Inserita in Un caffè con... il 25/07/2019
da Cinzia Testa
I problemi della nostra istruzione
Il ministro dell’istruzione Bussetti definisce la scuola: “lo strumento più potente per cambiare il mondo”, in virtù del fatto che ragazzi istruiti saranno ragazzi in grado di apportare cambiamenti significativi alla nostra società. Ma, nonostante questa consapevolezza, ci ritroviamo con due grossi problemi nel sistema scolastico, strettamente interconnessi:
secondo la Relazione di monitoraggio del settore dell’istruzione e formazione 2018, elaborato dalla Commissione Europea, l’Italia non solo spende meno degli altri paesi Ue, ma ottiene risultati peggiori. Secondo i dati Eurostat l’Italia rischia di perdere un milione di studenti nei prossimi 10 anni; in un momento in cui il piano strategico Ue 2020 prevede un abbassamento della percentuale di abbandono scolastico al 10%, l’Italia negli ultimi due anni è salita al 14 %. Secondo i dati rilevati dall’analisi Istat gli scarsi investimenti portano un tasso di ignoranza preoccupante, vedasi i risultati delle prove invalsi di quest’anno che ci parlano di ragazzi con forti difficoltà di comprensione di testi.
Una cattiva istruzione porta alla perdita di motivazione dei ragazzi, che non vedono più nella scuola un mezzo per migliorare la propria vita e di conseguenza tendono ad abbandonarla. Altra causa importante di abbandono scolastico è l’impossibilità dei genitori di finanziare il percorso di studi dei propri figli. A monte del problema c’è con ogni probabilità la poca cura del sistema scolastico che andrebbe finanziato con cifre nettamente maggiori, per evitare che questo circolo vizioso ci porti allo sfacelo.
L’Italia è il paese Ue che spende meno in istruzione. Il nostro paese spende 67,4 miliardi di euro, pari al 4,1% del Pil e all’8 % della spesa pubblica per educazione dei suoi cittadini, in Germania si spende il 4,5 % del Pil e il 10,3 % della spesa pubblica per l’istruzione, in Inghilterra 5,7% e 13,1% e Spagna il 4,2 % e 9,5%. A questo dato preoccupante se ne aggiunge un altro: la scarsa efficacia dell’investimento della famiglia per portare un figlio alla laurea; il costo, di circa 145.621 euro, viene vanificato nel momento in cui il giovane lascia il paese per trovare lavoro all’estero.
Bisogna incentivare (soprattutto economicamente) ragazzi a restare e dotarli al contempo di una buona preparazione. I giovani, demotivati dalla mancanza di lavoro e di un’istruzione dinamica e aggiornata, tendono ad andare all’estero sicuri di di trovare sbocchi occupazionali concreti o al fine di svolgere master o corsi di perfezionamento all’avanguardia. Ricordiamoci però che un ragazzo che resta è un ragazzo che può fare la differenza. Se i meritevoli vengono premiati con incentivi, possibilmente saranno più invogliati a restare, di conseguenza la loro presenza nel territorio potrà portare alla nascita di un brevetto e quindi di un’ innovazione. Bisogna valutare che il problema dei nostri ragazzi che espatriano è più grande di quello degli stranieri che arrivano.
Un’Italia pronta ad adeguarsi agli standard europei sarà una terra più produttiva e propositiva, in grado di fare la differenza. Come ha affermato il Ministro dell’istruzione: ”investire sui giovani significa investire sul nostro futuro”.
Cinzia Testa
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