Inserita in Politica il 08/03/2019
da Direttore
Uiltucs: ecco le storie di donne discriminate nel lavoro, essere madre sembra ancora una grave colpa
Palermo, 8 marzo 2019
"Così le lavoratrici vengono penalizzate", la Uiltucs Sicilia racconta storie di ordinaria discriminazione Flauto: "Essere madre sembra ancora una colpa, sindacato impegnato in continue battaglie legali"
C’è Valentina che occupa un ruolo di primo di responsabilità in una multinazionale del commercio, ma è madre di un bimbo ed è costretta a richiedere un demansionamento e un part-time. Giovanna, addetta alla grande distribuzione, ha un contratto pesante in virtù della sua anzianità di servizio e ha un bimbo di 4 anni: su di lei iniziano pressioni fino a quanto viene trasferita da Palermo a Vittoria, nel Ragusano, cade in depressione e viene licenziata. Maria è dipendente di una grande catena nazionale dell´abbigliamento e si è vista negare i permessi per l´allattamento. Storie di ordinaria discriminazione quelle raccontate dalla Uiltucs Sicilia nel giorno della festa delle donne. Marianna Flauto, segretario generale del sindacato, spiega che “ancora oggi la reale uguaglianza tra uomini e donne risulta essere un traguardo non ancora raggiunto. Le donne rappresentano una grande componente nel settore del commercio e, per quanto la società sia mutata in questi decenni, e malgrado tutte le forme di tutela che il sindacato ha fortemente voluto, continuano a registrarsi casi di discriminazione contro i quali la Uiltucs combatte ogni giorno senza sosta”. Flauto spiega che “quotidianamente assistiamo legalmente donne, madri lavoratrici che portano il fardello di dover fare i conti con il difficile tema della conciliazione dei tempi di vita–lavoro e dell’inadeguatezza di servizi a sostegno della famiglia. Constatiamo giornalmente che l’essere donna è di per sé una discriminazione, ma essere una lavoratrice madre è una grave “colpa”. Per le lavoratrici comunicare la gravidanza al proprio datore di lavoro ancor oggi è fonte di ansia, ritornare dalla maternità significa troppo spesso essere considerata come una persona che rientra dalla malattia, praticamente un “peso” per il datore di lavoro che non riesce a comprende e accettare che la propria dipendente debba lavorare meno ore perché in allattamento” . E racconta la storia di Valeria, una addetta alle vendite di una grande multinazionale, assunto a tempo determinato, che per non aver accettato le “particolari” attenzioni del direttore di filiale non ha avuto riconosciuto la tanto agognata assunzione. Si è così rivolta al sindacato ed è riuscita a ottenere la stabilità ma solo attraverso una battaglia legale. “Se vogliamo davvero superare le differenze di genere – conclude Flauto - è necessario cambiare alla base, educare le nuove generazioni al rispetto dell’altro, infondere principi di uguaglianza già dalla famiglia, attraverso la scuola, il mondo del lavoro, la politica e il sindacato”.
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