Inserita in Un caffè con... il 16/10/2019
da Cinzia Testa
Un saluto che disumanizza: la repressione del popolo curdo
In questi giorni stiamo assistendo a un trionfo di crudeltà e indifferenza nei confronti di un popolo dal trascorso travagliato. I curdi stanno subendo l’avanzata turca sotto gli occhi indifferenti del mondo. Dinnanzi a tanta ferocia gli stati guardano inermi o ancora peggio voltano le spalle allo stesso popolo che in passato è stato decisivo per la risoluzione di svariati conflitti.
Questa strage e le dinamiche succedutesi puntano i riflettori sulla crudeltà che regna in un mondo civilizzato solamente a parole. In questo contesto un fatto altrettanto agghiacciante destabilizza gli animi già scossi: mentre civili muoiono, perdono la casa, vedono le proprie esistenze sgretolarsi in un batter d’occhio, c’è chi gioisce compiaciuto della carneficina in atto. E’ proprio quello che è successo in diretta mondiale, a Parigi, al termine dell’incontro di calcio tra Francia e Turchia, quando i calciatori turchi hanno espresso la loro approvazione al Presidente turco Erdogan con un saluto militare. Un saluto militare che inneggia all’odio e che spaventa; spaventa perché ci fa acquisire la consapevolezza che questo scempio non è originato dalla volontà di uno, ma è desiderio di molti. Questo saluto disumanizza e ci rende partecipi della sofferenza degli inascoltati.
Non ci sono colpe abbastanza grandi da giustificare tale situazione. Tutto ha origine da una striscia di terra situata nel bel mezzo di un territorio montagnoso che abbraccia Turchia, Siria, Iraq e Iran. Questa striscia, che prende il nome di Kurdistan avrebbe dovuto costituire e tutelare l’identità di un popolo, ma in realtà ciò non è mai accaduto considerando che il popolo curdo è sempre stato soggetto al controllo degli stati confinanti.
Da 100 anni ormai questa etnia costituita da ben 35-40 milioni di persone ha provato a rivendicare la propria indipendenza, ma i risultati sono stati scarsi o nulli.
I motivi sostanzialmente sono due: il primo è legato alla paura che si possa affermare uno stato indipendente che rivendichi i propri diritti, in secondo luogo abbiamo un problema di sovraffollamento di profughi siriani che non possono tornare nella propria terra perché, a detta di Erdogan, osteggiati dai curdi. Ma, qualsiasi sia l’origine dell’odio, nulla può giustificare una soluzione così aberrante.
Inoltre qui si sta dimenticando un passato storico che ci racconta il peso di questa popolazione in conflitti di dominio mondiale:
questo popolo ha combattuto guerre laddove gli altri si sono tirati indietro, quando nel 2014 l’esercito iracheno fu distrutto dall’Isis, gli unici che riuscirono a porre fine all’offensiva furono proprio i curdi, che salvarono i centri petroliferi iracheni. Sempre nel 2014, quando gli Usa si coalizzarono apertamente contro l’Isis scelsero come alleati proprio i curdi. Il loro aiuto fu determinante per la liberazione di Mosul, la roccaforte irachena dell’Isis, per la riconquista di Raqqa, capitale dell’Isis.
Col loro sangue hanno combattuto una guerra internazionale, quando nessun altro aveva osato scendere in campo, e ciò che hanno ottenuto oggi è soltanto un voltafaccia e un’indifferenza quando sono loro ad essere le vittime di un genocidio.
Qualunque sia il motivo di questo conflitto nulla giustifica tali bassezze. La disumanità a cui stiamo assistendo deve essere contrastata in maniera attiva. Abbiamo assistito a logiche politiche a dir poco ingiustificabili a cui adesso si cerca di porre rimedio, vedasi il recentissimo accordo tra curdi e Siria, favorito dalla Russia, che ha consentito all’esercito siriano di schierarsi tra l’esercito turco e gli stessi curdi o l’ultima presa di posizione del presidente americano Trump il quale ora minaccia la Turchia di pesanti sanzioni qualora proseguisse il suo attacco. La speranza è che si faccia di più. I giochi di potere non possono essere fatti sulla carne di uomini, uomini che hanno creduto ormai quasi un secolo fa a promesse di indipendenza che si sono infrante e adesso si sciolgono nel sangue.
Cinzia Testa
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