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Inserita in Politica il 06/09/2018 da Direttore

Scuola, Save the Children: 1 bambino su 2 in Italia non ha accesso al servizio mensa necessario a garantire almeno un pasto adeguato al giorno a tutti i bambini in povertà

Scuola,
La metà degli alunni (il 49%) delle scuole primarie e secondarie di primo grado non ha accesso alla mensa scolastica[1]. Inoltre, l’erogazione del servizio è fortemente disomogenea sul territorio italiano e le modalità di accesso o di esenzione spesso contribuiscono a aumentare le disuguaglianze, a scapito delle famiglie più svantaggiate.

È questo il quadro evidenziato dal nuovo rapporto “(Non) Tutti a Mensa 2018”[2] di Save the Children, l’Organizzazione internazionale dedicata dal 1919 a salvare la vita dei bambini e garantire loro un futuro, in occasione dell’inizio del nuovo anno scolastico.

La ricerca, condotta nell’ambito della Campagna “Illuminiamo il Futuro” per il contrasto della povertà educativa, evidenzia come, ad un anno dall’ultimo monitoraggio, sono ancora molte le scuole che non assicurano ai bambini e alle loro famiglie di usufruire della mensa scolastica che, non solo rappresenta un sostegno all’inclusione e all’educazione alimentare, ma è uno strumento fondamentale per il contrasto della povertà e della dispersione scolastica. In un contesto come quello dell’Italia nel quale si registrano oltre 1 milione e 200mila bambini e ragazzi, il 12,1% del totale (più di 1 su 10), in povertà assoluta e 2 milioni e 156mila in povertà relativa[3], la refezione scolastica dovrebbe garantire a tutti i minori almeno un pasto proteico al giorno, aiutando le tante famiglie in difficoltà, in particolare quel 3,9% dei bambini che ancora oggi non consuma un pasto proteico al giorno[4].

Invece, rispetto allo scorso anno, il quadro che emerge è preoccupante e sottolinea alcuni peggioramenti: in 9 regioni italiane[5] (una in più rispetto al 2017), oltre il 50% degli alunni, più di 1 bambino su 2, non ha la possibilità di accedere al servizio mensa; inoltre si registra un tendenziale peggioramento in quasi tutte le regioni di 1-2 punti percentuali. La forbice tra Nord e Sud si distanzia sempre più. Sono infatti sei le regioni insulari e del Meridione che registrano il numero più alto di alunni che non usufruiscono della refezione scolastica: Sicilia (81,05%), Molise (80,29%), Puglia (74,11%), Campania (66,64%), Calabria (63,78%), Abruzzo (60,81%) e Sardegna (51,96%).



Il servizio mensa e l’abbandono scolastico

Delle nove regioni in cui oltre metà dei bambini non accede alla mensa, quattro registrano anche la percentuale più elevata di classi senza tempo pieno[6] (Molise 94,27%, Sicilia 91,84%, Campania 84,90%, Abruzzo 83,92%, Puglia 82,92%), superando ampiamente il dato nazionale già critico, secondo il quale oltre il 66% di classi primarie risulta senza il tempo pieno. In quattro di loro, si osservano anche i maggiori tassi di dispersione scolastica d’Italia[7] (Sardegna 21,2%, Sicilia 20,9%, Campania 19,1%, Puglia 18,6% e Calabria 16,3%).

“In Italia la povertà assoluta è in continuo aumento. Tra le famiglie in povertà in 1 su 10 è presente almeno un figlio minore, mentre oltre 1 su 5 sono quelle con tre o più figli minori[8]” afferma Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia Europa. “Una mensa accessibile a tutti con un servizio di qualità e uno spazio adeguato, svolge un compito cruciale nella lotta alla povertà, oltre a garantire la possibilità di attivazione del tempo pieno, combattendo efficacemente la dispersione scolastica. Per questo, riconoscere il servizio di refezione scolastica come un servizio pubblico essenziale deve essere una priorità”, prosegue Milano.

L’esperienza della mensa ha anche un profondo valore educativo. All’indomani della pubblicazione della pronuncia con cui il Consiglio di Stato sembra sminuire la funzione educativa della mensa, emblematiche appaiono le parole di Carlo Petrini, in un contributo nel Rapporto: “La pausa del pranzo fornisce indubbiamente la possibilità di educare gli studenti alla buona e sana alimentazione, al rispetto della diversità, alle regole della convivenza civile, in un contesto diverso dall’aula, in un contesto collettivo che riproduce un aspetto della vita reale, del “mondo adulto” Tutto questo non assume lo stesso valore se il pasto non è uguale per tutti, fatta eccezione per le intolleranze o per le esigenze religiose ed etiche. Il pasto portato da casa può essere un gesto di protesta, ma non una soluzione” scrive il Presidente di Slow Food, che aggiunge: “È un diritto garantito al singolo che fa perdere peso al diritto di tutti di richiedere un pasto buono e sano per tutti gli studenti. È il fallimento del collettivo e del sociale. Al contrario il pasto in mensa può diventare misura di lotta alla povertà educativa ed esclusione sociale, oltre che strumento di socializzazione e integrazione scolastica”[9].



Comune che vai, mensa che trovi

Nel Rapporto, per il quarto anno consecutivo, l’Organizzazione ha analizzato le prassi per le scuole primarie relative alla mensa scolastica in Italia, prendendo in esame 45 comuni capoluogo di provincia con più di 100mila abitanti valutando l’accesso, le tariffe, agevolazioni ed esenzioni, il trattamento delle famiglie morose e l’eventuale esclusione dei bambini dal servizio.

Come è più volte emerso già negli anni passati, anche tra le scuole presenti magari nella stessa provincia, si registrano differenze sostanziali. Ad oggi la mensa è ancora considerata un servizio a domanda individuale, legato alle esigenze di bilancio dei singoli comuni, e non è riconosciuta come un servizio pubblico essenziale. Perciò in Italia, il servizio di refezione scolastica non si presenta omogeneo ed uniforme: a fronte di 13 comuni[10], che offrono il servizio a più del 95% degli alunni (tra questi Milano, Prato, Bologna, Cagliari, Forlì, Monza e Bolzano alla totalità o quasi degli alunni), altri 15[11] garantiscono l’accesso alla mensa a meno del 40% degli alunni frequentanti le scuole primarie. Ma purtroppo all’interno del panorama esistono anche quei comuni che offrono il servizio mensa a meno del 10% degli alunni, come Siracusa (0,88 %), Palermo (2,60%), Catania (6%) Foggia (8%)[12]e Taranto (11%).



La disomogeneità trasversale dell’accesso e delle tariffe

Sono 33 i comuni che prevedono l’esenzione totale legata a qualche tipo di svantaggio sociale, di questi 9 solo su segnalazione e valutazione dei servizi sociali[13]; 5 la prevedono per composizione familiare (in base al numero dei figli)[14]. Solo 19 Comuni sui 45 esaminati riconoscono un’esenzione alle famiglie in situazione di povertà, sotto una certa soglia ISEE[15]. Il Comune di Salerno e quello di Vicenza addirittura non prevedono alcun tipo di esenzione.

Anche le agevolazioni risultano frammentate e disomogenee. Nel monitoraggio si è tenuto conto dei tre fattori principali adottati dai singoli comuni in modo esclusivo o cumulabile: reddito, composizione familiare e motivi sociali. Tutti i comuni presi in esame applicano agevolazioni su base economica ponendo ognuno una soglia ISEE differente; 37 di loro modulano le tariffe a seconda della composizione familiare[16]; 28 comuni sulla base di disagi sociali, perdita del lavoro o segnalazione dei servizi[17]. Tra questi i comuni di Bergamo, Bologna, Padova e Palermo riducono la tariffa per i nuclei familiari con disabilità.

Il requisito della residenza continua ad essere un fattore discriminante per accedere o meno alla mensa scolastica. Sono 28 i comuni[18] che lo applicano come criterio restrittivo (58%) penalizzando molti bambini che per varie motivazioni, non sono ancora residenti nel comune, mentre 17 non ne tengono conto (42%)[19].

Nei comuni presi in esame, le tariffe massime variano dai 2,5 euro (Perugia)[20] ai 7,2 euro (Ravenna), le tariffe minime passano da 0,30 euro (Palermo) ad un massimo di 6 euro (Rimini)[21].

Il risultato di queste differenze è che una famiglia con un figlio in disagio economico (ISEE 5.000 euro), sarebbe esentata dal pagamento solo in 10 comuni[22], mentre tra i restanti comuni le tariffe applicate variano da 0,35 euro a pasto di Salerno ai 6 euro di Rimini. In 26 comuni[23], tra cui quest’ultimo, si garantisce però l’esenzione, e dunque tariffa 0 euro, per le famiglie in condizioni di necessità economiche se segnalate dai servizi sociali.

“E’ necessario un immediato intervento istituzionale per riequilibrare le enormi differenze territoriali che creano iniquità proprio tra le famiglie più svantaggiate” aggiunge Milano.

Infine anche la compartecipazione delle famiglie ai costi è disomogenea: varia da un massimo nei comuni di Bergamo (95%), Forlì (96,7%) a un minimo dichiarato da Reggio Calabria (20%), Cagliari (27,48%), Bari (30%), Napoli (30,75%) e Perugia (35%).

“Le diseguaglianze nelle politiche tariffarie spesso portano a situazioni limite e le esenzioni sono ancora troppo legate alle scelte di bilancio dei singoli comuni. Dispiace che a pagare il prezzo più alto di queste disuguaglianze siano proprio bambini e bambine che vivono nelle famiglie più svantaggiate, che invece di sentirsi costrette ad affrontare una spesa cospicua o a dover rinunciare alla mensa per i propri figli, dovrebbero essere sostenute in percorsi di inclusione” afferma Antonella Inverno, Responsabile Unità Policy&Law Save the Children.

Un altro fattore di discriminazione è la scelta di 11 comuni monitorati di prevedere la sospensione del servizio per i figli di genitori che non hanno pagato la retta della refezione scolastica regolarmente[24]. I restanti 34 invece, dichiarano di non rivalersi sui bambini in caso di genitori insolventi, ma di attivare un meccanismo di recupero crediti[25].

“Per lo sviluppo di una scuola-comunità e lo sviluppo di una più vasta comunità educante è indispensabile ripensare all’organizzazione scolastica in modo che la mensa sia una componente forte per lo strutturarsi della comunità stessa e la preparazione del cibo non solo un momento tecnico da affidare a nutrizionisti ed igienisti, ma un momento di sviluppo della cultura del territorio e di condivisione delle modalità di educazione delle nuove generazioni” afferma nel contributo raccolto per il Rapporto Cesare Moreno, Presidente dell’Associazione Maestri di Strada[26].



Le buone pratiche

Nei 42 comuni che han dato riscontro, le buone pratiche di riciclo delle eccedenze sembrano essere diffuse. Entrando nel dettaglio, 15 comuni riferiscono di aver attivato diverse iniziative di riciclo e riduzione degli sprechi[27]. Tra le varie, sembra molto interessante il progetto del comune di Ravenna “io non spreco! Bag” che ha visto la distribuzione a tutti i bambini delle scuole primarie e secondarie di I grado di un contenitore dove riporre quanto non consumato durante il pranzo: pane, frutta, prodotti confezionati distribuiti.

Tra i comuni monitorati, anche i progetti di consultazione dei bambini sono piuttosto diffusi, in particolare nella formula delle indagini di customer satisfaction, come segnalato dai comuni di Bergamo, Bologna, Bolzano, Brescia, Milano, Padova, Ravenna, Terni e Trieste. Bolzano ha avviato un’indagine su un campione equivalente al 51% dell’utenza in cui gli studenti hanno valutato la qualità del pasto, l’ambiente, la gentilezza del personale e si esprimono in merito ai piatti che avrebbero piacere di trovare nei nuovi menù; il comune di Milano ha chiesto agli alunni di partecipare alla valutazione dei menù, modificati poi secondo loro indicazione, con il progetto “il laboratorio dei sapori”; il comune di Ravenna anche quest’anno segnala l’attivazione di “Panel d’assaggio” composti da genitori, insegnanti ed alunni per valutare la qualità percepita.

“La mensa scolastica dovrebbe avere 4 requisiti fondamentali. Essere inclusiva, senza esclusioni per i bambini che vivono in famiglie meno abbienti, non residenti o morose nei pagamenti. Essere accessibile, in termini di tariffe, agevolazioni ed esenzioni e riconosciuta come un livello essenziale delle prestazioni sociali. Essere educativa, un luogo di partecipazione oltre che di apprendimento di una sana alimentazione e della lotta allo spreco. Essere sostenibile, garantendo cibi di qualità provenienti dal territorio e a km zero. Queste sono le caratteristiche principali per una mensa di qualità che non escluda nessuno” conclude Antonella Inverno.

Save the Children è presente nelle scuole con il progetto “Fuoriclasse” per prevenire la dispersione scolastica[28] e nelle aree di maggiore disagio sociale ed economico con i “Punti Luce” dedicati al contrasto della povertà educativa[29].

 

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