del Maestro, deve essere samaritana nella sua essenzialità, con-passionevole nella prassi, capace di raccogliere gli “ultimi”, chi non è all´altezza di vedere, di sentire, di operare, per condurli verso la salvezza fisica e spirituale. Il Giubileo della Misericordia è un grande segno di attenzione all’uomo odierno, bisognoso di tanta ma tanta tenerezza e chi più di Dio può offrire un abbraccio consolatore e liberatorio? Quello che sta offrendo nel suo pontificato è un cambiamento di stile, un mutamento culturale, un’era del fenomeno non in quanto tale, fine a se stesso, accolto e apprezzato da tutti gli uomini, al di là di ogni etnia e religione. Egli sta dando una chiave di lettura nuova rispetto all’empirismo e al positivismo: punto di partenza e non di arrivo, di dinamicità umana e intellettuale, per comprendere ciò che sta già sotto i nostri occhi. Ci sta richiamando alla “differenza delle differenze” per fare comunione con tutti e capire che il fatto che pensiamo in immagini il mondo, ciò è dentro la nostra stessa esperienza linguistico - esistenziale, e non fuori: Cristo, prima di cercarlo altrove, è nella storia e in essa, in carne e ossa, lo dobbiamo incontrare. Si tratta di buttare un fascio di luce per focalizzare il mondo e, togliendo il velo degli stereotipi, scoprire la sua “forma” reale. Di Papa Francesco si può dire profeticamente come Giovanni: «Egli venne come testimone della luce perché tutti gli uomini, ascoltandolo, credessero nella luce» (Gv 1, 7).
Erice, 08/12/2015 SALVATORE AGUECI
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