Inserita in Politica il 04/03/2017
da Direttore
«IL FUTURO DEL TEATRO? L’ALLEANZA GENERAZIONALE TRA MAESTRO E ALLIEVO: UN AMORE CHE VIVE DI LIBERTÀ»
Lo scrittore: «A Giuseppe il mio messaggio teatrale: fare sognare il pubblico e usare il palco come uno spazio aperto, dove il racconto trova la sua sede naturale»
Un tradimento che giura amore eterno. Perché il transfer che avviene dal racconto alla sceneggiatura teatrale, dalle pagine di un libro al palcoscenico, mutua l’opera ma non la snatura; altera le forme ma senza annacquare i contenuti. Si colora con la voce e i volti degli attori, ma preservando rigorosamente la narrazione e custodendone i sospiri poetici. È questo il dinamismo professionale che contraddistingue il regista Giuseppe Dipasquale, allievo di quel Camilleri che racconta l’altra Sicilia, «quella lunga quasi un secolo, che ha finalmente elaborato il lutto e ha finito di fare geremiadi pur senza sottacerne le incognite», come sottolinea lo stesso regista. Un incessante esercizio di stile per far schizzare l’inchiostro nella partitura scenica e disegnare l’espressione corporea dei personaggi che nascono dal genio creativo del Maestro. Un rapporto simbiotico, quello tra i due, che vive di ricordi avvolti da quella dolce vita d’Accademia che trascinava i cantastorie della contemporaneità verso la rivoluzione delle visioni. Tutto questo (e molto altro) è l’anima de “Il Casellante”, che dal 7 al 12 marzo andrà in scena al Biondo di Palermo. Dopo un tour che ha toccato diverse città italiane, lo spettacolo approda finalmente in Sicilia, terra di contraddizioni che passa dal tubo catodico attraverso Montalbano e si riversa nel presente vivendo le passioni dei teatranti e del Teatro. Quello con la maiuscola, quello vivo, fatto per le persone e con le persone. «Portare Camilleri a teatro è come traghettare un’emozione tra prosa e poesia – spiega il regista siciliano Dipasquale – e questo è stato possibile anche grazie alla musica, che accompagna un linguaggio personale, originale com’è quello di Camilleri; e che ritma una divertita sinfonia di parlate fatta di neologismi, di sintassi travestita. Il Casellante è rimasto integro, ha una stabilità narrativa che è stata calata di peso nella solidità drammaturgica, questo anche perché ha la forza mitologica che l’autore ha voluto dare alla storia». Un amore artistico, quello tra Camilleri e Dipasquale, che ha segnato un passaggio di consegne: l’arte di Camilleri a teatro, con quella forza che dalle parole arriva all’azione, coinvolgendo il pubblico attraverso il sentimento. «Mentre scrivevo Il Casellante – spiega Andrea Camilleri - mi sono abbandonato a una sorta di tentativo di poesia in prosa: anche la scrittura è diversa, pur mantenendo il suo rigoroso vigatese. È più fantasiosa, più libera, più ariosa, vira e volteggia intorno alla fabula. Se il regista avesse ipotizzato una scenografica chiusa, blindando lo spazio scenico, avrebbe commesso un errore. Invece ha usato il palcoscenico come spazio aperto, come spazio della fantasia assoluta, dove il racconto ha trovato con semplicità la sua sede naturale, utilizzando pochissimi mezzi scenici e affidando tutto il resto al canto e parola. Giuseppe ha fatto quello a cui narrativamente tendevo: una melopea teatrale, o meglio, un cunto siciliano, in cui la musica ha una valenza drammaturgica preminente che centra lo spirito motore col quale ho scritto questo lavoro. Ma questo per me è il teatro – continua lo scrittore, maestro del corso di Regia all’Accademia d’arte drammatica “Silvio D’Amico” nel 1985, quando avvenne il primo incontro tra i due - la libertà di distaccarsi dal testo pur fornendo la stessa chiave di lettura e rimanendo a fuoco sul tema, con l’obiettivo di lasciare immaginare il pubblico, trascinarlo verso la scoperta di se stesso ma attraverso un’altra dimensione». Quella profonda del teatro, dove l’azione è affidata alla parola. E viceversa.
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