Inserita in Un caffè con... il 05/03/2020
da Cinzia Testa
Le falle della globalizzazione al tempo del coronavirus
In questi mesi del 2020 si stanno scrivendo nuove pagine dei libri di storia che avranno come oggetto gli squilibri economici globali e la decrescita della globalizzazione, definita dall’Economist slowbalisation.
Tale fenomeno era già iniziato a causa dei dazi e delle guerre commerciali tra Cina e America per la supremazia tecnologica, ma adesso a causa di questo virus ancora poco conosciuto la situazione sta degenerando velocemente mostrando la falla del modello economico occidentale basato sulle interconnessioni. Il progresso, il futuro, la tecnologia, tutto ciò che ha accorciato le distanze rendendo il nostro mondo un villaggio globale ha al contempo portato rischi che adesso sono ben visibili. La possibilità di spostarsi con grande facilità dai paesi asiatici ha aumentato esponenzialmente i rischi della diffusione del coronavirus, rendendo evidente l’equivalenza tra facilità, frequenza e numero di spostamenti e il rischio di aumentare i contagi. Come la storia ci insegna, fin dai tempi piu’ antichi anche altre epidemie sono riuscite a viaggiare tra continenti lontani. Ma il punto è che ciò avveniva con tempistiche diverse e con frequenze minori. Normale se pensiamo a quanto tempo in termini di mesi occorse a Colombo per attraversare l’Oceano Atlantico, mentre adesso in qualche ora si va da Parigi a New York. Ma oltre al danno ben visibile, cioè il trasporto fisico del virus, registriamo danni indiretti che mostrano i limiti della globalizzazione che per anni è stata il simbolo nella modernità. Questo legame tra paesi in un momento simile causa un effetto domino tale da non lasciare scampo a nessuno. L’economia liberista è fortemente messa in ginocchio dalla paura. Il chi va là mondiale porta a chiudersi in un protezionismo che in realtà non basta, se pensiamo che anche all’interno di una nazione ormai la diffidenza è il sentimento che domina su tutti gli altri: gli italiani stentano a spostarsi di città in città e restano deserti poli turistici come Milano e Venezia, mettendo in ginocchio l’economia locale e di conseguenza quella nazionale. Ma andando un po’ oltre, conseguenza della diffidenza è il calo degli acquisti che immobilizza le aziende, ferme per cause di forza maggiore quali le limitazioni agli spostamenti che i governisono costretti ad emettere. La stretta interconnessione tra aziende di paesi diversi fa sì che la paralisi che si impone in una nazione causi analoga conseguenza nell’altra (pensiamo ai legami tra l’industria automobilistica tedesca e le aziende italiane di componentistica). Una situazione attualmente senza via di fuga che chiaramente deve essere sostenuta da adeguati sussidi. E che fare allora, se la solidarietà viene a mancare anche a causa di slogan di dubbio gusto che non lasciano spazio al rispetto? La globalizzazione è in ginocchio e il mondo è in stallo. Abbiamo alzato muri perché abbiamo capito i limiti dei ponti che ci hanno connesso e adesso abbatterli non sarà un’impresa da poco. L’economia globale ha subito una battuta d’arresto e le conseguenze geopolitiche sono dietro l’angolo. Le magnifiche sorti progressive della borghesia capitalistica del Manifesto di Marx sono nel pieno di una rivalutazione e lasciano spazio a una teoria più lontana diacronicamente, ma non per questo meno attuale. I corsi e ricorsi storici di Giovan Battista Vico ci mettono davanti all’idea che non sempre al futuro corrisponda il progresso e che la linearità portatrice di miglioramento forse non sia la giusta chiave di lettura del futuro che abbiamo davanti. Il mondo può trovarsi ad un bivio.
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