Inserita in Sport il 23/04/2015
da Gabriele Li Mandri
Monaco-Juventus 0-0: dodici anni e otto giorni dopo
Dodici anni: è tale la distanza temporale dall’ultimo approdo in semifinale di Champions League. Dodici anni di passione, trascorsi fra scudetti assegnati e revocati, condanne e retrocessioni d’ufficio in Serie B: oggi, con lo 0-0 di Monaco, la Juve cancella di colpo le ultime scorie della sua travagliata decade, rientrando fra le prime 4 finaliste dell’Europa che conta e rivestendo ufficialmente i panni di quella corazzata che nel 2003 perse la coppa ma solo per un battito d’ali di Shevchenko, ai rigori contro il Milan.
Dodici anni ma anche otto giorni. Quegli otto giorni che son trascorsi a rimuginare (ma nemmeno poi tanto) sulla scarsa prestazione dell’andata e su quel rigore inesistente fischiato ai bianconeri: otto giorni che non hanno evidentemente portato consiglio. Né alla Juventus, né agli arbitri. La banda di Allegri scende in campo assente nel fisico e nel cervello: quello del Monaco è un assedio che martella la barricata bianconera per 40 minuti abbondanti. La difesa resiste e, quando sembra capitolare, ci pensano Chiellini e Vidal a stendere in perfetto sincrono Kondogbia: sarebbe due volte rigore. Per l’arbitro non ce n’è neanche uno.
Il secondo tempo è semplicemente lo stampo del primo: Monaco disperatamente in avanti, Juventus incollata al naso di Buffon. Ci sarà un motivo se i monegaschi vantano il peggior attacco delle finaliste: il gioco creato non si concretizza mica da solo. E così la Juve, con lo 0-0 “minacciato” al 90esimo dalla solita punizione di Pirlo, senza entusiasmare e accendendo il secondo cero al direttore di gara si conquista il diritto di giocarsi la tanto agognata semifinale, dove troverà avversari di tutt’altra pasta.
Real Madrid, Barcellona o Bayern: mica pizza e fichi. Sarà meglio per Allegri trovare, in questi pochi giorni di riflessione, il famoso bandolo della matassa. Un calo fisico del genere rischia di essere devastante in questo periodo dell’anno: meglio recuperare per potersela giocare al meglio contro le corazzate europee. Per non dover aspettare altri dodici anni. E otto giorni.
Gabriele Li Mandri
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