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Inserita in Economia il 17/10/2013 da Marina Angelo

Dati catastrofici emergono dal Rapporto Svimez sull´economia del Mezzogiorno

Dati
“Il Mezzogiorno tra il 2008 ed il 2012 registra una caduta dell’occupazione del -4,6%, a fronte del -1,2% del Centro-Nord . Delle 506 mila persone che in Italia hanno perso il posto di lavoro, ben 301 mila sono residenti nel Mezzogiorno. Nel Sud, dunque, pur essendo presente appena il 27% degli occupati italiani si concentra il 60% delle perdite determinate dalla crisi.”

E’ quanto si legge all’interno del Rapporto Svimez sull´economia del Mezzogiorno.


«Un quadro inquietante delle condizioni economiche e sociali del Mezzogiorno», soprattutto per quel che riguarda l´emergenza disoccupazione e in particolar modo per i giovani, ha affermato il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel messaggio inviato al presidente dello Svimez Adriano Giannola.

«Il Rapporto -sottolinea il Capo dello Stato- affida alla comune riflessione un quadro inquietante delle condizioni economiche e sociali del Mezzogiorno: dalle analisi che vengono proposte emerge con chiarezza come le conseguenze negative della crisi economica in atto si ritrovino amplificate nel contesto delle regioni meridionali, con il diffondersi di gravi situazioni di disagio». 


La riduzione della base occupazionale – si legge nel rapporto - è dovuta ad una pesante riduzione dell’occupazione stabile (-7,8%) e, in minor misura, di quella atipica (-3,8%), Nel Sud si concentra tutta la riduzione dell’occupazione dipendente (- 246 mila unità pari a- 5,2%) rilevata a livello nazionale; nel Nord, invece, essa aumenta sia pur lievemente a fronte di una riduzione sensibile del lavoro autonomo (-219 mila unità, il -5,2%). Ed il rapporto continua: . La quota degli occupati sulla popolazione in età da lavoro diminuisce con diversa intensità in tutte la regioni meridionali, particolarmente forte è il calo in Basilicata (dal 48,5 al 46,0%) e in Molise (dal 52,3 al 50,7%). Valori drammaticamente bassi e in ulteriore diminuzione si registrano in Campania (41,6%) e Sicilia (41,2%).

Tra il 2008 e il 2012 il tasso di occupazione giovanile è diminuito nel Mezzogiorno dal 35,9% al 30,8%. Le difficoltà maggiori riguardano i diplomati e i laureati nel Mezzogiorno che presentano tassi di occupazione (rispettivamente 31,3% e 48,7%) ,decisamente più contenuti di quelli del resto del Paese, e in flessione sia pur più contenuta di quella rilevata nel Centro-Nord. E a pagare cara la crisi, continua il Rapporto sono i giovani. L’emigrazione dal Mezzogiorno al Centro-Nord costituisce ancora oggi una caratteristica peculiare del mercato del lavoro italiano; la sua persistenza e i suoi evidenti effetti sulla società e la demografia meridionale, rappresentano un fenomeno pressochè unico tra i paesi più sviluppati.

Il profondo divario tra aspettative, si legge, soprattutto delle nuove generazioni in termini di realizzazione personale e professionale e le concrete occasioni di impiego qualificato sul territorio ha determinato negli anni duemila la ripresa dei flussi di emigrazione dal Sud verso il Nord. A partire dalla fine degli anni novanta, infatti, l’esodo è ripartito. Tra il 2001 e il 2011 sono migrate dal Mezzogiorno verso il Centro-Nord 1.313 mila unità, di cui 172 mila laureati. Nel solo 2008, prima della crisi economica, il Sud ha perso oltre 122 mila residenti, trasferiti nelle regioni del Centro-Nord, a fronte di un rientro di circa 60 mila persone: una perdita di popolazione tripla rispetto a quella degli anni ottanta.

«Preoccupazione crescente, più di ogni altro dato, suscita l´opprimente carenza di opportunità di lavoro e di prospettive per il futuro che suscita in molti giovani sfiducia se non rinuncia o li spinge a cercare faticosamente fuori del mezzogiorno e dell´Italia occasioni di lavoro in cui investire le loro potenzialità. Tale impoverimento di un essenziale patrimonio di risorse umane non può che risultare foriero di pesanti conseguenze e dunque inaccettabile per le regioni meridionali. La via da perseguire deve perciò essere quella dell´avvio di un nuovo processo di sviluppo nazionale che trovi una solida base nelle grandi energie e capacità umane presenti nel meridione», conclude Napolitano.

Un terzo delle famiglie meridionali, inoltre, si legge nel Rapporto, è a rischio povertà. In Italia un milione e 725 mila famiglie si trovavano nel 2012 al di sotto della soglia di povertà assoluta, con un aumento di 750 mila unità rispetto al 2007: nel Centro-Nord erano assolutamente povere circa 930 mila famiglie del Centro-Nord, a fronte di circa 790 mila famiglie del Mezzogiorno.

Le famiglie che hanno più di 3 mila euro mensili (oltre 36.000 euro annui) sono circa il 44% nel Centro-Nord e solo il 24,1% nel Mezzogiorno. Per converso, il 14,1% delle famiglie meridionali e il 5,1% di quelle del Centro-Nord ha 35 meno di mille euro al mese (12.000 euro annui) . In particolare, hanno entrate inferiori a mille euro il 12,8% delle famiglie calabresi; il 14,9% di quelle campane, il 16,7% di quelle lucane e il 19,7% delle siciliane. L’aumento dell’occupazione è certamente il modo più opportuno, ma non l’unico, per compensare una disuguaglianza causata principalmente dalla distribuzione dei redditi primari. 

Nello stesso tempo una maggiore equità può contribuire positivamente alla crescita, e può essere perseguita attraverso una riorganizzazione del welfare.

L’Italia, insieme alla Grecia,-conclude il rapporto- è l’unico paese dell’Unione Europea a non avere uno strumento specifico e universale di contrasto della povertà, come il Reddito Minimo (o Minimo Vitale).



 

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